Il ruolo e le funzioni delle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche è stato nel corso degli ultimi anni oggetto di numerosi interventi, rivolti principalmente al comparto delle amministrazioni locali, finalizzati alla razionalizzazione del settore, sia per aumentarne la trasparenza che per ridurne il numero, anche allo scopo di un contenimento della relativa spesa. Il complessivo quadro normativo delle partecipate è stato compiutamente ridefinito dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP) che ha dettato una disciplina organica della materia.
Il Ministero dell'economia e delle finanze ha presentato nel febbraio 2024 la nuova edizione del Rapporto sulle partecipazioni delle Amministrazioni Pubbliche, recante dati e analisi aggiornati al 31 dicembre 2021 che forniscono una panoramica sulle partecipazioni detenute dalle Amministrazioni pubbliche, sugli incarichi conferiti dalle stesse in seno agli organi di governo di società o enti e sugli esiti del monitoraggio sull'attuazione del TUSP. Dal monitoraggio effettuato si evince come un'alta percentuale di partecipazioni societarie, sulle quali è stata effettuata l'analisi di conformità al dettato normativo, ancora non rispetti uno o più parametri previsti dal TUSP per il mantenimento delle partecipazioni. Tale rilievo viene ribadito anche nel primo Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029 (Doc. CCXXXII, n. 1) trasmesso dal Governo alle Camere il 27 settembre 2024, all'interno del quale, anche in ragione delle difficoltà applicative relative alla disciplina del TUSP, l'Esecutivo ha segnalato che è in corso di elaborazione una sua revisione.
Ulteriori dati sulle dimensioni, i profili occupazionali e il valore aggiunto del settore sono contenuti nell'ultimo Rapporto ISTAT "Le partecipate pubbliche in Italia", pubblicato il 19 febbraio 2024.
Per un quadro delle società a partecipazione statale si veda anche l'ultima edizione del dossier "Monitoraggio e controllo sulle società a partecipazione pubblica e ricognizione degli aspetti organizzativi".
Il panorama economico italiano risulta caratterizzato da una presenza numericamente ampia ed economicamente rilevante di società partecipate dalle amministrazioni pubbliche, particolarmente diffuse nel comparto delle amministrazioni locali.
A tal proposito, si segnala che, Il Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029 rammenta come le società partecipate direttamente dal MEF contribuiscano per circa il 12 per cento al PIL italiano, a cui si aggiunge il contributo indiretto, attraverso la crescita di settori correlati, grazie alla loro funzione essenziale di catalizzatori dello sviluppo, incluso il settore della c.d. economia verde.
Un quadro della galassia delle partecipazioni pubbliche è offerto dall'ISTAT. Nell'ultimo Rapporto, pubblicato il 19 febbraio 2024, l'Istituto evidenzia come negli ultimi anni continuino a diminuire le partecipate pubbliche, mentre crescono gli occupati e il valore aggiunto.
L'Istituto evidenzia in primo luogo come nel 2021 le unità economiche partecipate dal settore pubblico siano pari a 7.808, il 2 per cento in meno rispetto al 2020, e impieghino 924.892 addetti.
Rispetto al 2020 si registra un aumento degli addetti dell'1,8 per cento, che riguarda in particolare le imprese con partecipazioni minoritarie (quote fino al 20%), che hanno in parte recuperato le perdite subite nel periodo precedente (+3,9 per cento rispetto al 2020 e -7,8 per cento rispetto al 2019).
La produttività media del lavoro (valore aggiunto per addetto) delle controllate pubbliche aumenta del 13,2 per cento e risulta pari a 107.417 euro contro i 52.600 euro del totale nazionale del settore industria e servizi, anche in considerazione della loro maggiore dimensione media.
Il MEF si conferma l'ente più rilevante: controlla oltre il 52,2 per cento del totale degli addetti delle imprese a controllo pubblico.
Più nel dettaglio, l'Istituto rileva che delle 7.808 unità economiche a partecipazione pubblica, 5.697 sono imprese attive operanti nel settore dell'industria e dei servizi, sulle quali si concentrano le analisi del Rapporto. Queste unità assorbono il 95,8 per cento degli addetti delle unità partecipate che rispetto al 2020 aumentano del 2 per cento.
Viene inoltre evidenziato come il numero di imprese attive a partecipazione pubblica si sia ridotto notevolmente, con una flessione del 24,9 per cento rispetto al 2012. Tuttavia, in controtendenza, tra il 2020 e il 2021 si è registrato un incremento dell'1,3 per cento, con variazioni che oscillano al livello di ripartizione territoriale tra il -2,1 per cento del Sud e il +4,3 per cento del Nord-Ovest.
L'Istituto evidenzia poi come si riducano le partecipazioni degli enti locali, ma aumentino gli addetti. In particolare, su 5.697 imprese attive partecipate, 3.735 sono partecipate direttamente da almeno un'amministrazione pubblica regionale o locale oppure sono appartenenti a gruppi che hanno al proprio vertice un ente territoriale (partecipate locali). Esse impiegano 422.559 addetti, corrispondenti al 47,7 per cento del totale di riferimento. Rispetto al 2020 si registra un calo del 1,5 per cento nel numero delle partecipate da enti locali e un aumento del 2,9 per cento degli addetti.
Se si restringe l'analisi alle sole imprese controllate, si individuano 3.517 imprese attive a controllo pubblico per un totale di 586.574 addetti. Tra queste, 2.297 appartengono a gruppi che hanno al vertice un'unica amministrazione pubblica. Le rimanenti 1.220 fanno invece riferimento a gruppi con al vertice una pluralità di amministrazioni pubbliche, che esercitano il controllo in modo congiunto oppure attraverso singole unità (non appartenenti a gruppi) il cui capitale è controllato in modo congiunto da più amministrazioni pubbliche.
Nel 2021 il numero di imprese a controllo pubblico cresce del 2 per cento rispetto al 2020 e gli addetti crescono dello 0,7 per cento. L'ISTAT rileva come questa inversione di rotta, rispetto agli anni passati, sia da attribuire in termini di imprese alla crescita delle controllate dai ministeri. Il numero di imprese controllate dal MEF cresce infatti del 14,9 per cento, da attribuirsi alle acquisizioni di un grosso gruppo multinazionale, ma continua a ridursi la loro dimensione media (794 addetti contro i 920 del 2020). Attraverso il controllo diretto o indiretto esercitato sui grandi gruppi, il MEF rimane il soggetto controllante di maggiore rilevanza in termini di occupazione, con il 52,2 per cento di addetti delle controllate pubbliche.
Le province, le città metropolitane e i comuni controllano in totale 1.456 imprese (41,4 per cento delle controllate pubbliche) e occupano 130.555 addetti (con un'incidenza pari al 22,3 per cento del totale). Rispetto agli addetti impiegati, le controllate pubbliche dei ministeri e altre amministrazioni centrali, svolgono in prevalenza attività nei settori del trasporto e magazzinaggio e manifatturiero, mentre le controllate pubbliche delle amministrazioni locali operano nei settori del trasporto e magazzinaggio e della fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento.
Infine, l'Istat evidenzia come torni a crescere il valore aggiunto delle controllate pubbliche.
Nel 2021, complessivamente, al netto delle attività finanziarie e assicurative, le imprese a controllo pubblico generano oltre 60 miliardi di valore aggiunto (l'8,3 per cento di quello prodotto dal settore dell'industria e dei servizi), con una crescita del 14,1 per cento rispetto al 2020. Il valore aggiunto per addetto sale a 107.417 euro (94.916 nel 2020 e 104.681 nel 2019), valore fortemente influenzato dal settore estrattivo e della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata, in cui si concentrano le grandi aziende di Stato. Al netto di tali settori, la produttività delle controllate pubbliche diminuisce fino a 71.598 euro. Rispetto al totale complessivo delle società di capitali, nelle società a controllo pubblico il costo del lavoro rappresenta il 7,5 per cento (con un valore medio per dipendente di 55.212 euro) e la retribuzione lorda rappresenta il 7,4 per cento (valore medio per dipendente pari a 38.897 euro). Il costo del lavoro e la retribuzione lorda presentano valori medi più elevati nelle imprese a controllo pubblico con oltre 500 addetti (rispettivamente 56.722 e 39.843 euro). Il valore aggiunto per addetto presenta valori sopra la media nelle imprese con 0-19 addetti (218.461 euro), nelle imprese 20-49 (124.320 euro) e nelle grandi imprese (110.397 euro).
Si rammenta che il citato PSB 2025-2029 ricorda in particolare come molte aziende pubbliche svolgano un ruolo cruciale nello sviluppo di energie rinnovabili e nei progetti di decarbonizzazione, contribuendo a ridurre l'impronta di carbonio del Paese e a promuovere la sostenibilità ambientale. È questo il caso di ENI, che nel 2023 ha investito in attività di ricerca e sviluppo 166 milioni, di cui 135 milioni incentrati sulla decarbonizzazione. Inoltre, attraverso le sue partecipate nel settore bancario e finanziario come Banca Monte dei Paschi di Siena, Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Invitalia, lo Stato gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'economia verde con la concessione di finanziamenti agevolati per progetti legati alla green economy, sostenendo iniziative che mirano alla transizione energetica e alla riduzione delle emissioni di gas serra. Il documento ricorda inoltre come nel solo 2023, CDP abbia supportato progetti di transizione energetica per 1,9 miliardi, e progetti di economia circolare per 0,32 miliardi, mentre, nello stesso periodo, Invitalia ha concesso agevolazioni per sostenere processi di trasformazione e innovazione sostenibile per 0,37 miliardi. Questi finanziamenti, continua il PSB, sono essenziali per stimolare investimenti privati in tutti i settori economici del Paese e per accelerare l'adozione di tecnologie innovative, rafforzando ulteriormente l'economia e contribuendo alla crescita e alla sostenibilità.
