La legge 12 luglio 2011, n. 120 (c.d. "legge Golfo-Mosca") ha introdotto un meccanismo volto a rendere più equilibrata la rappresentanza dei generi all'interno degli organi collegiali delle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione europea e delle società, non quotate, controllate dalle pubbliche amministrazioni.
La disciplina in materia è stata in seguito integrata dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP) di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, nonché dalla Legge di bilancio 2020 e, da ultimo, dall'articolo 6 della legge 5 novembre 2021, n.162.
In particolare, la legge n. 120 del 2011 ha introdotto modifiche agli articoli 147-ter e 148 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), volte a prevedere l'obbligo, per le società quotate, di inserire nei propri statuti disposizioni per garantire l'equilibrio tra i generi negli organi collegiali di amministrazione e di controllo, per tre mandati consecutivi decorrenti dal primo rinnovo successivo a un anno dalla data di entrata in vigore della medesima legge (intervenuta il 12 agosto 2011). La legge aveva quindi imposto un adeguamento degli statuti delle società quotate affinché fosse previsto, in sede di riparto degli amministratori da eleggere, che il genere meno rappresentato ottenesse almeno un terzo degli amministratori eletti. Analogo criterio era stato previsto per gli organi di controllo.
In seguito, la legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi 302-305 della legge 27 dicembre 2019, n. 160), novellando i predetti articoli 147-ter e 148 del TUF, ha esteso da tre a sei i mandati in cui trovano applicazione, per gli organi delle società quotate, le citate disposizioni introdotte dalla legge n. 120 del 2011, modificando al contempo il criterio di riparto degli amministratori e dei membri dell'organo di controllo al fine di prevedere che il genere meno rappresentato debba ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti (40 per cento), in luogo della quota di almeno un terzo (33 per cento circa) disposta dalle norme previgenti.
Si rammenta che nel sistema delle società quotate, anche controllate da pubbliche amministrazioni, la funzione di controllo sul rispetto delle quote di genere introdotte dalla legge n. 120 del 2011 è affidata alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), alla quale sono stati riconosciuti rilevanti poteri sanzionatori in caso di violazione della disciplina. Nel dettaglio, qualora la composizione degli organi collegiali non rispetti il criterio di riparto stabilito, la CONSOB diffida la società ad adeguarsi entro un termine massimo di quattro mesi. L'inottemperanza alla diffida comporta una sanzione pecuniaria amministrativa da 100.000 euro a 1 milione di euro e la fissazione di un ulteriore termine di tre mesi per adempiere. Solo all'inosservanza di tale ultima diffida consegue la decadenza dei membri del consiglio di amministrazione. Se lo squilibrio riguarda gli organi di controllo la sanzione è compresa tra 20.000 e 200.000 euro e anche in tal caso è prevista, in ultima istanza, la decadenza dei membri del collegio sindacale della società interessata.
L'articolo 3 della legge n.120 del 2011 aveva esteso il predetto criterio di riparto di un terzo degli amministratori eletti in favore del genere meno rappresentato anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati, demandando ad apposito regolamento (poi adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251) la definizione di termini e modalità di attivazione del principio di equilibrio di genere nelle società a controllo pubblico.
Per quanto concerne il sistema dei controlli nelle società non quotate, l'articolo 4 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero al Ministro delegato per le pari opportunità, i compiti di monitoraggio e vigilanza sull'applicazione delle quote di genere negli organi di amministrazione e controllo delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni a livello centrale, regionale e locale, da esercitare per il tramite del Dipartimento per le pari opportunità.
Ai fini del monitoraggio sull'applicazione della normativa, il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012 pone a carico delle società controllate dai soggetti pubblici l'obbligo di comunicare al Presidente del Consiglio dei ministri, o al Ministro delegato per le pari opportunità, la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione, in caso di modificazione della composizione in corso di mandato. È fatto poi obbligo all'organo di amministrazione e all'organo di controllo delle medesime società di comunicare al Presidente del Consiglio dei ministri, o al Ministro delegato per le pari opportunità, la mancanza di equilibrio tra i generi, anche quando questa si verifichi in corso di mandato (articolo 4, commi 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012).
