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La ripresa della minaccia terroristica in Europa e il perdurante fenomeno della criminalità organizzata, sempre più caratterizzato dal profilo della transnazionalità, hanno indotto l'Unione europea a rafforzare il proprio impegno in materia di sicurezza interna, ambito rispetto al quale i Trattati attribuiscono la predominante competenza agli Stati membri, prevedendo tuttavia un significativo margine di intervento da parte dell'Unione europea nella misura in cui tale azione possa costituire un valore aggiunto.

Le principali linee guida dell'azione europea in tale settore sono contenute nell'Agenda europea sulla sicurezza e nella successiva comunicazione sulla realizzazione dell'Unione della sicurezza
, documenti programmatici presentati dalla Commissione europea rispettivamente nell'aprile del 2015 e del 2016, recanti una serie di iniziative, anche di tipo normativo, alcune delle quali sono state già adottate ed in fase di implementazione.
Le iniziative dell'Unione europea in materia di terrorismo riguardano una serie di profili che oltrepassano i confini del quadro giuridico penale, pur significativamente riformato con particolare riguardo ai reati riconducibili a tale forma di crimine e alle attività ad esso strumentali, e della cooperazione tra autorità di contrasto, abbracciando politiche settoriali di diverso tipo come, ad esempio, la gestione dei controlli alle frontiere esterne, l'integrazione socio-culturale degli strati sociali a rischio di processi di radicalizzazione e le relazioni estere con i Paesi terzi maggiormente interessati dalla presenza di cellule terroristiche.
Tra le questioni più rilevanti per l'intervento dell'UE volto a contrastare la minaccia terroristica e la criminalità organizzata, devono ricordarsi:
- il fenomeno dei foreign fighters, combattenti stranieri, cittadini o residenti dell'UE aderenti alle campagne militari sotto le insegne dell'ISIS/Daesh, il cui ritorno sul territorio degli Stati membri rappresenta un fattore di rischio in termini sia di organizzazione di atti terroristici sia di capacità di radicalizzazione del contesto in cui vivono;
- la strategia antiradicalizzazione dell'UE con particolare riguardo ai luoghi reali o virtuali considerati più a rischio: gli istituti penitenziari e il web (in particolare le piattaforme social); al tema è altresì strettamente associata la questione dei reati di odio e dei discorsi di odio, che rappresentano spesso il primo passo verso l'avvio di un processo di radicalizzazione;
- la gestione delle frontiere interne ed esterne dell'UE, con particolare riferimento ai rischi che può determinare lo Spazio unico senza controlli alle frontiere interne (che riguarda la maggior parte degli Stati membri), anche alla luce della comprovata natura transnazionale delle attività delle organizzazioni terroristiche e di quelle relative al crimine comune organizzato;
- l'aumento e l'ampiezza dello spettro dei fenomeni riconducibili al cybercrime, tema che ha richiesto una serie di interventi a livello UE sia sul piano dell'aggiornamento delle norme giuridiche sia su quello della cooperazione operativa tra Stati membri, che hanno riguardato sia la prevenzione e il contrasto alle minacce ai sistemi e alle reti informatici, sia la tutela della sfera privata da reati tradizionali perpetrati tramite l'uso di mezzi informatici;
- il miglioramento dei sistemi di scambio di informazioni tra autorità di contrasto (polizia e magistratura penale) e di intelligence tra Stati membri, in termini di volumi di dati scambiati e di razionalizzazione e semplificazione dell'uso delle principali banche dati UE nel settore degli affari interni.
Nel marzo 2017 l'Unione europea ha aggiornato il quadro giuridico in materia di contrasto al terrorismo (principalmente costituito da una decisione quadro del 2002) adottando una direttiva che, tra l'altro, amplia l'insieme delle fattispecie penali riconducibili ai reati di terrorismo, con particolare riguardo alla sfida posta dal preoccupante fenomeno dei combattenti stranieri.
L'UE ha perseguito l'obiettivo della riduzione e chiusura degli spazi di azione dei terroristi anche tramite: l'adozione di una nuova direttiva relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi volta ad impedire ai criminali e ai terroristi di accedere alle armi più pericolose; la revisione (tuttora all'esame delle Istituzioni legislative europee) del regolamento UE sui precursori di esplosivi, per rafforzare le restrizioni e i controlli delle sostanze utilizzabili per la fabbricazione di esplosivi artigianali.
In tale ambito devono, da ultimo, segnalarsi una serie di proposte normative (il cui iter legislativo non è ancora completo) che mirano a ridurre la capacità delle organizzazioni terroristiche (e genericamente criminali) di reperire risorse finanziarie.
Fin dagli attentati terroristici di Londra del 2005 l'Unione europea ha avviato una serie di politiche in materia di radicalizzazione, termine utilizzato per descrivere un fenomeno che vede persone abbracciare opinioni, pareri e idee intolleranti suscettibili di portare all'estremismo violento.
La strategia dell'UE in materia di radicalizzazione – da ultimo aggiornata in una comunicazione della Commissione europea del 2016 – è basata su un approccio trasversale, volto ad includere sia strumenti di tipo reattivo (tra i quali il richiamato nuovo quadro giuridico penale in materia di terrorismo, con particolare riguardo al reclutamento di terroristi all'interno dell'UE) sia più propriamente di carattere preventivo, che si traducono in processi di integrazione e inclusione sociale, di reinserimento e deradicalizzazione delle persone considerate a rischio e degli stessi combattenti stranieri che fanno ritorno nel loro Paese.
Tale approccio è dipeso dalla stessa natura degli ambienti in cui si osservano i maggiori rischi di radicalizzazione: gli istituti penitenziari, la realtà virtuale di Internet, con particolare riferimento alle piattaforme social, ed infine gli ambienti frequentati dai più giovani come i contesti educativi.
Le misure di carattere preventivo messe in campo dall'UE possono articolarsi in sette ambiti specifici:
i) sostenere la ricerca, la raccolta di informazioni, il monitoraggio e la connessione in rete;
ii) contrastare la propaganda terroristica e gli incitamenti all'odio online;
iii) affrontare il problema della radicalizzazione nelle carceri;
iv) promuovere un'istruzione inclusiva e i valori comuni dell'UE;
v) promuovere una società inclusiva, aperta e resiliente e rivolgersi ai giovani;
vi) affrontare la dimensione securitaria nella lotta contro la radicalizzazione e
vii) tener conto della dimensione internazionale.
Tra gli strumenti specifici in materia di prevenzione sui quali l'UE sta investendo molte risorse devono ricordarsi il Gruppo di esperti di alto livello in materia di radicalizzazione, la Rete per la sensibilizzazione alla radicalizzazione (RAN), e il Forum dell'UE su Internet.