Informazioni utili in ordine al fenomeno delle partecipazioni pubbliche sono contenute anche nel Rapporto sulle partecipazioni delle Amministrazioni Pubbliche, finito di elaborare nel mese di gennaio 2024 cui si rinvia per eventuali approfondimenti (cfr.oltre).
Per quanto riguardo le amministrazioni centrali si segnala, infine, come negli ultimi anni, situazioni di crisi aziendale o fattori contingenti tra cui l'esigenza di attuazione delle missioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), abbiano inciso sul settore dando luogo alla creazione di nuove società per azioni, quali, ad esempio: ITA-Italia Trasporto Aereo; la Holding Reti Autostradali; il PSN-Polo Strategico Nazionale per la transizione digitale della PA; DRI d'Italia (Direct Reduced Iron) identificata quale soggetto attuatore del processo di decarbonizzazione del settore siderurgico italiano; Green.It, per la produzione di energia da fonti rinnovabili; Renovit, per promuovere l'efficienza energetica; Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026, per la realizzazione delle opere connesse allo svolgimento dei XXV Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali del 2026; "Giubileo 2025", per la realizzazione delle opere e degli interventi in vista del Giubileo della Chiesa Cattolica e, da ultimo, le società per azioni ENIT, Acque del Sud e Sviluppo Lavoro Italia.
Il modello giuridico ed organizzativo di riferimento delle società a partecipazione pubblica è eterogeneo, composto da un ampio novero di disposizioni che si sono susseguite negli anni, rendendo la cornice normativa sempre più speciale rispetto alla disciplina del codice civile. Accanto a società a partecipazione pubblica operanti in regime di mercato ed aventi forma e sostanza privatistica, coesistono infatti società a controllo pubblico che - pur avendo una veste giuridica privatistica - svolgono compiti e funzioni di natura pubblicistica, configurabili come veri e propri enti pubblici in forma societaria ovvero, in termini più generici, come organismi di diritto pubblico, assoggettati a regole di gestione e di controllo e al rispetto dei vincoli finanziari operanti per le amministrazioni pubbliche.
La normativa di riferimento è quella delineata dal Codice civile, in particolare nella parte relativa alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici di cui all'articolo 2449 e seguenti.
Alla disciplina civilistica si è tuttavia sovrapposta una serie di disposizioni di carattere speciale introdotte attraverso successivi interventi legislativi. Il quadro normativo è diventato più complesso – specialmente negli ultimi anni – in quanto la necessità di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica ha indotto ad elaborare stringenti misure di contenimento e di controllo finanziario sulle società a partecipazione pubblica.
Tale quadro è stato da ultimo ridefinito ad opera del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 – in seguito novellato dal decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100 – recante il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), che fermo restando il rinvio al codice civile per quanto non disciplinato dal medesimo Testo Unico, ha ricomposto e stabilizzato in una disciplina organica la materia.
Con l'entrata in vigore del TUSP il ricorso allo strumento societario da parte della pubblica amministrazione, sia che si tratti di costituzione di un organismo nuovo, sia nel caso di acquisizione o mantenimento di partecipazioni in organismi esistenti, deve essere motivato da preminenti ragioni di interesse pubblico.
La riforma ha avuto lo scopo di garantire un'efficiente e trasparente gestione delle partecipazioni pubbliche e la tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché di contribuire alla riduzione della spesa pubblica, anche attraverso l'introduzione di procedure di razionalizzazione periodica e di revisione straordinaria finalizzate a ridurre il numero delle società partecipate, specie quelle degli enti locali.
L'obiettivo sotteso all'intervento legislativo è stato quello di evitare un utilizzo distorto ed eccessivo della forma giuridica privatistica da parte delle pubbliche amministrazioni, le quali, mediante l'utilizzo della veste giuridica societaria, hanno potuto in passato sottrarsi a limiti e regole pubblicistiche proprie delle pubbliche amministrazioni, quali ad esempio l'osservanza dei vincoli di bilancio o delle norme sulle assunzioni e sugli appalti pubblici.
Il Testo Unico si articola sostanzialmente in quattro tipologie di intervento:
Completano l'intervento le norme transitorie e quelle di coordinamento con la legislazione vigente (artt. 26 e 27), la clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le disposizioni abrogative (artt. 23 e 28).
Per quanto concerne l'ambito di applicazione, le norme del TUSP hanno ad oggetto la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l'acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta.
Alle società quotate, nonché alle società da esse controllate, le disposizioni del Testo Unico si applicano solo se espressamente previsto.
La partecipazione pubblica, i cui elementi definitori sono riportati nell'articolo 2, è ammessa esclusivamente in società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa.
In via preliminare, occorre rammentare che la nozione di "società a controllo pubblico" risulta dall'esame del combinato disposto delle lettere b) ed m) del comma 1 dell'articolo 2 del TUSP.
In particolare: la lett. b) definisce il "controllo" come la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile, aggiungendo che il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale sia richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo; la lett. m) stabilisce che sono "società a controllo pubblico" le "società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)".
Come precisato in un orientamento della Struttura del MEF competente per l'indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull'attuazione del TUSP (cfr.oltre), la lettura combinata delle citate lettere induce a ritenere che il legislatore del TUSP abbia voluto ampliare le fattispecie del "controllo", prevedendo che:
a) il controllo di cui all'articolo 2359 del Codice civile possa essere esercitato da più amministrazioni congiuntamente, anche a prescindere dall'esistenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale tra le stesse;
b) si realizzi una ulteriore ipotesi di controllo congiunto, rispetto a quelle di cui alla precedente lettera a), quando "in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo" (rientra in tale fattispecie anche il caso dell'influenza interdittiva attribuita alla Pubblica Amministrazione, come nell'ipotesi del patto parasociale che attribuisce al socio pubblico un potere di veto).
Secondo quanto riportato nel predetto orientamento, al controllo esercitato dalla Pubblica Amministrazione sulla società appaiono riconducibili dunque anche le ipotesi nella quali le fattispecie di cui all'articolo 2359 del Codice civile si riferiscono a più Pubbliche Amministrazioni, le quali esercitano tale controllo congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, pure a prescindere dall'esistenza di un coordinamento formalizzato.
In altri termini, sia l'interpretazione letterale sia la ratio sottesa alla riforma, nonché una interpretazione logico-sistematica delle disposizioni citate, inducono a ritenere che la "Pubblica Amministrazione", quale ente che esercita il controllo, sia stata intesa dal legislatore del TUSP come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole fattispecie, il controllo di cui all'articolo 2359, comma 1, numeri 1), 2) e 3), del Codice civile faccia capo ad una singola Amministrazione o a più Amministrazioni cumulativamente.
Sulla materia del controllo pubblico congiunto è intervenuta la sentenza 10 marzo 2023, n. 2543 del Consiglio di Stato, Sez. V, fornendone una interpretazione estensiva.
In particolare, i giudici amministrativi hanno rilevato come "sebbene sia controversa e non univoca la nozione di "controllo pubblico congiunto" di cui alla lett. m) dell'articolo 2, comma 1, decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (TUSP), il dato testuale – che richiama un «potere», in correlazione alla lett. b) del medesimo articolo – e l'interpretazione da più parte datane (cfr. Cons. Stato, V, 23 gennaio 2019, n. 578; Corte dei Conti, SS.RR. giur., 22 maggio 2019, n. 16; Orientamento MEF del 15 febbraio 2018) sono tali per cui non è sufficiente a tali fini una semplice sommatoria delle partecipazioni di soggetti pubblici tale da esprimere la maggioranza del capitale sociale – potendosi diversamente conformare e modulare gli assetti di potere nell'ambito degli organi societari – ma occorrono piuttosto, in assenza di un controllo monocratico ex articolo 2359 del Codice civile, atti o accordi che vincolino i soggetti pubblici all'esercizio congiunto delle loro prerogative, così da rendere concreto ed effettivo un potere di controllo pubblico (Cons. Stato, n. 578 del 2019, cit., richiamata anche da Cons. Stato, III, 3 marzo 2020, n. 1564; Corte conti, n. 16 del 2019, cit.), o quanto meno un comportamento concludente dei soci pubblici orientato in tal senso (Orientamento MEF, cit.; cfr., in senso diverso, Corte conti, SS.RR. contr., 20 giugno 2019, n. 11; ANAC, delibera 25 settembre 2019, n. 859)."
In coerenza con gli obiettivi della riforma il TUSP stabilisce anzitutto le condizioni e i limiti delle partecipazioni pubbliche, ridefinendo le regole per la costituzione di società o per l'assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di amministrazioni pubbliche, nonché per l'alienazione di partecipazioni.
Specifiche disposizioni sono dedicate alle società in house, alle società miste pubblico-private e al procedimento di quotazione di società a controllo pubblico in mercati regolamentati.
In via generale, viene fissato il divieto, per le amministrazioni pubbliche, di costituire, anche indirettamente, società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nonché di acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società (articolo 4, comma 1, del TUSP).
Nei limiti di tale principio, sono elencate le finalità perseguibili dalle amministrazioni mediante le società partecipate, ossia:
a) la produzione di un servizio di interesse generale;
b) la progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche;
c) la realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero l'organizzazione e la gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato con un imprenditore privato selezionato secondo specifiche procedure;
d) l'autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee e dalla relativa disciplina nazionale di recepimento in materia di contratti pubblici;
e) lo svolgimento di servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
Si segnala, inoltre, che il decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152 ha espressamente previsto che tra le finalità perseguibili rientrano anche le attività di ricerca svolte dalle società a partecipazione pubblica e dagli enti pubblici di ricerca per la realizzazione degli interventi compresi nel quadro di attuazione del PNRR.