Per le società a controllo pubblico si delinea, inoltre, un controllo a carattere "diffuso", posto che la segnalazione sul mancato rispetto degli obblighi stabiliti dalla legge può essere altresì fatta pervenire al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità da chiunque vi abbia interesse (articolo 4, comma 4). In ordine alle sanzioni, si prevede una doppia diffida, ciascuna con termine di sessanta giorni. Decorso inutilmente il secondo termine, è prevista la decadenza degli organi.
Successivamente all'adozione della legge n. 120 del 2011 e dei relativi regolamenti attuativi, diversi interventi normativi hanno modificato la disciplina concernente le quote di genere negli organi delle società quotate e nelle società, non quotate, assoggettate a controllo pubblico.
Per quanto riguarda le società a controllo pubblico non quotate, è intervenuto dapprima l'articolo 11, comma 4, TUSP, che si è fatto carico di garantire a regime l'equilibrio di genere nell'individuazione degli amministratori delle società a controllo pubblico, sia con riferimento al numero complessivo delle nomine da effettuare nelle società nel corso dell'anno, sia a livello di singola società, qualora si sia optato per un organo amministrativo a composizione collegiale.
In particolare, il Testo Unico stabilisce che nella scelta degli amministratori le Pubbliche Amministrazioni sono tenute ad assicurare il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d'anno; ciò comporta un obbligo specifico a carico delle amministrazioni che ha di fatto esteso la portata applicativa del suddetto principio anche alle società dotate di un organo amministrativo monocratico.
Qualora la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto deve comunque prevedere che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge n.120 del 2011, ossia che il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti.
Tali obblighi previsti dal TUSP a carico sia delle Pubbliche Amministrazioni "controllanti", sia delle società controllate, sono operativi a partire dall'entrata in vigore del citato articolo 11 (23 settembre 2016) e le società a controllo pubblico – già costituite al momento dell'entrata in vigore del Testo Unico – erano tenute ad adeguare i propri statuti entro il 31 luglio 2017.
Si segnala che la disciplina del TUSP riguarda il rispetto del principio della parità di genere esclusivamente negli organi amministrativi, mentre le disposizioni di cui alla legge n. 120 del 2011 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012 riguardano la composizione sia degli organi amministrativi che di controllo, a composizione collegiale, delle società a controllo pubblico.
Inoltre, le disposizioni del TUSP hanno un'efficacia permanente e non invece temporanea come quelle della legge n. 120 del 2011 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012, ove i criteri di riparto degli organi societari apicali volti a tutelare l'equilibrio di genere erano originariamente operativi per tre mandati consecutivi, a decorrere dal primo rinnovo degli organi interessati successivo all'entrata in vigore dei provvedimenti stessi.
A tale ultimo riguardo, occorre evidenziare che la legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi 302-305 della legge 27 dicembre 2019, n. 160), novellando gli articoli 147-ter e 148 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ha:
La medesima Legge di bilancio 2020 ha stabilito che il criterio di riparto di almeno due quinti venga applicato a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate successivo al 1° gennaio 2020 (data di entrata in vigore della legge di bilancio). Resta fermo, per il primo rinnovo successivo alla data di inizio delle negoziazioni, il criterio di riparto di almeno un quinto previsto dall'articolo 2 della legge Golfo-Mosca. La Legge di bilancio 2020 ha inoltre disposto che la Consob comunichi annualmente gli esiti delle verifiche sull'attuazione delle norme in esame al Dipartimento delle pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio, per il quale è stato stanziato un contributo straordinario di 100.000 euro per gli anni dal 2020 al 2022.
Infine, si rammenta che sulla materia è da ultimo intervenuto l'articolo 6 della legge 5 novembre 2021, n. 162, che ha esteso la richiamata disciplina in tema di equilibrio di genere negli organi amministrativi delle società quotate di cui all'articolo 147-ter, comma 1-ter, del TUF (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) alle società, costituite in Italia e non quotate, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile.
Anche alle società a controllo pubblico non quotate si applicherà pertanto, per sei mandati consecutivi, il medesimo criterio di riparto degli amministratori delle società quotate volto ad assicurare che il genere meno rappresentato ottenga almeno due quinti degli amministratori eletti; parimenti, dal tenore del citato articolo 6, dovrebbe applicarsi la richiamata procedura di diffida e decadenza in caso di mancata ottemperanza.
