Tra le funzioni parlamentari non legislative è annoverabile la funzione di controllo relativa ai procedimenti di nomina dei componenti degli organismi direttivi di enti pubblici, di competenza del Governo. Questo tipo di controllo si distingue dalle forme di partecipazione diretta delle Camere alla designazione, nomina o elezione di componenti di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, nonché di collegi direttivi di alcune magistrature o di componenti di Autorità amministrative indipendenti, previste dalla Costituzione o da leggi speciali.
Tale funzione è esercitata ai sensi della disciplina generale di cui alla legge 24 gennaio 1978, n. 14 (Norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici), che ha introdotto nell'ordinamento l'obbligo per il Governo di sottoporre le proposte di nomina dei presidenti e vicepresidenti di istituti ed enti pubblici, anche economici, all'espressione di un parere preventivo e non vincolante da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia. La legge prevede inoltre obblighi informativi nei confronti del Parlamento per la nomina degli altri amministratori degli enti pubblici citati.
La disciplina del controllo parlamentare sui procedimenti di nomina, oltre alla citata normativa generale, si compone altresì di leggi recanti norme speciali, derogatorie o integrative rispetto a quelle generali, che hanno previsto – ad esempio – nuove modalità di coinvolgimento del Parlamento nelle procedure di designazione, maggioranze qualificate per l'espressione del parere parlamentare o anche, talvolta, l'attribuzione ai Presidenti d'Assemblea di una funzione di garanzia.
Con riferimento alla disciplina in materia di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti privati in controllo pubblico, il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in attuazione della delega disposta dall'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), ha inoltre dettato disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di tali incarichi, cui si affiancano specifiche fattispecie di incompatibilità successiva (c.d. divieto di pantouflage).
La disciplina relativa agli incarichi pubblici è stata infine integrata dalla normativa in materia di limiti ai compensi degli organi amministrativi degli enti pubblici e delle società partecipate, da ultimo modificata dalla Legge di bilancio per il 2025.
Le nomine governative soggette a controllo parlamentare sono disciplinate dalla citata legge 24 gennaio 1978, n. 14, nonché, in taluni casi, da leggi istitutive di singoli enti o categorie di enti (cfr. oltre).
In particolare, la legge dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri, il Consiglio dei ministri ed i singoli ministri, prima di procedere, secondo le rispettive competenze, a nomine, proposte o designazioni di presidenti e vicepresidenti di istituti e di enti pubblici, anche economici, devono richiedere il parere delle Commissioni permanenti competenti per materia delle due Camere. Tale parere deve essere motivato anche in relazione ai fini e agli indirizzi di gestione da perseguire (articoli 1 e 2).
Il parere non è vincolante e l'organo cui compete la nomina, la proposta o la designazione può provvedere, trascorsi i termini stabiliti dai regolamenti delle due Camere, anche se il parere delle Commissioni non sia stato reso (articolo 3).
Le richieste di parere parlamentare sulle proposte di nomina trasmesse dal Governo sono assegnate alle Commissioni competenti per l'esame ai sensi dell'articolo 143 del Regolamento della Camera e 139-bis del Regolamento del Senato. Le Commissioni devono esprimersi nel termine di venti giorni dall'assegnazione, prorogabile una sola volta, per non più di dieci giorni.
La richiesta di parere da parte del Governo deve indicare la procedura seguita per l'individuazione della candidatura, i motivi che la giustificano secondo criteri di capacità professionale dei candidati e gli eventuali incarichi precedentemente svolti o in corso di svolgimento, in relazione ai fini ed agli indirizzi di gestione che si intendono perseguire nell'istituto o ente pubblico (articolo 4).
La legge dispone, inoltre, che il parere parlamentare non deve essere richiesto quando si tratti di nomine, proposte o designazioni dipendenti dallo svolgimento del rapporto di pubblico impiego civile e militare o quando esse siano vincolate per disposizione di legge (articolo 5).
Qualora, a seguito del parere espresso da una, o entrambe le Commissioni, il Governo ritenga di procedere a nomine, proposte o designazioni diverse da quelle indicate nella richiesta di parere, si applica la procedura prevista negli articoli precedenti. La medesima procedura si applica altresì per la conferma di persona in carica, anche nel caso in cui nei confronti della stessa sia già stato espresso il parere del Parlamento. L'articolo 6 prevede un limite di tre mandati presidenziali consecutivi, posto che la conferma nella carica non può essere effettuata per più di due volte.
Gli articoli 7 ed 8 della legge n.14 recano poi norme in materia di incompatibilità e obblighi informativi riferiti ai presidenti e vicepresidenti la cui proposta di nomina è soggetta al preventivo parere parlamentare, mentre l'articolo 9 prende in considerazione le nomine, le proposte o designazioni degli altri amministratori (quali, ad esempio, i componenti dei consigli di amministrazione) degli istituti ed enti pubblici, di cui al citato articolo 1 della legge, effettuate dal Consiglio dei ministri o dai Ministri. In tali casi, è previsto che i relativi provvedimenti debbano essere comunicati alle Camere entro il termine di quindici giorni. Queste comunicazioni devono indicare i motivi che giustificano le nomine, le proposte o designazioni e le procedure seguite, nonché fornire una biografia delle persone nominate o designate con l'indicazione degli altri incarichi che eventualmente abbiano ricoperto o ricoprano.
Si rammenta, infine, la disciplina generale recante le procedure di nomina è rinvenibile nell'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ai sensi del quale "le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale, di competenza dell'amministrazione statale, fatta eccezione per le nomine relative agli enti pubblici creditizi, sono effettuate con decreto del Presidente della Repubblica emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri adottata su proposta del ministro competente". Il predetto articolo 3 specifica, al secondo comma, che resta ferma la richiamata disciplina in ordine all'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Successivamente all'approvazione della legge n. 14 del 1978 sono venuti gradualmente affermandosi una pluralità di modelli organizzativi degli enti pubblici e, in particolare, quelli delle Autorità amministrative indipendenti e delle Agenzie, cui è seguita l'approvazione di leggi recanti specifiche norme relative al controllo parlamentare, derogatorie o integrative rispetto a quelle generali contenute nella richiamata disciplina generale.