In deroga al predetto divieto, le amministrazioni pubbliche, al solo fine di ottimizzare e valorizzare l'utilizzo di beni immobili facenti parte del proprio patrimonio, possono altresì acquisire partecipazioni in società aventi per oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse, tramite il conferimento di beni immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri di mercato.
Nell'ambito di questa cornice, il Testo Unico ammette tuttavia la costituzione e la partecipazione a specifiche tipologie societarie: società di sperimentazione nel settore sanitario, società aventi come oggetto sociale esclusivo la gestione di fondi europei per conto dello Stato o delle regioni, nonché le società elencate nell'allegato A del medesimo TUSP.
Si attribuisce inoltre al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti di regione e province autonome, qualora ricorrano taluni presupposti, la facoltà di deliberare l'esclusione (totale o parziale) dell'applicazione delle predette disposizioni a specifiche società a partecipazione pubblica. I provvedimenti eventualmente assunti sono trasmessi alle Camere e, nel caso di deliberazioni dei presidenti di regione o delle province autonome, anche alla Corte dei conti e alla Struttura del Ministero dell'economia e delle finanze preposta all'attività di indirizzo, controllo e monitoraggio sull'attuazione del Testo Unico.
Si ricorda che il decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100 ha inoltre fatto salva la possibilità per le amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni in società che producono servizi economici di interesse generale a rete, anche fuori dall'ambito territoriale della collettività di riferimento, purché l'affidamento dei servizi, in corso e nuovi, sia avvenuto e avvenga tramite procedure ad evidenza pubblica.
Con la legge di bilancio 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205, articolo 1, comma 891) si è fatta altresì salva la possibilità per le amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni, comunque non superiori all'1 per cento del capitale sociale, in società bancarie di finanza etica e sostenibile.
La legge 1° ottobre 2019, n. 119 ha inoltre introdotto un comma 9-quater all'articolo 4 del TUSP, che esclude l'applicazione dalle sue disposizioni con riguardo alle partecipazioni pubbliche in società aventi per oggetto sociale prevalente la produzione, il trattamento, la lavorazione e l'immissione in commercio del latte e dei prodotti lattiero-caseari, nonché - secondo quanto da ultimo disposto dall'articolo 10, comma 1-bis del decreto-legge 9 agosto 2024, n. 113 - dei prodotti ortofrutticoli.
Ai sensi dell'articolo 5 del TUSP, salvo i casi in cui la costituzione di una società o l'acquisto di una partecipazione avvenga in conformità a espresse previsioni legislative, l'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite, deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali indicate all'articolo 4 del medesimo Testo Unico, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato.
La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. L'atto deliberativo attesta la compatibilità dell'intervento finanziario previsto con le norme dei trattati europei e, in particolare, con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato alle imprese.
L'amministrazione è inoltre tenuta a inviare l'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta:
Si segnala che con la deliberazione n. 32/2023/INPR del 15 febbraio 2023 la Sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna della Corte dei conti ha specificato i meccanismi del controllo introdotto dal novellato articolo 5 del TUSP, fornendo una serie di indicazioni istruttorie preliminari all'esame degli atti deliberativi ivi previsti, compresa una tabella recante gli indicatori di sostenibilità finanziaria delle società.
Il TUSP detta altresì norme specifiche sulla governance, sulla costituzione delle società o sull'acquisto di partecipazioni in società già costituite. In particolare, l'articolo 6 definisce gli elementi basilari dell'organizzazione e della gestione delle società a controllo pubblico, gli articoli 7 e 8 disciplinano, rispettivamente, la costituzione di tali società e l'acquisto di partecipazioni in società già costituite.
La deliberazione di partecipazione di un'amministrazione pubblica alla costituzione di una società e le operazioni che comportino l'acquisto da parte di un'amministrazione pubblica di partecipazioni in società già esistenti sono adottate con: a) decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in caso di partecipazioni statali; b) provvedimento del competente organo della regione, in caso di partecipazioni regionali; c) deliberazione del consiglio comunale, in caso di partecipazioni comunali; d) delibera dell'organo amministrativo dell'ente in tutti gli altri casi di partecipazioni pubbliche.
Con riferimento alla gestione delle partecipazioni pubbliche, l'articolo 9 del TUSP prevede che per le partecipazioni pubbliche statali i diritti del socio siano esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), di concerto con altri Ministeri competenti per materia, individuati dalle relative disposizioni di legge o di regolamento ministeriale.
Fra le principali novità, l'articolo 11 del TUSP stabilisce che l'organo amministrativo delle società a controllo pubblico è costituito, di norma, da un amministratore unico, ferma restando la possibilità da parte della società interessata di stabilire, con delibera da trasmettersi alla Corte dei conti e alla struttura del Ministero dell'economia e delle finanze preposta all'attività di indirizzo, controllo e monitoraggio sull'attuazione del TUSP (cfr.oltre), di ricorrere ad una diversa forma di governance, in specie da un consiglio di amministrazione composto da tre o cinque membri.
Si rammenta peraltro che in virtù di specifiche disposizioni legislative non sono assoggettate all'applicazione del principio di carattere generale dell'amministratore unico la Consip S.p.a., la Sogei S.p.a. e la società AMCO - Asset Management Company S.p.a., per le quali l'articolo 23-quinquies, comma 7, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 prevede che i relativi consigli di amministrazione siano composti da tre membri, di cui due individuati tra i dipendenti dell'amministrazione economico-finanziaria ed il terzo con funzioni di amministratore delegato. Parimenti estranea all'applicazione del predetto principio è la società CONI Servizi S.p.a. (dal 1° gennaio 2019, Sport e Salute S.p.a.), la quale a seguito delle modifiche introdotte dai commi da 2 a 4 dell'articolo 22 del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 è amministrata da un consiglio di amministrazione composto da cinque membri, compresi il Presidente e l'amministratore delegato. Alla disciplina generale non è soggetta, altresì, la RAI S.p.a., società per la quale la nomina e la composizione del relativo consiglio di amministrazione sono disciplinati dall'articolo 49 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, così come modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 220.
Per quanto concerne i componenti degli organi amministrativi e di controllo di società a controllo pubblico, la riforma richiede, tra l'altro, che nella scelta degli amministratori delle società sia assicurato il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo in favore del genere meno rappresentato da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d'anno. Qualora la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto prevede che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 12 luglio 2011, n. 120.
Per le modifiche intervenute in materia, che hanno elevato ai due quinti la percentuale della "quota" di genere negli organi amministrativi delle società a controllo pubblico, si rinvia agli approfondimenti contenuti nell'apposito tema web.
Con riguardo alla composizione e al rinnovo degli organi sociali nelle società partecipate dal MEF, si rammenta che le relative procedure di nomina sono disciplinate dal codice civile, dal TUSP, dal Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) nel caso di società quotate e, ove specificamente previsto, da disposizioni speciali poste da fonti normative primarie e regolamentari, in ragione sia della presenza di profili di natura pubblicistica sia della pluralità delle amministrazioni coinvolte.
La nomina del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale nelle società partecipate dal MEF, le cui azioni sono ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati (ENI, ENEL, Leonardo, ENAV, Poste italiane, Banca Monte dei Paschi di Siena), avviene mediante il meccanismo del voto di lista, a sensi degli articoli 147-ter e 148 del citato TUF.
La nomina o designazione di candidature al ruolo di amministratore unico, membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale nelle società partecipate dal MEF implicano l'esercizio di un'attività di indirizzo politico-amministrativo ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Pertanto, la titolarità della loro adozione è individuata in capo all'organo di governo del Ministero.
Gli atti concernenti l'individuazione e la valutazione di profili professionali nell'ambito delle procedure selettive utili alla composizione degli organi di amministrazione e controllo in società partecipate dal MEF sono sottratti al diritto di accesso, per effetto di quanto previsto dal decreto ministeriale 13 ottobre 1995, n. 561.
Le procedure in merito alla designazione dei componenti degli organi amministrativi e di controllo delle società partecipate dal MEF sono indicate in una Direttiva del Ministro dell'economia e delle finanze del 31 gennaio 2023, che aggiorna una precedente Direttiva del 31 marzo 2021.
La Direttiva prevede che il Dipartimento del Tesoro assicuri l'istruttoria tecnica da sottoporre all'Organo di indirizzo politico al fine dell'esercizio del diritto di socio.
Si segnala in via preliminare che la Direttiva è stata emanata prima dell'istituzione, con DPCM 26 luglio 2023, n. 125, del nuovo Dipartimento dell'economia del MEF, che ha assorbito talune competenze in precedenza poste in capo al Dipartimento del Tesoro, tra cui quelle in materia di gestione delle partecipazioni societarie dello Stato, esercizio dei diritti del socio e valorizzazione delle medesime partecipazioni, nonché in materia di monitoraggio della riforma delle società a partecipazione pubblica (cfr. oltre).