Il comma 2 del medesimo articolo 6 ha demandato ad un apposito regolamento, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 3 febbraio 2022), la definizione delle conseguenti modifiche al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 251 del 2012. Si segnala che, alla data del 15 ottobre 2024, tale regolamento non risulta ancora emanato.
Si osserva, da ultimo, come il predetto criterio di riparto degli amministratori (due quinti/40 per cento), appaia in linea con quanto previsto dalla nuova Direttiva (UE) 2022/2381 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 novembre 2022, riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori delle società quotate e relative misure, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 7 dicembre 2022 e il cui termine di recepimento è fissato al 28 dicembre 2024.
La direttiva (UE) 2022/2381, c.d. "Women on boards", mira a raggiungere una rappresentanza più equilibrata di donne e uomini fra gli amministratori delle società quotate, stabilendo misure dirette ad accelerare i progressi verso la parità di genere nelle società quotate.
In questa prospettiva, l'articolo 5 della direttiva prevede che gli Stati membri provvedano affinché le società quotate, con esclusione di micro, piccole e medie imprese, siano soggette al conseguimento di uno dei seguenti obiettivi entro il 30 giugno 2026:
a) gli appartenenti al sesso sottorappresentato devono occupare almeno il 40 per cento dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi (ovvero che non si occupano della gestione quotidiana della società, ma che svolgono una funzione di sorveglianza);
b) gli appartenenti al sesso sottorappresentato devono occupare almeno il 33 per cento del totale dei posti di amministratore, con e senza incarichi esecutivi.
Le società esentate dall'obbligo (piccole, medie e micro imprese) devono invece fissare obiettivi individuali di miglioramento dell'equilibrio di genere tra gli amministratori aventi incarichi esecutivi.
Ai sensi dell'articolo 6 della direttiva, gli Stati membri che non conseguano gli obiettivi di cui al citato articolo 5, paragrafo 1, lettera a) o b), dovranno adeguare la procedura di selezione dei candidati alla nomina o all'elezione per le posizioni di amministratore. Tali candidati dovranno essere selezionati sulla base di una valutazione comparativa delle qualifiche. A tal fine si dovranno applicare criteri chiari, formulati in modo neutro e univoci in modo non discriminatorio durante l'intera procedura di selezione. Tali criteri dovranno essere stabiliti prima del processo di selezione. Per quanto riguarda la selezione dei candidati alla nomina o all'elezione per le posizioni di amministratore, gli Stati membri devono provvedere affinché, nella scelta tra candidati ugualmente qualificati in termini di idoneità, competenza e rendimento professionale, sia data priorità al candidato del sesso sottorappresentato, a meno che, in casi eccezionali, motivi di maggiore rilevanza giuridica, quali il perseguimento di altre politiche in materia di diversità, invocati nell'ambito di una valutazione obiettiva basata su criteri non discriminatori, non facciano propendere per il candidato dell'altro sesso.
Gli Stati membri sono inoltre chiamati ad adottare le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giuridici nazionali, affinché, qualora un candidato non selezionato del sesso sottorappresentato adduca elementi, dinanzi a un organo giurisdizionale o a un'altra autorità competente, che permettano di presumere la parità delle proprie qualifiche rispetto a quelle del candidato dell'altro sesso selezionato per la nomina o l'elezione a una posizione di amministratore, incomba alla società quotata dimostrare che non è stato violato l'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva.
Ai sensi dell'articolo 7 una volta all'anno le società devono fornire informazioni alle autorità competenti sulla rappresentanza di genere nei loro consigli e in merito alle misure prese per conseguire l'obiettivo del 33 per cento o del 40 per cento e tali informazioni dovranno essere pubblicate nel sito web della società. Gli Stati membri dovranno invece pubblicare e aggiornare periodicamente un elenco delle società che hanno raggiunto gli obiettivi stabiliti dalla direttiva.
L'articolo 8 della direttiva impone agli Stati membri di stabilire le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione, da parte delle società quotate, delle disposizioni nazionali adottate conformemente all'articolo 5, paragrafo 2, e agli articoli 6 e 7, a seconda dei casi, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l'applicazione. In particolare, gli Stati membri assicurano che siano disposte procedure amministrative o giudiziarie che permettano di imporre il rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva. Tali sanzioni possono comprendere ammende o la possibilità da parte di un organo giurisdizionale di annullare la decisione riguardante la selezione degli amministratori effettuata in violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma dell'articolo 6 o di dichiararla nulla.