Deve da ultimo segnalarsi l'iniziativa del 2016 della Commissione europea volta a contrastare l'hate speech on line (discorsi di odio e reati di incitamento all'odio, tema strettamente correlato alla propaganda terroristica e ai processi di radicalizzazione), che ha portato alla sottoscrizione da parte di Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft di un Code of conduct recante un elenco di impegni per combattere la diffusione dell'illecito incitamento all'odio online in Europa, tra i quali il vincolo ad eliminare i messaggi illegali di incitamento all'odio entro 24 ore dalla segnalazione.
L'azione UE in tale settore si è anzitutto tradotta in misure volte al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, da un lato, stringendo parzialmente le maglie normative europee in materia di ingresso e uscita dai confini UE, dall'altro, proponendo l'introduzione di nuovi meccanismi automatici di controllo dei transiti dei cittadini di Stati terzi, nonché migliorando il funzionamento e l'accesso ai sistemi informazione attualmente utilizzati dalle autorità di contrasto e di gestione delle frontiere.
Tra gli elementi chiave in tale settore, l'approvazione della riforma del Codice frontiere Schengen volta a rendere obbligatorie le verifiche sistematiche nella banche dati di sicurezza di tutti i viaggiatori, compresi i cittadini dell'UE che attraversano le frontiere, misura resasi necessaria tra l'altro in considerazione della significativa componente di cittadini europei (le stime Europol riferiscono un volume assai approssimativo nel 2017, intorno alle 7 mila persone) espatriati per aderire alle milizie ISIS).




Il tema dei rafforzamento dei controlli alle frontiere è stato declinato altresì con particolare riferimento alla gestione dei confini interni allo Spazio Schengen. In particolare, la ripresa della minaccia terroristica e con maggiore intensità la questione, particolarmente sentita da alcuni Stati membri, dei movimenti secondari dei migranti irregolari a seguito della recente crisi migratoria, hanno dapprima indotto una serie di Stati membri ad attivare (anche oltre i termini consentiti dalle norme attuali) tutti gli strumenti previsti dal Codice frontiere Schengen per sospendere il principio dell'abolizione dei controlli alle frontiere, e successivamente la Commissione europea a proporre una riforma del Codice stesso volta a consentire periodi di tale sospensione più estesi.
L'iter legislativo di tale riforma presso il Consiglio risulta particolarmente complicato, stante l'opposizione di un gruppo minoritario di Stati membri, tra i quali l'Italia e altri Paesi posti sui confini esterni UE. La discussione sulla proroga dei controlli di frontiera alle frontiere interne è, tra l'altro, strettamente connessa ai negoziati relativi alla riforma del regolamento Dublino, con particolare riferimento alla significativa opposizione da parte di una serie di Stati membri (in particolare il cosiddetto gruppo Visegrad) nei confronti del meccanismo di solidarietà in materia di redistribuzione di richiedenti asilo volto a temperare molto parzialmente il vigente principio di Stato di primo approdo.
Deve peraltro segnalarsi che la Commissione europea sta provando a individuare un difficile punto di equilibrio tra le esigenze degli Stati membri che richiedono maggiore flessibilità nell'introduzione dei controlli alle frontiere interne, e gli interessi degli Stati membri che temono una forte compromissione dello Spazio Schengen, affiancando alla proposta di riforma citata una serie di raccomandazioni che dovrebbero indurre gli Stati membri a sospendere il normale funzionamento dello Spazio Schengen esclusivamente in casi di effettiva emergenza e a preferire ai controlli di frontiera l'intensificazione delle misure interne di polizia.
La natura spiccatamente transnazionale delle attività delle cellule terroristiche sul suolo europeo, e più in generale delle organizzazioni criminali dedite ai reati che creano il maggior allarme sociale, ha indotto l'Unione europea ad avviare una serie di misure volte a eliminare le lacune riscontrate in materia di scambio di informazioni tra autorità di contrasto (polizia e magistratura penale) oltreché tra servizi di intelligence.
In tale contesto deve anzitutto inquadrarsi l'aggiornamento del quadro giuridico di Europol, l'Agenzia europea cui è affidato li mandato di assistere le autorità degli Stati membri nelle attività di contrasto delle forme gravi di criminalità internazionale e del terrorismo.