Ciò premesso, tenuto conto che la migliore prassi della governance societaria prevede che l'individuazione dei profili idonei alle cariche in argomento avvenga con il supporto di società specializzate nella ricerca e selezione dei top manager, la citata Direttiva prevede che il Dipartimento del Tesoro possa avvalersi di tale supporto per usufruire di data base di profili manageriali, acquisiti anche tramite la banca dati del Ministero, nonché per l'attività di assessment ed eventuale comparazione delle competenze necessarie a ricoprire la carica
In particolare, il Dipartimento del Tesoro:
a) assicura, entro il mese di gennaio di ciascun anno, la trasmissione all'Organo di indirizzo politico, per il tramite dell'Ufficio di Gabinetto, delle posizioni in scadenza, nonché la relativa pubblicazione sul sito del MEF;
b) procede a formalizzare un appunto tecnico con l'indicazione della tempistica delle assemblee, ove già fissate, dei requisiti statutari e di legge applicabili ai singoli rinnovi degli organi societari;
c) sulla base delle indicazioni ricevute dall'Organo di indirizzo politico, cura l'istruttoria di carattere qualitativo e attitudinale dei potenziali candidati alla carica, con il supporto delle suddette società specializzate. Tale istruttoria, fermi restando i requisiti previsti da disposizioni legislative, regolamentari e statutarie, è volta ad individuare i migliori profili per professionalità e competenza e, fatti salvi gli specifici assetti di governo societario, l'ottimale composizione collettiva, anche per età e genere, degli organi sociali, con l'obiettivo di perseguire il successo sostenibile delle società. Saranno, quindi, oggetto di valutazione la professionalità e le competenze dei candidati, in particolare in relazione al settore specifico di operatività, all'esperienza manageriale e in organi sociali, ai mercati finanziari, alla gestione dei rischi, ai settori legale e societario e alle materie ambientali, sociali e di governance;
d) all'esito dell'individuazione, da parte dell'Organo di indirizzo politico, dei nominativi da indicare nelle liste o da presentare in assemblea, provvede ad acquisire dagli interessati l'autocertificazione relativa al possesso dei requisiti soggettivi e di eleggibilità e al curriculum vitae;
e) predispone un appunto tecnico per acquisire dall'Organo di indirizzo politico le indicazioni di voto in merito ai singoli punti all'ordine del giorno delle assemblee.
Nell'ambito del procedimento di rinnovo degli organi delle società direttamente controllate occorre prendere in considerazione l'eventuale ruolo di impulso ovvero di intesa di altri Ministeri, tenuto conto della natura della società con organi in scadenza, nonché delle prerogative della Presidenza del Consiglio dei ministri. In tal caso, il Dipartimento del Tesoro acquisisce le autocertificazioni di cui alla predetta lettera d) tramite le Amministrazioni competenti.
Per quanto concerne la composizione degli organi di controllo delle società controllate dal MEF, ad esclusione di quelle con titoli azionari quotati, la Direttiva dispone che potrà prevedersi la presenza di dipendenti del Ministero.
Quanto alle procedure da utilizzare per i rinnovi degli organi sociali nelle società controllate indirettamente dal MEF, il Dipartimento assicura, tra l'altro, che le società capogruppo, ad esclusione di quelle con titoli azionari quotati o controllate da società con titoli azionari quotati, approvino tempestivamente un regolamento in materia di selezione e nomina di membri degli organi sociali delle società partecipate, nel rispetto di quanto indicato alla precedente lettera c ), nonché, tra l'altro, dei seguenti criteri: valorizzare le competenze interne dei dipendenti del gruppo per l'assunzione della carica di amministratore; astenersi dal nominare amministratori della capogruppo a meno che siano attribuite ai medesimi deleghe gestionali a carattere continuativo nella stessa capogruppo; seguire il principio di onnicomprensività della remunerazione con obbligo di riversare i relativi compensi.
Il Dipartimento del Tesoro dovrà inoltre assicurare che le società capogruppo svolgano, in occasione dei rinnovi, un'istruttoria di carattere qualitativo e attitudinale dei potenziali candidati, comprensiva della verifica dei requisiti di eleggibilità, predisponendo una dettagliata e motivata relazione illustrativa dei processi valutativi seguiti. Le predette società, prima di procedere alla nomina dei componenti degli organi, devono inoltre comunicare l'esito dell'istruttoria inviando tempestivamente la citata relazione illustrativa, comprensiva dei documenti relativi alla procedura seguita, al Ministro dell'economia e delle finanze affinché il Dipartimento del Tesoro verifichi il rispetto dei criteri e delle procedure per la nomina. Il medesimo Dipartimento trasmette, per opportuna informazione, all'Ufficio di Gabinetto l'esito dell'istruttoria condotta e, a seguito della relativa presa d'atto, fornisce riscontro alla società capogruppo.
Da ultimo, si segnala, come espressamente indicato nel sito del MEF, che per l'invio delle candidature relative alle società direttamente partecipate, è necessario utilizzare l'applicativo Cros del portale Tesoro; occorre quindi essere intestatari di una casella di posta certificata ed effettuare la registrazione all'indirizzo https://portaletesoro.mef.gov.it. Per quanto attiene invece alle nomine degli organi sociali delle società indirettamente partecipate dal Ministero, le designazioni spettano alla società controllante e, pertanto, per l'invio della candidatura non è applicabile la suddetta procedura.
Tra le novità del TUSP è annoverabile anche la disciplina sui compensi da corrispondere ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo e ai dipendenti delle società in controllo pubblico, la quale stabilisce che tali compensi debbano dipendere dalla fascia di appartenenza della società, nell'ambito delle cinque fasce individuate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sulla base di indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi.
In particolare, ai sensi dell'articolo 11, comma 6, del TUSP, con il predetto decreto per ciascuna fascia dovrebbe essere determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale gli organi delle società devono fare riferimento per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre società a controllo pubblico.
Il medesimo decreto dovrebbe altresì stabilire i criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione, commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell'esercizio precedente. In caso di risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell'amministratore, si prevede inoltre il divieto di corresponsione della parte variabile della remunerazione.
Alla data del 15 ottobre 2024 il predetto decreto non è stato ancora adottato.
Pertanto, continua a trovare applicazione la disciplina transitoria di cui al comma 7 del citato articolo 11 del TUSP, in base al quale fino all'emanazione del nuovo decreto restano in vigore le disposizioni di cui all'articolo 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – secondo cui il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l'80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell'anno 2013 – nonché le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 24 dicembre 2013, n. 166, ossia il regolamento concernente la classificazione in tre fasce di complessità delle società non quotate controllate dal MEF (cfr.oltre).
Per approfondimenti in ordine all'applicazione di tale disciplina transitoria si rinvia all'apposito orientamento in ordine al rispetto del limite ai compensi degli amministratori, reso dalla Struttura di indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP del MEF.
Nella sezione relativa al Dipartimento del Tesoro del sito del MEF, si evidenzia, inoltre, come per quanto attiene ai compensi da deliberare ai sensi dell'articolo 2389, comma 1, del Codice civile (compensi assembleari), gli emolumenti al momento previsti in favore degli amministratori di società non quotate partecipate da pubbliche amministrazioni siano già stati oggetto di riduzione, in conseguenza dei provvedimenti legislativi intervenuti in materia nel corso degli ultimi anni.
Con riferimento agli emolumenti in favore di amministratori investiti di particolari funzioni (ai sensi dell'articolo 2389, comma 3, del codice civile), si ricorda invece che ai sensi del decreto ministeriale 24 dicembre 2013, n. 166, per le società non quotate direttamente controllate dal Ministero, il limite massimo al compenso da poter riconoscere agli amministratori con deleghe da parte del consiglio di amministrazione è quantificato, applicando all'importo di 240.000 euro annui lordi un coefficiente di proporzionalità pari, rispettivamente, al 100 per cento, all'80 per cento e al 50 per cento, a seconda della fascia di complessità di appartenenza della singola società.
Tali limiti retributivi sono riferiti, come specificato nel decreto del 2013, al compenso spettante all'Amministratore delegato, ovvero al Presidente, qualora quest'ultimo sia l'unico componente del Consiglio di Amministrazione al quale sono attribuite deleghe. Qualora, invece, pur in presenza dell'Amministratore delegato, al Presidente siano conferite deleghe operative, l'emolumento in questo caso deliberato non potrà essere superiore al 30 per cento del compenso previsto per l'Amministratore delegato (articolo 3, comma 4, del citato decreto ministeriale).
Come accennato, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 11 del TUSP, le disposizioni di cui al citato decreto ministeriale n. 166 del 2013 resteranno in vigore fino all'emanazione di un nuovo decreto ad opera del Ministro dell'economia e delle finanze, cui saranno assoggettate le società in controllo pubblico – con l'eccezione di quelle quotate – possedute dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Tale nuovo decreto, che come già detto non risulta ancora essere stato adottato, non sarà dunque riferito alle sole partecipazioni detenute dal MEF e la sua applicabilità non sarà circoscritta alla regolazione, nel loro valore massimo, degli emolumenti da poter riconoscere agli amministratori investiti di particolari cariche, bensì riguarderà il trattamento economico onnicomprensivo da poter attribuire, nel rispetto della fascia di complessità di appartenenza per ciascuna società, all'intera platea di amministratori, sindaci, dirigenti e dipendenti.
Si segnala, infine, che l'articolo 43, comma 2, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, ha introdotto alcuni obiettivi da perseguire in materia di politica di remunerazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze nell'esercizio dei suoi diritti di azionista di società quotate. Attraverso una modifica all'articolo 123-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), che reca la disciplina dell'obbligo di redazione della relazione sulla politica in materia di remunerazione e sui compensi corrisposti a cui sono tenute le società con azioni quotate, viene disposto che il Ministero dell'economia e delle finanze debba perseguire alcune finalità allorché si trovi ad agire come azionista ai fini dell'approvazione della suddetta politica di remunerazione.
In particolare, si prevede che nell'esercizio dei diritti dell'azionista inerenti l'approvazione della politica di remunerazione, il Ministero dell'economia e delle finanze eserciti il diritto di voto al fine di assicurare che, per gli incarichi conferiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge, vengano adottate strategie dirette a:
In materia di gestione del personale delle società a controllo pubblico, il Testo Unico (articolo 19) stabilisce, salvo specifiche disposizioni recate nel provvedimento, che i rapporti di lavoro siano disciplinati dalle medesime disposizioni relative al settore privato, mentre al reclutamento si applichino i principi previsti per l'accesso alle pubbliche amministrazioni.
In particolare, ai rapporti di lavoro dei dipendenti si applicano – per quanto non espressamente disciplinato – le disposizioni del Codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, ai sensi della vigente normativa e del CCNL di riferimento.