Gli Stati membri – che possono introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli di quelle previste dalla direttiva per garantire una rappresentanza più equilibrata di donne e uomini nelle società quotate registrate sul loro territorio nazionale (articolo 9) – devono designare uno o più organismi per la promozione dell'equilibrio di genere nei consigli (articolo 10).
Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 28 dicembre 2024 (articolo 11). Tuttavia, ai sensi dell'articolo 12, uno Stato membro può sospendere l'applicazione del citato articolo 6 in materia di selezione delle candidature e, se del caso, dell'articolo 5, paragrafo 2, in materia di obiettivi quantitativi individuali, se, entro il 27 dicembre 2022 in tale Stato membro sono state soddisfatte le seguenti condizioni: a) gli appartenenti al sesso sottorappresentato occupano almeno il 30 per cento delle posizioni di amministratore senza incarichi esecutivi o almeno il 25 per cento del totale delle posizioni di amministratore nelle società quotate; o b) il diritto nazionale di tale Stato membro: 1) richiede che gli appartenenti al sesso sottorappresentato occupino almeno il 30 per cento delle posizioni di amministratore senza incarichi esecutivi o almeno il 25 per cento del totale delle posizioni di amministratore nelle società quotate; 2) include misure di esecuzione effettive, proporzionate e dissuasive in caso di inottemperanza ai requisiti di cui al punto 1; e 3) richiede che tutte le società quotate non contemplate in tale diritto nazionale fissino obiettivi quantitativi individuali per tutte le posizioni di amministratore. Qualora uno Stato membro abbia sospeso l'applicazione dell'articolo 6 e, se del caso, dell'articolo 5, paragrafo 2, sulla base di una delle predette condizioni, in tale Stato membro si considerano conseguiti gli obiettivi del 40 per cento o del 30 per cento di cui all'articolo 5, paragrafo 1.
Si rammenta che all'interno del PNRR la parità di genere rappresenta una delle tre priorità trasversali in termini di inclusione sociale, unitamente a giovani e Mezzogiorno.
In tale quadro, per contrastare le molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, il Governo ha adottato nell'agosto del 2021 una Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, ovvero un documento programmatico che, in coerenza con la Strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione europea, definisce un sistema di azioni politiche integrate volto a raggiungere entro il 2026 l'incremento di cinque punti nella classifica dell'Indice sull'uguaglianza di genere elaborato dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE), che nel 2020 vede l'Italia al 14esimo posto nella classifica dei Paesi UE-27. L'obiettivo di lungo periodo che la Strategia si propone è di guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index dell'EIGE nei prossimi 5 anni, per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea entro il 2026, con l'obiettivo di rientrare tra i primi 10 Paesi europei in 10 anni.
Per rafforzare la governance della Strategia 2021-2026, la Legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi 139-148, legge n. 234 del 2021), oltre a prevedere l'adozione di un Piano strategico nazionale per la parità di genere, ha disposto l'istituzione presso il Dipartimento per le pari opportunità di una Cabina di regia interistituzionale, istituita con decreto 27 gennaio 2022, e di un Osservatorio nazionale per l'integrazione delle politiche per la parità di genere, istituito con decreto 22 febbraio 2022.
Si ricorda, infine, che nell'ambito del PNRR il Dipartimento per le pari opportunità è titolare dell'investimento volto all'introduzione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere, che mira ad accompagnare le imprese nella riduzione dei divari di genere in tutte le aree più critiche per la crescita professionale delle donne.
Dall'entrata in vigore della legge Golfo-Mosca sono stati fatti significativi passi in avanti per raggiungere un maggiore equilibrio di genere negli organi sociali delle società, anche se non sono allo stato disponibili, con riguardo alle società a controllo pubblico non quotate, dati aggiornati agli ultimi esercizi.
La Relazione triennale sullo stato di applicazione delle norme in tema di parità di genere nelle società a controllo pubblico, prevista dall'articolo 4, comma 1, del DPR n. 251/2012 e che dovrebbe riferirsi al periodo febbraio 2019-febbraio 2022, non risulta ancora presentata al Parlamento alla data del 1° luglio 2024.