Sono emerse così nuove modalità di coinvolgimento del Parlamento nelle procedure di designazione delle cariche di vertice degli enti pubblici; talvolta, anche al fine di assicurare una "neutralità" rispetto all'organo titolare della funzione di indirizzo politico, tali procedure hanno attribuito ai Presidenti d'Assemblea una funzione di garanzia, demandando agli stessi la nomina o la designazione degli organi di alcune di queste Autorità (come nel caso dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dei membri della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sull'esercizio del diritto di sciopero); in altri casi si è attribuito il potere di elezione all'Assemblea parlamentare nel suo complesso (come per il Garante per la protezione dei dati personali), oppure, ancora, è stata prevista l'acquisizione di un parere preventivo espresso a maggioranza qualificata delle competenti Commissioni parlamentari.
La proliferazione dei modelli organizzativi degli enti pubblici ha dunque portato con sé una eterogeneità di fattispecie giuridiche relative alle procedure di nomina che si sono stratificate nel tempo.
In alcuni casi, le modifiche normative intervenute nella disciplina di un singolo ente pubblico hanno comportato la sottrazione delle relative procedure di nomina del vertice dell'ente dall'ambito di applicazione di alcune disposizioni della legge n. 14 del 1978, come ad esempio avvenuto per l'Agenzia ICE (ex Istituto per il commercio estero, trasformato in Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane), il cui presidente viene ora nominato dal consiglio di amministrazione dell'ente tra i propri componenti, facendo così venir meno l'obbligo di richiesta del parere parlamentare.
Viceversa, in altre fattispecie, discostandosi dal principio della non vincolatività del parere parlamentare previsto dalla legge n. 14 del 1978, il Legislatore ha espressamente previsto che gli incarichi di vertice di taluni enti pubblici o di autorità collegiali, in particolare quelle di regolazione di servizi di pubblica utilità, possano essere attribuiti solo dopo aver acquisito il parere favorevole delle competenti Commissioni parlamentari espresso a maggioranza qualificata.
A titolo esemplificativo, si segnala che rientrano in tale ultima casistica:
Una disciplina speciale è prevista anche in tema di rinnovo dei mandati. In particolare, l'articolo 23, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto "Salva Italia"), ha previsto che il presidente e i componenti degli organismi menzionati dal comma 1 dell'articolo citato e delle altre Autorità amministrative indipendenti di cui all'elenco (ISTAT) previsto dall'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 "non possono essere confermati alla cessazione dalla carica". Gli enti interessati dalle disposizioni richiamate sono i seguenti: l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca – ANVUR, l'Autorità di regolazione dei trasporti – ART, l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente – ARERA, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM, l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza – AGIA, l'Autorità nazionale anticorruzione – ANAC, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – AGCOM (limitatamente al Presidente), la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali – CGSSE, la Commissione per la vigilanza sui fondi pensione – COVIP, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, il Garante per la protezione dei dati personali – GPDP, nonché l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo – IVASS.
Infine, si segnala che l'articolo 22, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, ha previsto che i componenti di alcune delle predette Autorità (nella fattispecie, l'AGCM, l'ART, l'ARERA, l'AGCOM, il GPDP, l'ANAC, la COVIP e la CGSSE, cui si aggiunge inoltre la Commissione nazionale per le società e la borsa – CONSOB) non possano, alla scadenza del mandato, essere nuovamente nominati componenti di altra Autorità indipendente per un periodo di 5 anni.
Come accennato, diposizioni speciali – illustrate nei seguenti paragrafi - sono altresì previste per talune tipologie di enti, quali gli enti parco, gli enti pubblici di ricerca, le Autorità di sistema portuale e gli enti pubblici con natura di federazione sportiva, nonché per la nomina degli organismi direttivi di talune Agenzie.
Una disciplina specifica è prevista per la procedura di nomina dei presidenti degli enti parco.
Tale procedura, disposta dall'articolo 9, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), così come modificato dall'articolo 55, comma 1, lettera a), n. 1), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, prevede che il presidente dell'ente sia nominato per un periodo di cinque anni con decreto del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, d'intesa con i Presidenti delle regioni nel cui territorio ricade in tutto o in parte il parco, nell'ambito di una terna proposta dal Ministro e composta da soggetti in possesso di comprovata esperienza in campo ambientale nelle istituzioni o nelle professioni, oppure di indirizzo o di gestione in strutture pubbliche o private. Entro trenta giorni dalla ricezione della proposta, i presidenti delle regioni interessate esprimono l'intesa su uno dei candidati proposti. Decorso tale termine senza che sia raggiunta l'intesa con i presidenti delle regioni interessate, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, provvede alla nomina del presidente, scegliendo tra i nomi compresi nella terna.
Le proposte di nomina, corredate dalla prescritta intesa regionale, sono dunque oggetto di specifica richiesta di parere parlamentare alle Commissioni parlamentari competenti, ai sensi dell'articolo 1 della citata legge n. 14 del 1978, mentre le nomine dei commissari straordinari sono oggetto di comunicazione al Parlamento ai sensi dell'articolo 9 della medesima legge.
Il citato comma 3 del novellato articolo 9 della legge n. 394 del 1991 dispone, inoltre, che l'avvio della procedura di nomina del presidente dell'Ente parco sia reso noto nel sito internet istituzionale del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, nonché in quello dell'Ente interessato, sessanta giorni prima della scadenza del presidente in carica.