Le società a controllo pubblico stabiliscono con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi normativi validi per le pubbliche amministrazioni. È inoltre previsto che le amministrazioni pubbliche socie debbano fissare obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate anche mediante contenimento degli oneri contrattuali, in sede di contrattazione di secondo livello.
Viene inoltre definito uno specifico meccanismo di gestione dei processi di mobilità.
Una delle principali novità della riforma delle società partecipate consiste nell'individuazione, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito del Ministero medesimo, di una Struttura competente per l'indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull'attuazione del TUSP, dotata di poteri di indirizzo e ispettivi nei confronti delle società a partecipazione pubblica e chiamata a promuovere le migliori pratiche, nonché a gestire un elenco pubblico, accessibile anche via telematica, di tutte le società a partecipazione pubblica esistenti.
In particolare, la Struttura, disciplinata dall'articolo 15 del TUSP, svolge funzioni di indirizzo e coordinamento tramite orientamenti e indicazioni in materia di applicazione del Testo Unico, nonché attività di monitoraggio e controllo sulla corretta attuazione delle disposizioni del medesimo, con particolare riferimento ai processi di riduzione e razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche.
Ai sensi del comma 2 del citato articolo 15, la Struttura adotta nei confronti delle società a partecipazione pubblica le direttive sulla separazione contabile e verifica il loro rispetto, ivi compresa la relativa trasparenza. Le amministrazioni pubbliche e le società a partecipazione pubblica inviano alla Struttura le segnalazioni periodiche e ogni altro dato o documento richiesto.
Con gli uffici del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, essa può esercitare nei confronti di tutte le società a partecipazione pubblica i poteri ispettivi già previsti dalla normativa vigente (articolo 6, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95).
Tale Struttura è stata in origine individuata con il decreto ministeriale 16 maggio 2017 nella Direzione VIII del Dipartimento del Tesoro, anche al fine di assicurare la separazione, a livello organizzativo, tra la suddetta struttura e gli uffici responsabili dell'esercizio dei diritti sociali.
Si segnala tuttavia che con il DPCM 26 luglio 2023, n. 125, il Governo ha adottato un regolamento di riorganizzazione del MEF (di seguito "Regolamento"), con il quale, modificando il testo del previgente DPCM del 26 giugno 2019, n. 103, sono state previste una serie di innovazioni rilevanti in relazione all'esercizio dei poteri di governance che il MEF esercita in quanto azionista delle società a partecipazione pubblica.
Per quanto qui di interesse si rileva in particolare che il citato DPCM ha provveduto alla modifica del numero e delle funzioni dei singoli Dipartimenti del MEF, prevedendo l'istituzione del nuovo Dipartimento dell'economia che assorbe talune competenze in precedenza attribuite al Dipartimento del Tesoro, tra cui quelle di indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP, ora attribuite alla Direzione II - Partecipazioni societarie e tutela degli attivi strategici, del nuovo Dipartimento.
Nel dettaglio, il nuovo Dipartimento dell'economia ha competenza in materia di interventi finanziari in economia, partecipazioni societarie dello Stato e valorizzazione del patrimonio pubblico. Tra le aree tematiche nelle quali il Dipartimento interviene, si segnalano:
Quanto all'articolazione del Dipartimento, esso è composto dai seguenti tre uffici di livello dirigenziale generale:
Le competenze in materia di indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP saranno d'ora innanzi esercitate dalla Direzione II del nuovo Dipartimento dell'economia.
In particolare, la Direzione II - Partecipazioni societarie e tutela degli attivi strategici, si articola in uffici dirigenziali non generali e svolge le funzioni di:
a) analisi, gestione e valorizzazione delle partecipazioni societarie dello Stato nonché esercizio dei diritti del socio, nel rispetto di quanto previsto dalle disposizioni normative vigenti e, in particolare, dal TUSP;
b) indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del medesimo TUSP;
c) gestione dei processi di societarizzazione, privatizzazione e dismissione, nonché supporto ai processi di valorizzazione industriale delle società partecipate;
d) esercizio del controllo analogo sulle società in house di competenza del Dipartimento;
e) attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali di cui al decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, e successive modificazioni ed integrazioni, relativamente alle società a partecipazione pubblica;
f) rapporti con le istituzioni dell'Unione europea e con gli organismi internazionali nelle materie di competenza.
La Direzione III - Valorizzazione del patrimonio pubblico si articola anch'essa in uffici dirigenziali non generali e svolge le seguenti funzioni:
a) gestione delle banche dati realizzate mediante il censimento delle componenti dell'attivo delle pubbliche amministrazioni, tra i quali beni immobili, partecipazioni e concessioni di beni demaniali e servizi, e analisi delle informazioni raccolte;
b) politiche di razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio pubblico e coordinamento con le amministrazioni e società pubbliche cui è affidata la gestione di immobili pubblici e di beni demaniali dati in concessione;
c) attività di valorizzazione e dismissione dell'attivo immobiliare pubblico, anche mediante la costituzione di fondi immobiliari;
d) analisi, per quanto di competenza, delle concessioni, convenzioni e contratti di servizio con le società dello Stato.
Al Dipartimento è preposto un dirigente che assume la denominazione di "Direttore generale dell'economia". Attualmente, l'incarico è ricoperto da Marcello Sala.
Al fine di perseguire l'obiettivo di contenimento delle partecipazioni societarie pubbliche sotteso alla riforma del 2016, il TUSP prevede due tipologie di strumenti:
Quanto alla prima delle suddette procedure, l'articolo 20 del TUSP dispone che le Amministrazioni pubbliche debbano effettuare annualmente, con proprio provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ne ricorrano i presupposti stabiliti al comma 2 dell'articolo, un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione, entro il 31 dicembre di ogni anno.
Il predetto piano deve essere predisposto qualora le amministrazioni pubbliche rilevino:
Quanto agli esiti del predetto processo di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche previsto dal TUSP, dall'ultimo Rapporto sulle partecipazioni delle Amministrazioni Pubbliche del MEF, finito di elaborare nel mese di gennaio 2024 e recante le analisi svolte sui dati relativi alle partecipazioni pubbliche al 31 dicembre 2021, si evince come a distanza di diversi anni dall'entrata in vigore del Testo Unico tale il processo di razionalizzazione presenti ancora delle criticità.
Il Rapporto conferma, infatti, in linea con le precedenti rilevazioni, come un'alta percentuale di partecipazioni societarie pubbliche siano prive dei requisiti necessari per poter essere mantenute senza interventi di razionalizzazione. Persiste, quindi, un basso tasso di adeguamento delle amministrazioni alle prescrizioni del Legislatore di adottare misure di razionalizzazione idonee a ridurre il numero delle partecipazioni societarie non conformi ai parametri dettati dal TUSP.
In particolare, le elaborazioni contenute nel Rapporto evidenziano che, su 24.613 partecipazioni societarie per le quali è stata effettuata l'analisi di conformità rispetto al disposto normativo, 9.700 (pari a circa il 40 per cento del totale) non rispettano uno o più parametri previsti dal TUSP per il mantenimento. Per 7.241 di queste ultime (il 75 per cento dei casi) le pubbliche amministrazioni hanno espresso la volontà di mantenimento, nonostante l'obbligo di razionalizzazione disposto dal Testo Unico.
Il Rapporto rileva inoltre come in sede di approvazione dei provvedimenti di revisione periodica, da adottarsi entro il 31 dicembre 2022, le amministrazioni pubbliche abbiano dichiarato di aver dismesso o comunque razionalizzato più di 700 partecipazioni dirette, rispetto a quelle detenute al 31 dicembre 2020.
Più nel dettaglio, si ricorda che il MEF redige ogni anno un "Rapporto annuale sulle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche" che contiene l'analisi delle informazioni riguardanti le caratteristiche delle partecipazioni pubbliche. Tale rilevazione, che si svolge su base annuale, è stata avviata nel 2011, in attuazione dell'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nell'ambito del Progetto Patrimonio della PA di ricognizione degli asset pubblici.
A partire dal 2018, le amministrazioni interessate trasmettono, contestualmente e in maniera integrata, oltre ai dati relativi al censimento annuale delle partecipazioni pubbliche e dei loro rappresentanti in organi di governo di società ed enti (ai sensi dell'articolo 17 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90), le informazioni relative alla razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche, secondo quanto previsto dall'articolo 20 del TUSP.
La nuova edizione del Rapporto sulle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche, presentata nel febbraio 2024, reca, come accennato, le analisi svolte sui dati relativi alle partecipazioni pubbliche al 31 dicembre 2021, dichiarate dalle amministrazioni attraverso l'applicativo Partecipazioni del Portale Tesoro.
Nel merito, il Rapporto illustra:
a) i risultati dell'adempimento degli obblighi di comunicazione;
b) i dati sulle società partecipate e sulle partecipazioni societarie dichiarati dalle amministrazioni pubbliche, con un particolare approfondimento sui servizi affidati dalle amministrazioni locali alle società partecipate;
c) le analisi svolte dalla Struttura di indirizzo, monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP, in relazione agli effetti applicativi del Testo Unico in termini di partecipazioni razionalizzate e riduzione del numero delle società a partecipazione pubblica;
d) le informazioni comunicate sulle partecipazioni non societarie;
e) l'esito della rilevazione dei rappresentanti in organi di governo di società ed enti, partecipati e non partecipati.
Alla rilevazione ha risposto complessivamente oltre l'80 per cento delle amministrazioni censite nella banca dati del Dipartimento del Tesoro (10.623 adempienti su 13.246 nel perimetro soggettivo), in linea rispetto alla rilevazione dei dati 2020.
Per le amministrazioni del perimetro TUSP (12.833) il tasso di risposta si è attestato all'81,5 per cento (10.458 amministrazioni hanno assolto l'obbligo di comunicare i dati, -0,8 punti percentuali rispetto all'anno precedente).