L'ultima Relazione disponibile, inviata al Parlamento nel mese di gennaio 2020 e relativa al periodo dal 12 febbraio 2016 al 12 febbraio 2019, evidenzia comunque come dall'entrata in vigore della normativa sull'equilibrio di genere la percentuale delle donne che ricoprono ruoli di vertice sia sensibilmente aumentata in Italia. In tale lasso temporale la percentuale di donne nei boards delle società ha continuato a crescere con un ritmo sostenuto, attestandosi, a marzo 2019, a circa un terzo dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche non quotate, seppur con notevoli differenze territoriali e con una proporzione di donne tra gli Amministratori unici (12,3 per cento a marzo 2019), estremamente più contenuta rispetto a quella registrata all'interno degli organi amministrativi collegiali.
Alcune informazioni utili sono contenute nel Rapporto dell'Osservatorio interistituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società italiane dell'8 marzo 2021, istituito a seguito del Protocollo d'intesa, sottoscritto nel novembre 2018 dal Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri per le pari opportunità, dalla Consob e dalla Banca d'Italia, per promuovere congiuntamente iniziative volte all'attuazione nel concreto della partecipazione femminile nei boards delle società, con la finalità di verificare nel tempo gli effetti dell'applicazione della legge n. 120 del 2011.
Il Rapporto - che descrive la composizione di genere negli organi di amministrazione e negli organi di controllo delle società soggette alle disposizioni della legge Golfo-Mosca (società quotate e società a controllo pubblico) nel confronto con la totalità delle società di capitali e delle banche, nel periodo 2011-2019 – evidenzia come la presenza femminile nelle posizioni di vertice delle imprese italiane sia nel complesso limitata, sebbene nell'ultimo decennio si siano registrati significativi progressi, in particolare per le società interessate dalle disposizioni della legge n. 120 del 2011.
La quota delle donne nei consigli di amministrazione all'inizio del periodo era piuttosto bassa per tutte le tipologie di società considerate, pari al 22 per cento nelle società di capitali e significativamente inferiore nelle società quotate e nelle banche, dove si attestava rispettivamente al 7 e al 6 per cento. La presenza delle donne negli organi amministrativi delle società è aumentata negli anni successivi, sebbene in misura eterogenea nelle diverse tipologie di società. Nei settori senza vincoli sulla composizione di genere, la quota delle donne negli organi amministrativi è rimasta stabile (nelle società private) o è cresciuta in misura modesta (nelle banche) arrivando nel 2019 al 24 e al 17 per cento, rispettivamente. Per le società quotate e le società a controllo pubblico, invece, si osserva un aumento notevole della presenza femminile per effetto delle misure introdotte dalla legge Golfo-Mosca, atteso che la quota nel 2019 era pari rispettivamente al 37 e al 25 per cento.
La minore presenza di donne negli organi amministrativi delle società a controllo pubblico rispetto alle società quotate è in parte attribuibile alla diffusione tra le prime di numerose società con amministratore unico (38,6 per cento del totale nel 2019). In tali società solo il 10,4 per cento degli amministratori sono donne, mentre in quelle con un consiglio di amministrazione queste ultime sono il 27,4 per cento dei componenti.
Per quanto riguarda gli organi di controllo delle società, i dati del suddetto Rapporto rilevano una situazione simile, evidenziando una dinamica in linea con quella osservata negli organi di amministrazione. Nel 2019, la presenza femminile raggiunge il 39 e il 33 per cento del totale degli incarichi nelle società quotate e a controllo pubblico, soggette alle quote di genere, mentre la crescita è stata moderata nelle banche e nelle società di capitali dove si colloca rispettivamente al 18 e al 22 per cento.
Il Rapporto sottolinea in ogni caso come lungo tutto il periodo considerato la quota delle donne con incarichi negli organi di amministrazione e di controllo si colloca su un trend univocamente crescente e porta la presenza femminile ai massimi storici.
Nelle considerazioni conclusive si evidenzia come i progressi ottenuti grazie all'introduzione della normativa sulle "quote" siano ragguardevoli e come essi siano stati riconosciuti a livello europeo e internazionale. L'indice sulla parità di genere dell'EIGE certifica, anche per il 2020, che la componente femminile nell'ambito dei boards delle società quotate si colloca molto al di sopra della media europea.