Si prevede poi il divieto di nominare presidente dell'Ente parco chi ha ricoperto tale carica per due mandati, anche non consecutivi. Il comma 4-bis del medesimo articolo 9 dispone altresì che negli organismi di gestione e direzione delle aree naturali protette deve essere rispettato il criterio della parità di genere.
I mandati degli organi ordinari dell'Ente parco sono tutti quinquennali, ai sensi del vigente articolo 9, comma 12, della citata legge n. 394 del 1991.
Peraltro, l'articolo 64-ter del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, al fine di agevolare la programmazione degli interventi del PNRR nelle aree protette, ha introdotto una disciplina transitoria in base alla quale la durata in carica del presidente e del consiglio direttivo di ciascun Ente parco nazionale, ove il rispettivo mandato non risulti scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto, è stata prorogata fino alla scadenza dell'organo nominato in data più recente.
Da ultimo, si segnala che è attualmente in corso di esame, in sede referente presso l'8a Commissione (Ambiente) del Senato della Repubblica, il disegno di legge (AS 948) recante modifiche alla citata legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), a cui è stato abbinato all'esame il disegno di legge AS 1084, inerente alla stessa materia.
Per approfondimenti sulla normativa e l'attività parlamentare in materia di aree protette si rinvia al tema web "Aree protette", nonché alla sezione "Enti pubblici vigilati" del sito web del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica ove, tra l'altro, è possibile reperire l'elenco di tutti i provvedimenti di nomina degli organi degli Enti parco nazionali emanati negli ultimi anni.
Una disciplina speciale è prevista per le nomine dei componenti dei consigli di amministrazione degli enti di ricerca. L'articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, che ha riordinato gli enti di ricerca in attuazione dell'articolo 1 della legge 27 settembre 2007, n. 165, stabilisce che il numero dei componenti di tali consigli, compreso il presidente, non può superare:
Il medesimo articolo stabilisce, inoltre, che i componenti del consiglio di amministrazione, compreso il presidente, sono nominati con decreto del ministro vigilante, durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta.
L'articolo 11 del citato decreto legislativo n. 213 del 2009 prevede che, ai fini della nomina dei presidenti e dei membri del consiglio di amministrazione di designazione governativa degli enti di ricerca, con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito (o del Ministro dell'università e della ricerca, a seconda se l'ente in questione sia vigilato dall'uno o dall'altro ministero) sia nominato un comitato di selezione, composto da un massimo di cinque persone, scelte tra esperti della comunità scientifica nazionale e internazionale ed esperti in alta amministrazione.
Tale comitato di selezione, che agisce nel rispetto degli indirizzi stabiliti dal ministro nel decreto di nomina, fissa, con avviso pubblico, le modalità e i termini per la presentazione delle candidature e per ciascuna posizione, ove possibile in ragione del numero dei candidati, propone al ministro cinque nominativi per la carica di presidente e tre nominativi per la carica di consigliere. I nominativi proposti possono essere utilizzati entro due anni dalla formulazione della proposta.
Nei consigli di amministrazione composti da tre consiglieri, due componenti, incluso il presidente, sono individuati dal ministro, mentre il terzo è scelto direttamente dalla comunità scientifica o disciplinare di riferimento sulla base di una forma di consultazione definita negli statuti.
Con riferimento ai consigli di amministrazione composti da cinque consiglieri, si prevede invece che tre di questi, compreso il presidente, siano individuati dal ministro, mentre gli altri due siano scelti direttamente dalla comunità scientifica o disciplinare di riferimento sulla base di una forma di consultazione definita negli statuti degli stessi enti.
Il comma 5 del citato articolo 11 del decreto legislativo n. 213 del 2009 prevede che i decreti ministeriali di nomina dei presidenti e dei consigli di amministrazione degli enti vigilati dal Ministero dell'istruzione e del merito e da quello dell'università e della ricerca siano comunicati al Parlamento: per effetto di tale disposizione, non trova pertanto applicazione per la nomina dei relativi presidenti l'obbligo di richiesta del parere parlamentare ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1 della legge n. 14 del 1978.
Si ricorda, peraltro, che con il successivo decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218 sono state introdotte norme di semplificazione applicabili a tutti gli enti pubblici di ricerca esistenti al momento dell'entrata in vigore del decreto medesimo, che sono stati puntualmente elencati all'articolo 1 del decreto. In tale elenco figurano alcuni enti di ricerca non vigilati né dal Ministero dell'università e della ricerca (MUR), né dal Ministero dell'istruzione e del merito (MIM), tra i quali sono annoverati l'Istituto superiore di sanità (ISS, sottoposto alla vigilanza del Ministero della salute), l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo sostenibile (ENEA, vigilata dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica), l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI, in precedenza vigilata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e da ultimo sottoposta, ai sensi dell'articolo 30 del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro o Sottosegretario di Stato delegato, ossia attualmente il Ministro delle imprese e del made in Italy), e l'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP, vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali).
L'articolo 9 del decreto legislativo n. 213 del 2009 prevede inoltre norme specifiche in merito alla composizione del consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e del consiglio direttivo dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), mentre analoghe norme speciali sono state da ultimo introdotte dall'articolo 23, comma 3-bis, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 con riguardo alla governance del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA).
Si segnala, infine, che l'articolo 2, comma 1, lett. n), del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218 stabilisce che gli enti pubblici di ricerca nei propri statuti e regolamenti recepiscano la Raccomandazione della Commissione Europea dell'11 marzo 2005 riguardante la Carta Europea dei ricercatori e il Codice di Condotta per l'Assunzione dei Ricercatori (2005/251/CE), tengano conto delle indicazioni contenute nel documento European Framework for Research Careers e assicurino tra l'altro ai ricercatori e ai tecnologi la loro rappresentanza elettiva negli organi scientifici e di governo degli enti.
Una procedura di nomina ad hoc è prevista per le Autorità di sistema portuale.
In seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo 4 agosto 2016, n.169 sono state istituite le Autorità di sistema portuale (in origine 15 ed una ulteriore istituita in seguito), cui è affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area.
Quanto alle procedure di nomina, l'articolo 8, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, dispone che il presidente sia nominato, con proprio decreto, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il presidente o i presidenti delle regioni interessate, ferma restando – con riferimento all'espressione del parere delle competenti commissioni parlamentari – l'applicazione della disciplina generale di cui alla legge 24 gennaio 1978, n. 14.
In caso di mancata intesa, si applica la procedura di cui all'articolo 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in base alla quale qualora tale situazione perduri, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri; alla relativa riunione possano partecipare i presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.
Il presidente è scelto fra cittadini dei Paesi membri dell'Unione europea aventi comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale. Resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta.
Il presidente è soggetto all'applicazione della disciplina dettata in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, nonché sui limiti retributivi di cui all'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cfr oltre).
Ai sensi del comma 4 del citato articolo 8 della legge n. 84 del 1994, il presidente riferisce annualmente sull'attività svolta con relazione al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da inviare entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento.
Per completezza, si segnala da ultimo che nel corso della IX seduta del Comitato interministeriale per le politiche del mare (CIPOM), tenutasi il 18 dicembre 2024, è stata affrontata l'esigenza di promuovere un'evoluzione dell'assetto della portualità nazionale.
Muovendo dall'illustrazione delle principali criticità del sistema portuale italiano, ricondotte essenzialmente all'assenza di una governance centrale, di adeguati meccanismi di pianificazione volti a definire le esigenze infrastrutturali, alla carenza di investimenti nel settore delle infrastrutture, nonché alla concorrenza dei porti nord-africani, in tal sede è stata evidenziata l'opportunità di una riforma complessiva che intervenga nei settori della governance, degli investimenti, della pianificazione, delle semplificazioni normative e del lavoro portuale.
Più nel dettaglio, è stata sottolineata la necessità di superare la frammentarietà delle regole introdotte dai singoli Piani portuali e di quelle riguardanti il rilascio delle concessioni e la valutazione delle prestazioni, individuando criteri omogenei e discipline uniformi. La proposta avanzata dal Ministero per le infrastrutture e i trasporti concerne la costituzione di una società per azioni "Porti d'Italia", che rappresenti il sistema portuale italiano a livello mondiale, favorendo la competitività del settore. La società sarebbe sottoposta a controllo pubblico e a partnership con investitori istituzionali, consentendo – secondo gli intendimenti del Ministero – di aumentare la capacità di investimento sulle opere.
A tal fine, è stato auspicato il coinvolgimento di tutte le Amministrazioni (in particolare del Dipartimento per le politiche del mare e, tra gli altri, del Ministero dell'economia e delle finanze per gli aspetti connessi all'individuazione delle risorse) in un gruppo di lavoro ad hoc, affinché la prospettata riforma della portualità possa realizzarsi entro il 2025, in conformità alle aspettative degli operatori del settore.
Una fattispecie particolare ricorre nel caso delle agenzie che, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono strutture che operano al servizio delle amministrazioni pubbliche svolgendo attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in atto esercitate da ministeri ed enti pubblici.
Le agenzie hanno piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge e sono sottoposte al controllo della Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nonché ai poteri di indirizzo e di vigilanza del ministro competente.
L'incarico di direttore generale dell'agenzia viene attribuito in conformità alle disposizioni dettate dall'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 300 del 1999 – che rinvia a quanto disposto dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 – per il conferimento dell'incarico di capo del dipartimento di un ministero. L'incarico di direttore generale si caratterizza quindi per la sussistenza di uno stretto legame fiduciario con l'organo politico che lo conferisce, attestato anche dalla circostanza che allo stesso si applica il meccanismo dello spoils system, al pari di quanto previsto per le altre figure contemplate dal comma 3 del citato articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, quali i segretari generali, i direttori di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e figure equivalenti.
Ai sensi di quanto disposto dal comma 9 del medesimo articolo 19, dei predetti incarichi, così come di quelli di funzione dirigenziale di livello generale, deve essere data comunicazione alle Camere, allegando una scheda relativa ai titoli ed alle esperienze professionali dei soggetti prescelti.
Nell'ambito del modello amministrativo delle agenzie si distinguono le agenzie fiscali, soggette a norme speciali contenute negli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo n. 300 del 1999.
Per tali agenzie – pur dotate di personalità giuridica di diritto pubblico e di ampi spazi di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria – la procedura di nomina dei relativi direttori, di cui all'articolo 67, comma 2, del citato decreto legislativo n. 300 del 1999, non è soggetta di norma ad alcuna forma di preventivo controllo parlamentare. In particolare, il direttore delle agenzie fiscali è nominato con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali. L'incarico ha la durata massima di tre anni, è rinnovabile ed è incompatibile con altri rapporti di lavoro subordinato e con qualsiasi altra attività professionale pubblica o privata.
Infine, si segnala come anche in tal caso leggi istitutive di singole agenzie abbiano previsto specifiche disposizioni in ordine alle procedure di nomina degli organismi direttivi, quali ad esempio l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), in relazione alle quali è prevista l'espressione del parere parlamentare.
Una fattispecie particolare ricorre anche nel caso di taluni enti pubblici aventi al contempo anche la natura di federazione sportiva. Al riguardo, si rammenta che ai sensi dell'articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato.
L'articolo 16, comma 2, del medesimo decreto legislativo – come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, e, da ultimo, dal decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71 – stabilisce che siano gli statuti di tali associazioni a prevedere le procedure per l'elezione del presidente e dei membri degli organi direttivi, i quali restano in carica quattro anni e possono svolgere più mandati. La norma precisa, inoltre, che i presidenti – in caso di candidatura successiva al terzo mandato consecutivo – risultino eletti a condizione che conseguano, alla prima votazione, un numero di voti pari almeno ai due terzi del totale dei voti validamente espressi, mentre in caso di mancata elezione non sono ricandidabili alle votazioni successive per lo stesso mandato.