Le partecipazioni societarie dichiarate dalle amministrazioni del perimetro soggettivo TUSP sono pari a 39.657 - di cui il 71 per cento dirette e il 29 per cento indirette detenute attraverso "tramiti controllate" – riconducibili a 5.081 società, di cui la società a responsabilità limitata e la società per azioni sono le tipologie prevalenti, rappresentando, rispettivamente, circa il 46,68 e il 30,25 per cento del totale.
Le analisi sullo stato di attività evidenziano che il 77,66 per cento delle società censite dalle amministrazioni del perimetro TUSP, a cui corrisponde l'86,08 delle partecipazioni societarie, risulta attivo.
Le società in liquidazione rappresentano circa il 14,11 per cento del totale e corrispondono al 9,6 per cento delle partecipazioni. Il dettaglio delle 717 società con procedure di liquidazione in corso al 2021 mostra come per il 52 per cento di queste la procedura sia iniziata da oltre 5 anni dalla data di rilevazione, mentre per il 19 per cento le procedure si protraggono da oltre 10 anni.
Le società soggette a procedure concorsuali sono il 5,57 per cento del totale e corrispondono al 3 per cento delle partecipazioni e anche in questo caso è evidente il protrarsi delle procedure concorsuali, con il 59 per cento delle società interessate da procedure iniziate da oltre 5 anni e il 17 per cento da oltre 10 anni.
I risultati della rilevazione al 31 dicembre 2021
Delle 39.657 partecipazioni societarie dichiarate dalle amministrazioni, riconducibili a 5.081 società, il Rapporto reca le analisi relative a un perimetro più circoscritto, poiché esclude le partecipazioni in società alle quali il TUSP si applica solo ove espressamente previsto o per le quali le amministrazioni socie sono esentate dall'obbligo di razionalizzazione, nonché altre partecipazioni meno significative.
Le partecipazioni considerate sono quindi pari a 26.320, detenute in 3.287 società da 7.403 amministrazioni adempienti, di cui l'84,37 per cento del totale è riferibile ai Comuni.
Rispetto a tali partecipazioni, le amministrazioni hanno comunicato di volerne mantenere 23.025 (87,48 per cento); per le rimanenti 3.295 (12,52 per cento) hanno invece manifestato la volontà di procedere con un intervento di razionalizzazione, che nel 38,76 per cento dei casi si sostanzierebbe in una cessione a titolo oneroso.
In più di un quinto dei casi (21,82 per cento) è stata indicata la volontà di mantenere la partecipazione, mettendo in atto altre azioni di razionalizzazione della società, di tipo gestionale, da attuarsi, ad esempio, attraverso la riduzione dei costi di funzionamento.
L'analisi di conformità alle prescrizioni del TUSP
Il Rapporto, come di consueto, reca l'analisi del tasso di adempimento delle amministrazioni all'obbligo di razionalizzare le partecipazioni che non soddisfano i requisiti indicati dall'articolo 20, comma 2, del TUSP.
Si ricorda che i parametri previsti dal Testo Unico sono sia di tipo quantitativo (numero di risultati di esercizio in perdita nell'ultimo quinquennio, livello del fatturato medio nell'ultimo triennio, numero dei dipendenti rispetto a quello degli amministratori), sia di tipo qualitativo (attività svolta, necessità di aggregazione di società o di contenimento dei costi di funzionamento, svolgimento di attività analoghe o similari ad altre società partecipate dalla stessa amministrazione).
Rispetto al perimetro delle predette 26.320 partecipazioni, il Rapporto articola l'analisi su piani separati sulla base della data di costituzione della società partecipata rispetto alla data di entrata in vigore del TUSP (23 settembre 2016).
In linea generale, per le 2.829 società costituite anteriormente a tale data, cui fanno riferimento 24.613 partecipazioni, il Rapporto rileva come 9.700 di queste partecipazioni (pari al 39,41 per cento del totale) risultino non conformi al TUSP in quanto non rispondenti a uno o più dei criteri previsti dal Testo Unico. Per il 74,65 per cento delle 9.700 partecipazioni non conformi (pari a 7.241 partecipazioni) le pubbliche amministrazioni hanno espresso la volontà di mantenimento, nonostante l'obbligo di razionalizzazione disposto dal Testo Unico.
Continua pertanto a persistere un basso tasso di adeguamento delle amministrazioni alle prescrizioni del Legislatore di adottare misure idonee a ridurre il numero delle partecipazioni societarie non conformi ai parametri dettati dal TUSP. Infatti, continua il Rapporto, il mancato adeguamento a tali prescrizioni riguarda circa il 30 per cento delle partecipazioni esaminate.
Analisi per fatturato
In particolare, il Rapporto evidenzia che, a fronte dell'obbligo di cui all'articolo 20, comma 2, lett. d), del TUSP – ai sensi del quale le amministrazioni pubbliche devono adottare misure di razionalizzazione per le partecipazioni detenute in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro – sono 1.912 le società (riferibili a 20.137 partecipazioni) che registrano un valore di fatturato medio nel triennio 2019-2021 superiore a quello minimo indicato dal TUSP (si tratta del 67,59 per cento dei casi).
Invece, tra le 917 società (riferibili a 4.476 partecipazioni) che registrano un fatturato medio non in linea con il TUSP, solo nel 27,37 per cento dei casi le amministrazioni hanno scelto di attuare interventi di razionalizzazione, mentre per il restante 72,63 per cento dei casi hanno manifestato la volontà di mantenere comunque la partecipazione nella società.
Risultato d'esercizio negativo
A fronte dell'obbligo di razionalizzare le "partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti", disposto dall'articolo 20 comma 2, lettera e), del TUSP, il Rapporto segnala che su un totale di 2.829 società partecipate, 215 società, il 7,6 per cento del totale, presentano un risultato economico negativo in almeno quattro degli ultimi cinque esercizi (108 per quattro esercizi e 107 per cinque esercizi).
Rispetto al totale delle 708 partecipazioni riferibili alle suddette 215 società, solo nel 39,12 per cento dei casi (pari a 277 partecipazioni) le amministrazioni hanno deciso di porre in essere delle azioni di razionalizzazione, mentre per il restante 60,88 per cento (pari a 431 partecipazioni), le amministrazioni hanno dichiarato di voler mantenere la partecipazione nella società, senza porre in essere alcuna azione di razionalizzazione. Tuttavia, per 216 delle 708 partecipazioni considerate, le amministrazioni hanno espresso legittimamente la volontà di mantenerle, in quanto detenute in società che, pur presentando un risultato economico negativo per almeno 4 degli ultimi 5 esercizi, gestiscono un servizio di interesse generale e, pertanto, rientrano nell'ambito dell'eccezione riportata nel disposto del citato articolo 20, comma 2, lettera e), del TUSP.
Dipendenti delle società a partecipazione pubblica
L'articolo 20, comma 2, lettera b), del TUSP, impone alle amministrazioni l'obbligo di razionalizzare le partecipazioni detenute in "società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti".
Al riguardo il Rapporto rileva che su 2.829 partecipate, 637 società, pari al 22,52 per cento del totale, risultano prive di dipendenti (407) o con un numero di dipendenti inferiore al numero degli amministratori (230), risultando pertanto carenti del citato requisito prescritto dal TUSP.
Inoltre, rispetto al totale delle partecipazioni riferibili alle società che non rispettano il parametro sui dipendenti, solo nel 30,79 per cento dei casi le amministrazioni hanno deciso di attuare azioni di razionalizzazione, mentre per il restante 69,21 per cento le amministrazioni hanno dichiarato di voler mantenere la partecipazione nella società.
Attività delle società
Per quanto concerne il requisito qualitativo di cui all'articolo 20, comma 2, lettera a), del TUSP, che impone la razionalizzazione delle partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'articolo 4 del medesimo Testo unico, dall'analisi dei dati dichiarati è emerso che, su un totale di 24.613 partecipazioni, il 16 per cento circa, pari a 3.928 partecipazioni, è detenuto in società che non rispettano il suddetto requisito inerente all'attività svolta.
Inoltre, su 3.928 partecipazioni detenute in società non conformi a tale requisito, solo per 942 partecipazioni è stata indicata la decisione di adottare una misura di razionalizzazione.
Il Rapporto indica altresì una serie di fattispecie residuali concernenti ulteriori parametri di conformità al TUSP delle partecipazioni societarie (attività analoghe, contenimento costi di funzionamento, aggregazione societaria) in base ai quali risulta che per 3.147 partecipazioni (il 12,79 per cento) le amministrazioni hanno dichiarato la sussistenza di una delle ulteriori casistiche di non conformità ai sensi dell'articolo 20, lettere c), f) e g), del TUSP.
Infine, il Rapporto analizza i dati forniti dalle amministrazioni in merito alle società partecipate costituite dopo il 23 settembre 2016, rilevando come nella quasi totalità dei casi (91,53 per cento) le amministrazioni abbiano comunicato l'intenzione di mantenere senza interventi la propria partecipazione.
L'organo di amministrazione nelle società a controllo pubblico
Prendendo in considerazione l'organo amministrativo delle società partecipate in misura superiore al 50 per cento da soci pubblici, il Rapporto rileva come l'amministratore unico sia la tipologia prescelta nella maggioranza dei casi (48,36 per cento), di poco superiore ad un organo collegiale di 3 o 5 membri (47,93 per cento).
L'analisi mostra altresì come vi siano anche alcune società con una composizione dell'organo amministrativo non in linea con il dettato normativo, per le quali evidenzia l'esigenza di avviare una specifica verifica.