Nel contempo, il Rapporto sottolinea che i dati sulla composizione per genere della tipologia di cariche ricoperte nei consigli di amministrazione, disponibili solamente per le società quotate e per le banche, evidenziano tuttavia che molto raramente gli incarichi di maggiore rilievo sono attribuiti alle donne (nelle società quotate solo il 2 per cento delle donne ricopre il ruolo di amministratore delegato, nelle banche solo l'1 per cento). Inoltre, permangono criticità con riferimento alle società con amministratore unico, che costituiscono un segmento abbastanza ampio nel caso delle società a controllo pubblico.
Si segnala, infine, che il 14 giugno 2024 il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), la Banca d'Italia e l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) hanno sottoscritto un Protocollo d'intesa per il rinnovo e l'integrazione del citato Osservatorio interistituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società di capitali italiane.
L'Osservatorio, ora rinnovato sino al 30 giungo 2029 anche con la partecipazione dell'Ivass, è chiamato a definire le linee di indirizzo per lo svolgimento, a cura del predetto Dipartimento, di analisi periodiche aventi carattere scientifico, sulla presenza femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società di capitali italiane e a divulgarne i relativi risultati, nonché a promuovere attività volte a valorizzare la presenza femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società di capitali italiane.
Nelle premesse del Protocollo d'intesa, ove è riepilogata l'evoluzione normativa in materia di partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società, viene confermato come l'attuazione della legge 12 luglio 2011, n. 120 (c.d. Legge Golfo-Mosca), secondo dati rilevati a metà 2023, abbia significativamente innalzato la presenza di donne al vertice delle controllate pubbliche e prodotto modifiche qualitative nei board, tanto che le donne rappresentano il 35 per cento dei componenti degli organi collegiali di amministrazione e controllo di tali società.
Viene inoltre evidenziato come sussista, comunque, un numero consistente (quasi la metà) di società controllate da Pubbliche Amministrazioni che, rinnovando gli organi sociali, sono passate dal modello del consiglio di amministrazione a quello dell'amministratore unico e tra questi solo il 13 per cento è donna.
Con riguardo alle società quotate viene infine rilevato come secondo le più recenti rilevazioni della Consob a fine 2023 le donne ricoprano oltre il 43 per cento degli incarichi di amministratore e oltre il 41 per cento di quelli di componente dell'organo di controllo. Nella maggior parte dei casi le donne nei consigli di amministrazione si qualificano come consiglieri indipendenti.
Elementi di valutazione utili più recenti sono rinvenibili nella settima edizione della Relazione sul bilancio di genere riferita all'esercizio finanziario 2022 (Doc. CCXX, n. 2), presentata al Parlamento il 4 gennaio 2024.Tale documento evidenzia come la presenza delle donne all'interno degli organi decisionali e di vigilanza delle società quotate e delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni non quotate si sia innalzata in maniera repentina a seguito dell'entrata in vigore della legge 10 luglio 2011, n. 120 (cd. Legge Golfo-Mosca).
Per quanto riguarda le società quotate, le donne componenti dei consigli di amministrazione sono passate dal 31,3 per cento nel 2016 al 41,2 per cento nel 2021, mentre nel 2022 hanno raggiunto il 42,9 per cento, a fronte del 32,2 per cento della media europea a 27 Paesi.
In linea con gli anni precedenti, nel 2022 in circa tre quarti dei casi le donne sono consiglieri indipendenti e sono più frequentemente titolari di più di un incarico di amministrazione (interlocker), circostanza che si verifica nel 28,6 per cento dei casi: il dato risulta relativamente stabile nell'ultimo triennio dopo aver registrato una crescita significativa nel periodo 2013-2018.
La Relazione sottolinea poi come non sempre la maggior presenza delle donne tra i membri dei consigli di amministrazione abbia avuto come conseguenza il raggiungimento di posizioni di comando, forse anche per le loro caratteristiche all'interno delle assemblee (principalmente consigliere indipendenti e interlocker). Più contenuta è infatti l'incidenza delle donne che ricoprono la posizione di presidente nelle più grandi società quotate, pari al 29,4 per cento nel 2022, sebbene in crescita rispetto al 2012, anno in cui nessuna donna ricopriva tale posizione. Inoltre, negli ultimi sei anni, in Italia la quota di donne presidente è stata sempre superiore a quella media dei Paesi europei e con un divario che si è ampliato nel tempo (da 3,4 punti percentuali nel 2016 a 20,6 punti percentuali nel 2022).