Per effetto dell'articolo 18, comma 6, dello stesso decreto legislativo n. 242, resta tuttavia ferma la natura giuridica dell'Aeroclub d'Italia (AeCI), dell'Automobile club d'Italia (ACI) e dell'Unione italiana tiro a segno (UITS), che mantengono la personalità giuridica di diritto pubblico pur essendo al contempo federazioni sportive nazionali.
Per tali enti, l'articolo 7 del decreto-legge 31 dicembre 2024, n. 208, ha da ultimo escluso, in via interpretativa, l'applicabilità della citata disciplina di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 242, che dunque, pur trovando compiutamente applicazione per i vertici delle federazioni sportive che hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato, non può tuttavia applicarsi ai vertici delle federazioni sportive che siano al contempo enti pubblici (come ricordato, ACI, AeCI e UITS), per le quali, in caso di norme contrastanti, prevale la natura di ente pubblico.
La normativa primaria di riferimento, applicabile al caso di specie, risulta pertanto l'articolo 6 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, ai sensi della quale la persona nominata quale presidente di un ente pubblico può essere confermata nella carica per non più di due volte.
Per approfondimenti, si rinvia al seguente dossier (pagg. 76 e ss.).
In attuazione della normativa anticorruzione, nelle precedenti legislature è stato operato un ampio riordino della disciplina in materia di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e di trasparenza nell'azione amministrativa.
Con riferimento al tema degli incarichi di competenza delle amministrazioni statali, si rammenta in primo luogo che il citato decreto legislativo n. 39 del 2013, ai fini di prevenzione e contrasto della corruzione e di prevenzione dei conflitti di interessi, ha introdotto disposizioni per il conferimento degli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice:
La disciplina stabilita dal decreto legislativo si riferisce, ai sensi dell'articolo 1, ai seguenti incarichi:
In relazione ai predetti incarichi, il decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede due gruppi di disposizioni: il primo reca alcuni divieti all'accesso agli incarichi di vertice nella P.A. in presenza di cause ostative definite come casi di inconferibilità di tali incarichi; il secondo gruppo reca alcune cause di incompatibilità (con possibilità di opzione) tra detti incarichi e altre cariche quali quelle amministrative di governo o elettive a livello statale, regionale e locale. In particolare, sono contemplate le seguenti fattispecie:
Il decreto legislativo prevede dunque tre ordini di cause di inconferibilità degli incarichi:
Per quanto concerne l'incompatibilità, il decreto legislativo conferma sostanzialmente la disciplina in materia già prevista dall'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001. In particolare, si rammenta che l'articolo 9 del decreto legislativo n. 39 del 2013 prevede che gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico, sono incompatibili con l'assunzione e il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione o ente pubblico conferente.
Inoltre, gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, gli incarichi di amministratore negli enti pubblici e di presidente e amministratore delegato negli enti di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con lo svolgimento in proprio, da parte del soggetto incaricato, di un'attività professionale, se questa è regolata, finanziata o comunque retribuita dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico.
Ai sensi degli articoli 11 e 13 del medesimo decreto legislativo, gli incarichi di amministratore di ente pubblico e di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale, sono incompatibili con la carica di componente del Governo (Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato), commissario straordinario del Governo o di parlamentare.
La prevenzione della violazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 39 del 2013 è affidata da un lato, alla vigilanza da parte dei responsabili dei piani anticorruzione e dell'Autorità nazionale anticorruzione, dall'altro all'autocertificazione da parte del destinatario dell'incarico.
In particolare, la vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico è effettuata, secondo l'articolo 15, dal responsabile del piano anticorruzione di ciascun soggetto, con obbligo di segnalazione delle eventuali violazioni all'Autorità nazionale anticorruzione, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché alla Corte dei conti, per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. Ai sensi dell'articolo 16, l'Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o d'ufficio può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico e segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative.
L'articolo 20 prevede invece l'obbligo dell'interessato, all'atto del conferimento dell'incarico, di presentare una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilità di cui al decreto e l'adempimento dell'obbligo è condizione per l'acquisizione dell'efficacia dell'incarico. Nel corso dell'incarico l'interessato presenta annualmente una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilità di cui al presente decreto. Entrambe le dichiarazioni sono sottoposte a obbligo di pubblicazione nel sito della pubblica amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico. Ferma restando ogni altra responsabilità, la dichiarazione mendace, accertata dalla stessa amministrazione, nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio dell'interessato, comporta la inconferibilità di qualsivoglia incarico di cui al decreto per un periodo di 5 anni.
Infine, in base all'articolo 17 gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del decreto e gli eventuali relativi contratti sono nulli. I componenti degli organi che hanno conferito incarichi dichiarati nulli sono inoltre responsabili, ai sensi dell'articolo 18, per le conseguenze economiche degli atti adottati, salvo gli assenti al momento della votazione, nonché i dissenzienti e gli astenuti, e non possono conferire gli incarichi di loro competenza per tre mesi e il relativo potere è esercitato, per i Ministeri, dal Presidente del Consiglio dei ministri e, per gli enti pubblici, dall'amministrazione vigilante. In caso di incompatibilità, l'articolo 19 stabilisce la decadenza dall'incarico e la risoluzione del relativo contratto, di lavoro subordinato o autonomo, decorso il termine perentorio di quindici giorni dalla contestazione all'interessato, da parte del responsabile del piano anticorruzione.