Il Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029 (PSB) si sofferma, tra l'altro, anche sul processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie detenute dalle Pubbliche Amministrazioni, avviato dal TUSP e oggetto di monitoraggio e controllo da parte del MEF, in relazione al quale si evidenzia, alla luce delle risultanze dell'ultimo "Rapporto sulle Partecipazioni delle Amministrazioni Pubbliche" pubblicato nel febbraio 2024 (cfr. supra), un basso tasso di adeguamento delle amministrazioni alle prescrizioni di ridurre il numero delle partecipazioni non conformi ai parametri dettati dal Legislatore per il loro mantenimento.
In proposito, il Governo sottolinea come tale fenomeno sia dovuto, in parte, alle difficoltà applicative relative alla disciplina del Testo unico, annunciando quindi come sia in corso una sua revisione al fine di garantire un'effettiva dismissione delle partecipazioni non funzionali alle finalità istituzionali degli enti pubblici, senza pregiudicare l'operatività delle società che svolgono servizi di interesse pubblico né aggravare gli oneri burocratici a carico dei soci pubblici.
Facendo seguito all'invio del PSB, il 16 ottobre 2024 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha altresì trasmesso alle Camere il Doc. CCXXXII, n. 1 – Appendice VI, recante gli impegni relativi all'insieme di riforme e investimenti descritti nel Capitolo III del documento, che contengono anche quelli rispetto ai quali la Commissione europea ha espresso l'assenso ai fini della proroga, da quattro a sette anni, del periodo di aggiustamento di cui all'articolo 14 del Regolamento UE 2024/1263.
La predetta Appendice VI contiene, tra le altre, la "Tavola A.VI.6: Riforme e investimenti previsti in materia di razionalizzazione delle imprese pubbliche", nella quale si prevede, quale linea di azione, l'adozione di "provvedimenti nazionali efficaci per la razionalizzazione delle imprese partecipate dallo Stato". L'intervento chiave consiste nell'adottare "misure per garantire e rafforzare l'attuazione del quadro giuridico sulle imprese pubbliche". Il Governo si impegna dunque a garantire l'efficace attuazione del TUSP con particolare riferimento "alle attività e all'efficienza operativa delle partecipazioni detenute in imprese pubbliche, al fine di assicurare una razionalizzazione efficace e la dismissione delle imprese pubbliche non efficienti senza compromettere la fornitura di servizi pubblici".
A fianco della procedura ordinaria di razionalizzazione, con la quale il Legislatore ha voluto rendere periodico il meccanismo di verifica delle partecipazioni societarie, l'articolo 24 del TUSP ha introdotto una procedura di revisione straordinaria in esito alla quale le partecipazioni non rispondenti alle finalità istituzionali indicate nel TUSP avrebbero dovuto essere alienate entro un anno dalla conclusione di una ricognizione da effettuare entro il 30 settembre 2017.
In particolare, il citato articolo 24 ha stabilito che entro il 30 settembre 2017 ciascuna amministrazione pubblica fosse tenuta ad effettuare con provvedimento motivato la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del Testo Unico (23 settembre 2016), individuando quelle che avrebbero dovuto essere alienate in quanto:
Il mantenimento delle partecipazioni pubbliche (dirette e indirette) in sede di revisione straordinaria richiedeva pertanto una motivazione analitica circa le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e della sua compatibilità con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa, come precisato dalla Corte dei conti, Sez. autonomie, nella delibera del 19 luglio 2017, n. 19, con cui sono state approvate le Linee di indirizzo per la revisione straordinaria delle partecipazioni di cui all'articolo 24 del decreto legislativo n.175 del 2016.
In caso di mancata adozione dell'atto ricognitivo ovvero di mancata alienazione entro i termini previsti, il Testo Unico (articolo 24, comma 5) ha previsto che il socio pubblico non possa esercitare i diritti sociali nei confronti della società e che, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all'articolo 2437-quater del Codice civile.
La disciplina transitoria di cui all'articolo 26 del TUSP ha peraltro individuato una serie di esenzioni dall'applicazione delle previsioni sulla dismissione delle partecipazioni pubbliche e stabilito che i relativi atti devono essere comunicati alla Corte dei conti.
Sul completamento di tale procedura di revisione straordinaria il Legislatore è intervenuto più volte, differendone gli effetti.
In un primo momento, la Legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 723, della legge 30 dicembre 2018, n. 145) ha introdotto un comma 5-bis all'articolo 24 del TUSP che ha previsto la disapplicazione, fino al 31 dicembre 2021, dei commi 4 (obbligo di alienazione entro un anno dalla ricognizione straordinaria) e 5 (divieto per il socio pubblico di esercitare i diritti sociali e successiva liquidazione coatta in denaro delle partecipazioni) del medesimo articolo 24 nel caso di società partecipate che abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione. Per queste società in utile la norma ha autorizzato pertanto l'amministrazione pubblica a prolungare la detenzione delle partecipazioni societarie, motivando tale intervento con la finalità di tutela del patrimonio pubblico e del valore delle quote societarie pubbliche.
In seguito, il decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (articolo 16, comma 3-bis) ha inserito all'articolo 24 del TUSP un nuovo comma 5-ter con il quale è stata prorogata per l'anno 2022 la norma che disapplica, fino al 31 dicembre 2021, il citato obbligo di alienazione e le relative conseguenze in caso di inadempimento per le medesime società partecipate che abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio 2017-2019.
Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria è esercitato dalla Corte dei conti a mezzo della "Sezione del controllo sugli enti", istituita ai sensi dell'articolo 9 della legge 21 marzo 1958, n. 259, che si ricollega direttamente al dettato dell'articolo 100 della Costituzione.
In particolare, la Corte dei conti controlla la gestione degli enti che, a prescindere dalla forma giuridica privatistica o pubblicistica:
a) godono di contribuzione continuativa o periodica a carico dello Stato o si finanziano con imposte, contributi, tasse che sono autorizzati a imporre o che siano a essi devolute;
b) godono di un apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria.
L'individuazione della platea delle società oggetto del controllo è prevista direttamente dalla legge, oppure da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha il compito di riconoscerne la sussistenza dei presupposti; la Corte detiene, peraltro, attraverso la Sezione centrale, un potere di sollecitazione nei confronti della Presidenza del Consiglio, quando sorgono nuovi organismi che dovrebbero essere assoggettati al controllo.
Il controllo svolto dalla Corte dei conti si articola in due tipologie.
La prima forma di controllo, disposta ai sensi degli articoli 2, 3 e 6 della citata legge n. 259 del 1958, è di carattere cartolare: gli enti pubblici o privati che fruiscono di contribuzioni periodiche hanno l'obbligo di trasmettere alla Corte i conti consuntivi e i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione; la relativa istruttoria è affidata ad un magistrato della Sezione e si conclude con la redazione di un referto che sarà poi approvato in sede collegiale dalla stessa Sezione. Gli enti sottoposti a tale forma di controllo sono oltre 200, tra i quali si richiamano, a titolo esemplificativo, la RAI, le Ferrovie dello Stato (FS), il CONI, l'ACI, l'ENEA, l'ENAV e l'ENAC.
La seconda forma di controllo, la c.d. forma "diretta" di cui all'articolo 12 della legge n. 259 del 1958, è riservata agli enti a cui lo Stato contribuisce con apporti di patrimonio in capitale o di servizi o di beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria. Nei confronti di tali enti il controllo di gestione è esercitato, oltre che con la trasmissione dei consuntivi e dei bilanci, mediante la presenza alle sedute degli organi di amministrazione o di revisione dell'ente di un magistrato della Sezione di controllo designato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti. Tra i circa 60 enti sottoposti a tale forma di controllo, si possono annoverare l'ENI, l'ENEL, l'ANAS, l'ISTAT, l'INPS e l'INAIL.
Oltre a tali controlli di tipo referente, la Corte può formulare in qualsiasi momento i suoi rilievi al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro competente, se accerti irregolarità nella gestione di un ente e, comunque, quando lo ritenga opportuno.
Una nuova forma di controllo è stata introdotta dall'articolo 11 della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), che ha novellato l'articolo 5 del TUSP prevedendo che la Corte dei conti sia tenuta a pronunciarsi, entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento, sull'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite, valutandone la conformità con quanto disposto dagli articoli 4, 7 e 8 del Testo Unico, con particolare riguardo alla sostenibilità finanziaria e alla compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. Qualora la Corte non si pronunci entro il termine, l'amministrazione può procedere alla costituzione della società o all'acquisto della partecipazione.
I medesimi atti deliberativi debbono essere altresì trasmessi all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può esercitare i poteri di cui all'articolo 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287.
Si rammenta, inoltre, che con Protocollo d'intesa del 10 maggio 2021 sottoscritto dal Presidente della Corte dei conti e dal Ministro dell'economia e delle finanze è stata consolidata una collaborazione tra la Struttura del MEF competente per l'indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull'attuazione del Testo Unico (le cui funzioni sono ora state ricondotte alla Direzione II del nuovo Dipartimento dell'economia del medesimo Ministero) e le competenti Sezioni della Corte dei conti al fine di rafforzare l'efficacia delle rispettive attività di monitoraggio e controllo sull'attuazione del TUSP.
Si segnala, infine, che Determinazione del 28 febbraio 2024, n. 25, la Sezione del Controllo sugli enti della Corte dei Conti ha approvato il Programma delle attività di controllo per l'anno 2024, con il quale vengono definite le linee programmatiche dell'attività della Sezione per il medesimo anno, in coerenza con gli indirizzi ed i criteri di riferimento deliberati dalle Sezioni riunite in sede di controllo nell'adunanza del 21 dicembre 2023, al fine di garantire che le funzioni di controllo siano esercitate secondo canoni uniformi.