Tra gli amministratori delegati italiani, invece, nel 2022 non risultano donne (dopo una esigua presenza intorno al 3 per cento nel 2018 e nel 2019), mentre a livello europeo coprono l'8,4 per cento degli incarichi.
Per quanto concerne le società a controllo pubblico, la Relazione rileva come tra il 2015 e il 2021 la presenza delle donne nei consigli di amministrazione sia aumentata dal 17,8 per cento nel 2015, al 27,9 per cento nel 2018 sino al 29,7 per cento nel 2021, non raggiungendo tuttavia la quota prevista dalla normativa; tale percentuale è inoltre inferiore di 11,5 punti percentuali rispetto alla presenza delle donne nei board delle società quotate registrata nel medesimo anno.
Sebbene sia ormai ampiamente riconosciuta la relazione fra l'introduzione della quota per genere, le caratteristiche dei consiglieri di entrambi i sessi (diminuzione dell'età media, aumento del livello di istruzione) e la migliore performance delle imprese quotate e controllate, il documento sottolinea come siano ancora poche le donne che occupano le massime posizioni manageriali: nel 2022 nelle più grandi società quotate le dirigenti sono il 14,1 per cento, mentre salgono al 21,1 per cento tra i 27 Paesi dell'Unione. La Relazione afferma quindi come l'obiettivo verso il pieno raggiungimento delle pari opportunità di leadership a ogni livello decisionale nella vita politica, economica e pubblica, sancito dal target 5.5 dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, appaia ancora lontano.
Un quadro della presenza femminile negli organi societari è rinvenibile, con riguardo alle società quotate italiane, dal Rapporto di corporate governance 2023 della Consob, secondo il quale alla fine del 2023, per effetto dell'applicazione delle norme che riservano una quota dell'organo sociale al genere meno rappresentato, la presenza femminile ha toccato i valori massimi del 43.1 per cento degli incarichi di amministrazione e del 41,3 per cento di quelli di componente dell'organo di controllo.
In 32 consigli di amministrazione (15 per cento del totale) e 51 organi di controllo (24 per cento ) il genere femminile è ugualmente o più rappresentato rispetto a quello maschile; sul punto la Consob segnala come questo dato sia il risultato di una graduale evoluzione positiva nell'ultimo triennio. I dati mostrano in media una presenza femminile pari a 4,1 donne in ciascun board, con valori più elevati tra le società a medio-alta capitalizzazione e nel settore finanziario.
Il Rapporto rileva poi che, con un lieve aumento rispetto agli anni precedenti, nel 2023 le donne ricoprono il ruolo di amministratore delegato in 20 società, in prevalenza di piccole dimensioni (rappresentative del 4,6% della capitalizzazione di mercato). In 31 società è affidata a una donna la presidenza del board (rappresentative del 12,8% della capitalizzazione complessiva). In tre casi su quattro (74,9%) le donne sono qualificate come consiglieri indipendenti e in un caso su dieci sono state nominate dai soci di minoranza in applicazione del voto di lista (91 amministratrici, nominate in 71 società a elevata capitalizzazione, rappresentative del 77% del valore complessivo di mercato;
Infine, si segnala come la titolarità di incarichi di amministrazione in più di un emittente quotato (interlocking) che riguarda il 28,9% delle donne a fine 2023, sebbene risulti più marcata di quella riferita agli amministratori uomini, mostri una flessione negli anni più recenti, dopo il massimo raggiunto nel 2019 (quando tale fenomeno interessava il 34,9% delle donne nei consigli di amministrazione).
L'Autorità evidenzia infine come l'evoluzione nel tempo della diversity degli organi sociali rifletta l'aumento della presenza femminile legata alle disposizioni in materia di quote di genere; dal 2011 a fine 2022 si riscontra in particolare un innalzamento del livello di istruzione e una diversificazione del background professionale degli amministratori.