Per ulteriori approfondimenti in materia di applicazione della disciplina dell'inconferibilità e dell'incompatibilità contenuta nel decreto legislativo n. 39 del 2013, si segnala che un'ampia disamina delle delibere dell'Autorità nazionale anticorruzione in materia è contenuta nel manuale pratico pubblicato dalla medesima Autorità il 9 gennaio 2023.
Un'ipotesi di incompatibilità successiva che si affianca ai meccanismi di inconferibilità e incompatibilità delineati dal decreto legislativo n. 39 del 2013 è il cosiddetto divieto di pantouflage, la cui disciplina è contenuta nel decreto legislativo n. 165 del 2001 e nel citato decreto legislativo n. 39.
In particolare, l'articolo 53, comma 16-ter, del decreto legislativo n. 165, dispone il divieto per i dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro (cosiddetto "periodo di raffreddamento"), attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività dell'amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. La ratio della norma appare quella di scoraggiare comportamenti impropri dei dipendenti pubblici che, facendo leva sulla propria posizione all'interno dell'amministrazione, potrebbero precostituirsi situazioni vantaggiose, con la prospettiva di un incarico o rapporto di lavoro presso l'impresa o il soggetto privato con cui entrano in contatto esercitando, per l'appunto, poteri autoritativi o negoziali.
In caso di violazione del divieto, sono previste specifiche sanzioni che hanno effetti sul contratto di lavoro dell'ex dipendente pubblico presso il soggetto privato nuovo datore di lavoro e sull'attività contrattuale dei soggetti privati che abbiano assunto o conferito un incarico all'ex dipendente pubblico.
Nel dettaglio, in caso di violazione del predetto divieto, è prevista la nullità dei contratti di lavoro conclusi e degli incarichi conferiti all'ex dipendente pubblico; inoltre, è fatto obbligo a quest'ultimo di restituire i compensi eventualmente percepiti e accertati, riferiti a tali contratti e incarichi. Infine, viene stabilito che i soggetti privati che hanno concluso contratti o conferito incarichi in violazione del divieto non possano contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni.
L'ambito di applicazione del pantouflage è stato successivamente esteso dall'articolo 21 del decreto legislativo n. 39 del 2013. Nello specifico, la disposizione stabilisce che, ai fini dell'applicazione della disciplina delineata dal decreto legislativo n. 165 del 2001, siano considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di un incarico ai sensi del decreto legislativo n. 39, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo.
Pertanto, il divieto in oggetto si applica non solo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni ex articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165, bensì anche ai soggetti che svolgono un incarico in enti pubblici e in enti di diritto privato in controllo pubblico, come definiti dall'articolo 1, comma 2, lettere b) e c), del citato decreto legislativo n. 39.
Per approfondimenti, cfr. le Linee guida dell'Autorità nazionale anticorruzione, pubblicate con delibera n. 493 del 25 settembre 2024.
Sin dalla XVI Legislatura, con prevalenti finalità di contenimento della spesa pubblica e per favorire il ricambio del personale, è stato introdotto, con l'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, il divieto per le pubbliche amministrazioni, incluse le Autorità indipendenti, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.
A tali amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle suddette amministrazioni e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti.
Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni suddetti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono inoltre essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata.
Al fine di dare indicazioni interpretative e attuative sulle disposizioni in esame, il Ministro pro tempore per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha elaborato specifiche circolari esplicative, quali la n. 6 del 2014 e la n. 4 del 2015 quest'ultima adottata a seguito delle modifiche alla disciplina introdotte dall'articolo 17, comma 3, della legge 7 agosto 2015, n. 124.
Si rammenta inoltre che, nel corso della XVII Legislatura sono state introdotte alcune deroghe all'applicazione della richiamata disciplina per alcuni enti di previdenza di diritto privato. In particolare, l'articolo 19-ter del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 ha previsto che i divieti di cui al citato articolo 5, comma 9, primo e secondo periodo del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, non si applichino agli incarichi presso enti di previdenza di diritto privato i cui organi di governo sono eletti in via diretta o indiretta da parte degli iscritti. Ulteriori deroghe sono state previste per le aziende sanitarie e socio-sanitarie al fine di far fronte alle esigenze straordinarie derivanti dall'emergenza Covid.
Si ricorda, altresì, che l'articolo 10, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, ha previsto che fino al 31 dicembre 2026, le amministrazioni titolari di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, ivi incluse le regioni e gli enti locali, possano, in deroga al divieto di attribuire incarichi retribuiti a lavoratori collocati in quiescenza, conferire a tali soggetti incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Altre deroghe al regime in oggetto sono state introdotte dall'articolo 8, comma 13, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n.13, recante disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR (PNC), nonché per l'attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune.
In particolare, il citato comma 13 consente, fino al 31 dicembre 2026, in deroga alla normativa vigente, il conferimento di alcuni incarichi a titolo oneroso a soggetti già collocati (dopo lo svolgimento di attività lavorative pubbliche o private) in quiescenza. La deroga transitoria in esame concerne gli incarichi che riguardino posizioni di vertice presso enti e istituti di carattere nazionale – rientranti in ambiti di competenza dell'amministrazione statale –, limitatamente ai casi in cui la disciplina preveda il conferimento, da parte di organi costituzionali, previo parere favorevole delle competenti Commissioni parlamentari o, qualora previsto a legislazione vigente, previa informativa a queste ultime.
Gli incarichi di vertice oggetto della deroga transitoria in esame appaiono individuabili nelle titolarità relative ad alcune autorità collegiali sopra richiamate (ART, ARERA, AGCOM, ANAC), nonché nel mandato di presidente dell'ISTAT, nell'incarico di direttore dell'ISIN e negli incarichi di direttore generale e di vice direttore generale dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale.