Il miglioramento della condivisione delle informazioni è alla base altresì di una serie di iniziative europee, che interessano, tra l'altro, la messa in rete dei casellari giudiziari anche con riferimento a cittadini di Stati terzi, i codici di prenotazione dei viaggi aerei da e verso l'Europa, le diverse banche dati contenenti informazioni biometriche (impronte digitali, immagini facciali e DNA), settori nei quali sono stati presentate proposte normative ad hoc o è stata sollecitata l'implementazione da parte degli Stati membri delle discipline vigenti.



Da ultimo, si ricorda che sono tuttora all'esame delle Istituzioni legislative europee una serie di misure volte a realizzare la cosiddetta interoperabiltà delle banche dati europee impiegate dalle autorità di contrasto e di gestione delle frontiere, che dovrebbe tradursi nella realizzazione di uno sportello unico in grado di interrogare simultaneamente i molteplici sistemi di informazione (ad esempio, il Sistema di informazione Schengen SIS, Eurodac, il Sistema di informazione dei visti VIS, i futuri EES ed ETIAS, il sistema di informazione sui casellari giudiziali per i cittadini UE e di Paesi terzi ECRIS), potenziato da un unico sistema di confronto biometrico al fine di consentire alle autorità competenti di verificare identità false o multiple.
A partire dalla presentazione nel 2013 della Strategia europea per la cibersicurezza , l'Unione europea ha progressivamente rafforzato le misure volte a contrastare la criminalità informatica e gli attacchi informatici, fenomeni che generano crescente allarme sociale considerato il coinvolgimento sempre più significativo delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione in tutti i settori dell'economia e della società.
L'Unione europea ha sviluppato una serie di strumenti che riconducono al cybercrime tre principali categorie di illeciti:
- gli attacchi alle reti e ai sistemi informatici;
- la perpetrazione di reati di tipo comune (ad esempio, crimini essenzialmente predatori) tramite l'uso di sistemi informatici;
- la diffusione di contenuti illeciti (ed esempio, pedopornografia, propaganda terroristica,etc) per mezzo di sistemi informatici.
Il primo fronte individuato dall'Unione europea è considerato di particolare rilievo, attesa la vitale importanza delle reti e dei sistemi informatici rispetto al funzionamento delle infrastrutture critiche (tra tutte, il sistema dei trasporti, le strutture ospedaliere, quelle energetiche), la cui sicurezza attiene peraltro al normale svolgimento della vita democratica di un Paese. A tale proposito, l'indirizzo dell'UE si è sviluppato su diversi piani di intervento, poiché la natura di vera e propria minaccia ibrida degli attacchi informatici ha spinto le istituzioni europee a considerare la questione anche sotto il profilo della politica estera, di sicurezza e di difesa europea.



Da ultimo, tra le questioni relative a questa forma di cybercrime che secondo l'UE meritano maggiore approfondimento devono inserirsi: il rafforzamento della cooperazione pubblico privato con particolare riferimento allo scambio di informazioni e di best practise relativamente agli attacchi ai sistemi informatici, atteso il significativo ruolo dei soggetti privati nella gestione delle maggiori infrastrutture informatiche; l'azione UE sul fronte delle relazioni internazionali, anche tramite l'intervento del Servizio di azione esterna UE, considerata l'accertata provenienza, in alcuni casi, di attacchi da parte di organismi governativi di Stati terzi.
Per i profili relativi al contrasto di reati comuni commessi on line l'azione dell'UE ha significativamente rafforzato strumenti già esistenti di diritto penale, il cui obiettivo principale è il consolidamento complessivo della fiducia dei consumatori in un mercato unico digitale al riparo dalle attività criminali.

Infine, la Commissione europea sta affrontando il tema assai sentito dell'accessibilità e dell'uso delle prove digitali da parte delle autorità di contrasto degli Stati membri, questione particolarmente complicata sia dall'arduo compito di decrittare strumenti e dati usati dai criminali informatici, sia dalla difficoltà di ancorare le prove digitali ad una specifica giurisdizione territoriale.