Nel Programma, la Corte rileva anzitutto che gli enti assoggettati a controllo mediante DPCM o specifica disposizione normativa sono, al 31 dicembre 2023, complessivamente 315 (317 nel 2022), di cui: 205 (211 nel 2022) enti pubblici; 42 (40 nel 2022) società e 68 (66 nel 2022) persone giuridiche di diritto privato diverse dalle società. Viene inoltre rilevato come alla luce delle problematiche emergenti dal progressivo aumento negli ultimi esercizi degli enti controllati, (ad esempio Leonardo S.p.A., le cinque autorità di bacino nazionali, Giubileo 2025 S.p.A., Ita Airways S.p.A., Milano Cortina infrastrutture S.p.A., Biotecnopolo di Siena, Società Stretto di Messina S.p.A.), tutti di grande rilevanza o di elevata complessità, appaia ineludibile dare priorità allo svolgimento delle funzioni di controllo obbligatorie previste dalla legge n. 259 del 1958 e assicurarne la necessaria tempestività.
Inoltre, il documento evidenzia l'esigenza di avviare un percorso di verifica della persistente attualità dei requisiti per la continuazione del controllo su alcune gestioni per le quali il contributo ordinario annuale dello Stato sia inferiore al valore che si ritiene congruo stabilire in almeno due milioni, in linea con quanto previsto dalla legge n. 259 del 1958; dovrà poi essere dichiarata la cessazione del controllo, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 3, comma 4, della citata legge, anche nei riguardi degli enti per i quali sia venuto meno il contributo ordinario dello Stato. Il Programma segnala altresì come la Sezione debba invece continuare a confrontarsi con gli impegni connessi alle verifiche sui progetti del PNRR assegnati agli enti sottoposti a controllo, secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 77 del 2021, nonché con l'emanazione dei pareri previsti dell'articolo 5 del TUSP in materia di costituzione di nuove società o di acquisizioni di partecipazioni da parte di soggetti pubblici.
A seguito delle operazioni di privatizzazione avviate negli anni Ottanta e Novanta e del superamento degli enti di gestione delle partecipazioni statali, è venuto meno il controllo parlamentare - sino ad allora esercitato nelle forme previste dalla legge 12 agosto 1977, n. 675 e dalla legge 24 gennaio 1978, n. 14 - sulle società di diritto comune derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici.
La disciplina generale per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici di cui alla citata legge n. 14 del 1978 fu infatti ritenuta non applicabile agli organismi societari sorti dalle privatizzazioni. Problemi interpretativi si posero anche in relazione al controllo della Corte dei conti e furono risolti con la sentenza 28 dicembre 1993, n. 466 della Corte Costituzionale che ha chiarito come la funzione di controllo della Corte dei conti si eserciti su tutti gli enti che godono di un apporto dello Stato al patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione di garanzia, ivi comprese pertanto le società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni, fino a quando permanga la partecipazione maggioritaria dello Stato o degli altri pubblici poteri al capitale sociale.
La Corte evidenziò, in particolare, come il concetto di diritto pubblico, ai sensi della legge 21 marzo 1958, n. 259, ricorra anche quando ci sia una gestione che, pur non potendosi ricondurre ai caratteri tipici dell'ente pubblico, è pur sempre una gestione di derivazione finanziaria statale, con contribuzioni ordinarie o che si avvale del contributo dello Stato in forma di partecipazione al capitale o al patrimonio. Finché le risorse gestite dalle partecipate conserveranno la loro derivazione dalla finanza pubblica, nella specie da quella statale, il controllo della Corte dei conti continuerà pertanto ad essere svolto. Tale interpretazione è stata poi estesa a tutte le società partecipate nazionali.
Alla luce di tale orientamento, al termine di ogni esercizio finanziario la Corte dei conti adotta una pronuncia nella quale svolge le proprie valutazioni sulla gestione finanziaria dell'ente controllato secondo le modalità sopra richiamate.
La relazione è inviata al Parlamento per l'esercizio della funzione di controllo, nonché all'ente controllato e ai Ministeri vigilanti per far loro adottare i provvedimenti necessari a rimuovere le eventuali irregolarità contabili, amministrative e gestionali riscontrate.
L'articolo 149 del Regolamento della Camera dei deputati dispone al riguardo che le relazioni che la Corte dei conti invia al Parlamento sulla gestione degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria siano assegnate all'esame della Commissione competente per materia (Doc. XV).
La Commissione, su richiesta di un quinto dei suoi componenti, o un suo Comitato, possono, tramite il Presidente della Camera, invitare la Corte dei conti a fornire ulteriori informazioni ed elementi di giudizio.
La Commissione competente può altresì votare una risoluzione a norma dell'articolo 117 del Regolamento.
Oltre alla facoltà di esaminare le deliberazioni della Corte dei conti sulla gestione delle società partecipate e di far ricorso agli altri strumenti di indirizzo, controllo e informazione previsti dai Regolamenti delle Camere, il Parlamento esercita in taluni ambiti specifiche funzioni di controllo.
Tra le società partecipate una disciplina speciale è prevista per la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e per la RAI, società in relazione alle quali operano, rispettivamente, la Commissione di vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti – non ancora ricostituita dopo l'inizio della XIX Legislatura – e la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
La Commissione di vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti è prevista dall'articolo 3 del regio decreto 2 gennaio 1913, n. 453, così come novellato dal comma 1 dell'articolo 19-bis del decreto-legge 10 novembre 1978, n. 702, che stabilisce che la Cassa depositi e prestiti sia posta sotto la vigilanza di una commissione composta di quattro senatori e di quattro deputati, di tre consiglieri di Stato e di un consigliere della Corte dei conti. I senatori ed i deputati sono eletti dalle rispettive Camere all'inizio di ogni legislatura e al termine di una legislatura rimangono in carica fino alla ricostituzione dell'organo nella successiva. Per ciascun parlamentare membro effettivo è designato un supplente, chiamato a sostituirlo in caso di cessazione dall'incarico. I consiglieri di Stato ed il consigliere della Corte dei conti sono nominati rispettivamente dal presidente del Consiglio di Stato e dal presidente della Corte dei conti, restano in carica per lo stesso periodo previsto per i parlamentari e possono essere riconfermati. Secondo quanto previsto dall'articolo 9 del regolamento interno, la Commissione svolge le proprie funzioni di vigilanza, di sindacato politico e di legittimità generale, tra l'altro, mediante: a) richieste al vertice aziendale di CDP di ogni informazione e documentazione sull'andamento della gestione separata e su ogni singolo aspetto della gestione stessa; b) trasmissione al Ministro dell'economia e delle finanze di osservazioni o di richieste informative; c) invito in audizione di ogni soggetto coinvolto, a vario titolo, nelle attività di amministrazione della gestione separata; d) trasmissione al Parlamento di eventuali proposte normative a sostegno delle funzioni attribuite a CDP dalla legge.
La Commissione approva delle Relazioni sugli argomenti trattati (Doc. X). Nel corso della XVIII Legislatura sono state approvate cinque relazioni.
La Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi della XIX Legislatura è stata costituita nella seduta del 4 aprile 2023. Riguardo alla composizione, si segnala che l'articolo 7 della legge 9 febbraio 2023 n. 12 ha modificato l'articolo 1, comma 3, della legge 14 aprile 1975, n. 103 portando a 42 il numero dei componenti (21 senatori e 21 deputati), nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di almeno un deputato per ciascun gruppo esistente alla Camera dei deputati e di almeno un senatore per ciascun gruppo esistente al Senato della Repubblica.
Quanto alle funzioni della Commissione, ai sensi dell'articolo 4 delle legge 14 aprile 1975, n. 103, essa formula gli indirizzi generali per il servizio pubblico radiotelevisivo, controllandone il rispetto, stabilisce le norme per garantire l'accesso al mezzo radiotelevisivo e disciplina direttamente le tribune politiche ed elettorali. Per l'adempimento dei suoi compiti la Commissione può audire il presidente, gli amministratori e i dirigenti della società concessionaria e chiedere alla stessa di effettuare indagini e studi. La disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo è attualmente regolata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, che all'articolo 63, comma 1, ne dispone l'affidamento in concessione fino al 30 aprile 2027 alla RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a..
La Commissione esprime il parere sullo schema di decreto ministeriale di affidamento e sull'annesso schema di convenzione; esprime, a maggioranza di due terzi, il parere sulla nomina del presidente del consiglio di amministrazione della RAI, che è effettuata dal consiglio fra i suoi componenti e che diviene efficace solo dopo l'acquisizione del parere favorevole della Commissione; esprime il parere sulla revoca dei componenti del consiglio, deliberata dall'assemblea, che acquista efficacia solo dopo il parere favorevole della Commissione. Il consiglio di amministrazione riferisce semestralmente sulle attività svolte dalla RAI, consegnando l'elenco completo degli ospiti partecipanti alle trasmissioni. La Commissione, inoltre, esprime il parere sullo schema di contratto di servizio con la società concessionaria (ai sensi dell'articolo 5, comma 6, della legge 28 dicembre 2015, n. 220).
Da segnalare altresì le funzioni della Commissione in materia di comunicazione elettorale e politica. In particolare, la Commissione adotta prescrizioni per garantire la par condicio tra le forze politiche nell'accesso agli spazi radiotelevisivi di propaganda elettorale della RAI e disciplina direttamente le rubriche elettorali e i servizi o i programmi di informazione elettorale della concessionaria del servizio pubblico nel periodo elettorale, in modo che siano assicurate la parità di trattamento, la completezza e l'imparzialità rispetto a tutti i partiti e i movimenti presenti nella campagna elettorale (articolo 1, comma 1, della legge 10 dicembre 1993, n. 515); definisce inoltre modalità, criteri e ambiti territoriali di diffusione della comunicazione politica della RAI e dei messaggi autogestiti durante le campagne elettorali e referendarie e i criteri specifici per i programmi di informazione durante le campagne medesime (articolo 4, commi 2, 3 e 11, e articolo 5, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28).