Si segnala inoltre che l'articolo 3-ter del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, ha ampliato la suddetta fattispecie transitoria che consente fino al 31 dicembre 2026, in deroga alla normativa vigente, il conferimento di incarichi a titolo oneroso a soggetti già collocati in quiescenza. La deroga transitoria concerne, come accennato, gli incarichi che riguardino posizioni di vertice presso enti e istituti di carattere nazionale – rientranti in ambiti di competenza dell'amministrazione statale – limitatamente ai casi di conferimento, da parte di organi costituzionali, previo parere favorevole delle competenti Commissioni parlamentari o previa informativa a queste ultime. La novella in oggetto estende la fattispecie ai casi di conferimento dei medesimi incarichi di vertice da parte di organi a rilevanza costituzionale, ferme restando le altre condizioni suddette. La medesima novella esplicita che, per tutti i casi di deroga in oggetto, resta ferma l'applicazione (ove ne sussistano i presupposti) delle norme limitative del cumulo degli emolumenti derivanti da incarichi pubblici con i trattamenti pensionistici.
Da ultimo, l'articolo 12-bis, comma 2, del decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 ha previsto un'ulteriore deroga, disponendo che il divieto di cui all'articolo 5, comma 9, non si applichi agli iscritti agli ordini professionali già in quiescenza al 14 luglio 2024 (data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n. 63 del 2024) che proseguono la loro attività professionale.
In base al dettato dell'articolo 100, comma secondo, della Costituzione, il controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria è esercitato dalla Corte dei conti, a mezzo della "Sezione del controllo sugli enti" istituita ai sensi dell'articolo 9 della legge 21 marzo 1958, n. 259.
In particolare, la Corte dei conti effettua detto controllo sulla gestione degli enti che, a prescindere dalla forma giuridica privatistica o pubblicistica:
a) godono di contribuzione continuativa o periodica a carico dello Stato o si finanziano con imposte, contributi, tasse che sono autorizzati a imporre o che siano a essi devoluti;
b) godono di un apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria.
L'individuazione della platea degli organismi oggetto del controllo è prevista direttamente dalla legge, oppure da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha il compito di riconoscerne la sussistenza dei presupposti; la Corte detiene, peraltro, attraverso la Sezione centrale, un potere di sollecitazione nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, quando sorgano nuovi organismi che dovrebbero essere assoggettati al controllo.
Il controllo svolto dalla Corte dei conti si articola in due tipologie.
La prima forma di controllo, disposta ai sensi degli articoli 5 e 6 della citata legge n. 259 del 1958, è di carattere cartolare: gli enti pubblici o privati che fruiscono di contribuzioni periodiche hanno l'obbligo di trasmettere alla Corte i conti consuntivi e i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione; la relativa istruttoria è affidata ad un magistrato della Sezione e si conclude con la redazione di un referto che sarà poi approvato in sede collegiale dalla stessa Sezione.
La seconda forma di controllo, la c.d. forma "diretta" di cui all'articolo 12 della legge n. 259 del 1958, è riservata agli enti a cui lo Stato contribuisce con apporti di patrimonio in capitale o di servizi o di beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria. Nei confronti di tali enti il controllo di gestione è esercitato, oltre che con la trasmissione dei consuntivi e dei bilanci, mediante la presenza alle sedute degli organi di amministrazione o di revisione dell'ente di un magistrato della Sezione di controllo designato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti.
I profili della gestione degli enti che saranno sottoposti al controllo riguarderanno, nel complesso, gli aspetti ordinamentali, le caratteristiche della governance, i costi degli organi e del personale, i risultati dell'attività istituzionale, le partecipazioni societarie, l'attività negoziale e i risultati finanziari ed economico-patrimoniali del bilancio d'esercizio, con aggiornamenti sui più significativi fatti gestori fino alla data di approvazione del referto. Oltre a tali controlli di tipo referente, la Corte può inoltre formulare in qualsiasi momento i suoi rilievi al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro competente, se accerti irregolarità nella gestione di un ente e, comunque, quando lo ritenga opportuno.
Si segnala, infine, , che con Determinazione del 25 febbraio 2025, n. 16, la Sezione del controllo sugli enti della Corte ha approvato il Programma delle attività di controllo per l'anno 2025, con il quale vengono definite le linee programmatiche dell'attività della Sezione per il medesimo anno, in coerenza con gli indirizzi ed i criteri di riferimento deliberati dalle Sezioni riunite in sede di controllo nell'adunanza del 16 dicembre 2024, al fine di garantire che le relative funzioni siano esercitate secondo canoni uniformi.
Nel Programma, la Corte rileva anzitutto che gli enti assoggettati a controllo mediante DPCM o specifica disposizione normativa sono, al 31 dicembre 2024, complessivamente 313 compresi i 98 Automobile club federati. Di essi, 207 sono enti pubblici; 43 sono società e 63 sono persone giuridiche di diritto privato diverse dalle società.
Per quanto attiene, in particolare, agli enti pubblici, tra le tipologie di enti sottoposti al controllo della Corte dei conti il Programma menziona: gli enti produttori e regolatori di servizi economici, tra cui si ricordano l'ACI, l'ENAC, l'ANVUR e il CONI; gli enti di regolazione ed incentivazione (in particolare, le Autorità di bacino del distretto idrografico, le Autorità di sistema portuale, gli Enti parco nazionali e i Consorzi irrigui); gli enti di ricerca (tra i quali il Programma menziona la Fondazione Istituto italiano di tecnologia – IIT e l'Istituto nazionale per le politiche pubbliche – INAPP).
Inoltre, il Programma evidenzia l'esigenza di avviare un percorso di verifica della persistente attualità dei requisiti per la continuazione del controllo su alcune gestioni per le quali il contributo ordinario annuale dello Stato sia inferiore ad un valore, stabilito in almeno due milioni di euro, in linea con quanto previsto dalla legge n. 259 del 1958. Il documento ricorda, altresì, che dovrà essere dichiarata la cessazione del controllo, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 3, comma 4, della citata legge, anche nei riguardi degli enti per i quali sia venuto meno il contributo ordinario dello Stato.
Il Programma sottolinea, infine, come la Sezione debba continuare a confrontarsi con gli impegni connessi alle verifiche sui progetti del PNRR assegnati agli enti sottoposti a controllo, secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 77 del 2021, nonché con l'emanazione dei pareri previsti dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica – TUSP) in materia di costituzione di nuove società o di acquisizioni di partecipazioni da parte di soggetti pubblici.
La legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di bilancio per il 2025) ha introdotto una nuova disciplina riguardante i limiti ai compensi a carico delle finanze pubbliche riguardanti anche gli incarichi ricoperti in enti pubblici.
L'intervento s'inserisce in un contesto normativo articolato, in origine definito dalla Legge finanziaria 2007 e poi disciplinato dalla Legge finanziaria 2008, che è stata in seguito più volte modificata ed integrata. In particolare, essa prevede che l'ammontare del trattamento economico massimo di titolari di incarichi pubblici sia parametrato su quello del Primo Presidente della Corte di Cassazione. A tal fine, sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi da uno stesso organismo conferiti nel corso dell'anno (L. 244/2007, art. 3, comma 44).
A decorrere dal 1° maggio 2014, il limite massimo retributivo riferito al Primo Presidente della Corte di Cassazione è stato determinato nella misura fissa di 240.000 euro, al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente (D.L. 66/2014, art. 13). Il suddetto limite retributivo, a decorrere dal 2022, viene rideterminato sulla base della percentuale stabilita per l'adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato, a sua volta rapportato agli incrementi medi conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati, come calcolati dall'ISTAT. Ai sensi della citata Legge finanziaria 2008, il limite al trattamento economico si applica ai seguenti soggetti:
L'ambito di applicazione del limite al trattamento economico è stato poi esteso ad altre amministrazioni, quali le Autorità amministrative indipendenti, mentre deroghe o normative speciali sono state previste per specifici organismi, nonché per talune società in relazione alle quali operano anche le disposizioni del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP).
Nel quadro della richiamata disciplina generale s'innestano le più recenti disposizioni di cui ai commi da 846 a 849 dell'articolo 1 della Legge di bilancio per il 2025.
In particolare, il comma 846 introduce un tetto di importo pari a 120.000 euro annui ai compensi spettanti agli organi amministrativi di vertice, nominati a partire dal 1° gennaio 2025, di:
1) amministrazioni pubbliche (escluse le Autorità amministrative indipendenti e le società a controllo pubblico);
2) enti, organismi e fondazioni che ricevono contributi a carico della finanza pubblica.
Rispetto alla prima categoria di soggetti destinatari del tetto, si prevede che la loro individuazione avvenga mediante DPCM, da adottarsi su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della medesima disposizione.
Rispetto alla seconda categoria citata, il comma 846 circoscrive l'intervento agli enti, agli organismi e alle fondazioni che ricevono, anche in modo indiretto e sotto qualsiasi forma, contributi a carico della finanza pubblica definiti di entità significativa. Il livello di significatività del contributo è stabilito con un ulteriore DPCM, previsto dal comma 857 e da adottarsi su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della stessa Legge di bilancio.
Il comma 847 reca, inoltre, la definizione di organi amministrativi di vertice, precisando che si intendono tali quelli di amministrazione attiva e consultiva degli enti e degli organismi comunque denominati dai rispettivi ordinamenti, organizzati anche in forma collegiale.
Ulteriori limiti ai compensi a carico delle finanze pubbliche sono stabiliti dal successivo comma 848. Il primo periodo di tale comma riguarda i soggetti legati da un rapporto di servizio con un'amministrazione pubblica e che, anche laddove risultino posti in fuori ruolo, distacco o aspettativa, mantengono un trattamento retributivo da parte dell'amministrazione di propria appartenenza. Laddove essi risultino altresì titolari di cariche negli organi di vertice degli enti a cui si applica il tetto introdotto al comma 846, e comunque in quelli di tutti gli enti ricompresi nell'elenco delle Amministrazioni pubbliche annualmente pubblicato dall'ISTAT (da ultimo il 30 settembre 2024), a decorrere dal 1° gennaio 2025, per gli incarichi dai medesimi ricoperti presso gli enti menzionati non possono percepire compensi di importo superiore al 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico in loro godimento.
Il secondo periodo del comma 848 si rivolge a coloro che percepiscono compensi per le cariche ricoperte nell'ambito di società partecipate o enti strumentali, che risultino cumulabili con i compensi dai medesimi percepiti per incarichi svolti in via principale:
A decorrere dal 1° gennaio 2025, tali soggetti, per gli incarichi ricoperti in società partecipate o enti strumentali, non possono percepire compensi di importo complessivamente superiore al 25 per cento di quelli ad essi spettanti per l'incarico svolto in via principale. In caso di superamento di tali limiti, si dispone che i relativi compensi in corso di godimento siano automaticamente ridotti.
Il successivo comma 849 prevede che tutta la disciplina sopra richiamata non si applichi:
a) agli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale, alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali come definiti dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria e agli enti del Servizio sanitario nazionale;
b) agli enti previdenziali di diritto privato di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, all'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), all'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e alle Agenzie fiscali di cui all'articolo 59, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300; nel corso dell'esame parlamentare, sono stati esclusi dal perimetro di applicazione delle disposizioni in esame anche gli enti pubblici di ricerca, i consorzi tra università ed enti pubblici di ricerca e le fondazioni scientifiche;
c) ai trattamenti economici e agli emolumenti comunque denominati per l'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate o in ragione di rapporti di lavoro subordinato, erogati dalle Autorità amministrative indipendenti, dagli enti pubblici economici e dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, incluso il personale di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al seguente dossier (pp. 1259 e ss.).