Politiche per il lavoro e previdenziali

Forme contrattuali flessibili

Uno sguardo d'insieme sulla produzione normativa intervenuta nel corso della XVII Legislatura, evidenzia un organico tentativo di risistemazione complessiva in materia di contratti flessibili.

In tal senso, la l. 183/2014 (c.d. jobs act) e la successiva legislazione delegata di contorno hanno disciplinato, anche innovandole, le normative sull'apprendistato, sul contratto a termine e sul lavoro accessorio.

In seguito è stata soppressa la normativa sul lavoro accessorio e introdotta una nuova disciplina delle prestazioni di lavoro occasionale, per cui non ha avuto più luogo il referendum popolare per l'abrogazione della normativa vigente in materia di lavoro accessorio, dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale.

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Nel corso della XVII Legislatura il legislatore è intervenuto ripetutamente sulla disciplina dell'apprendistato attraverso misure volte a semplificare la stipula del contratto, ad incentivarne l'utilizzo da parte dei datori di lavoro e a promuoverne la componente formativa, con l'obiettivo di farne uno strumento privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro.

In sostanziale continuità con gli interventi effettuati nella XVI Legislatura, in materia di apprendistato il legislatore è intervenuto inizialmente con il D.L. 76/2013  , il quale, in particolare, ha in primo luogo previsto (articolo 2, commi 2 e 3) l'adozione, in sede di Conferenza stato-Regioni, di linee guida   volte a disciplinare (anche in deroga alla legislazione vigente) il contratto di apprendistato professionalizzante, al fine di garantire una disciplina più uniforme sull'intero territorio nazionale dell'offerta formativa pubblica.  Con l'obiettivo di semplificare l'accesso all'istituto, il decreto-legge ha inoltre disposto che il piano formativo individuale sia obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l'acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche; che la registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita deve essere effettuata in uno specifico documento avente i contenuti minimi del libretto formativo del cittadino; che in caso di imprese multilocalizzate la formazione deve avvenire nel rispetto della disciplina della regione ove l'impresa ha la propria sede legale.

La Conferenza Stato-Regioni il ha adottato le linee guida il 20 febbraio 2014. Le linee guida disciplinano l'offerta formativa pubblica per l'acquisizione di competenze di base e trasversali in termini di durata, contenuti e modalità di realizzazione.

Oltre a recepire quanto disposto dalle norme del D.L. 76/2013  , le linee guida hanno comportato una semplificazione della procedura obbligatoria per le aziende, stabilendo altresì che l'offerta formativa pubblica per l'apprendistato debba essere obbligatoria e disciplinata, quando le linee guida saranno pienamente operative, dalla regolamentazione regionale. Inoltre, la durata e i contenuti della formazione sono stati legati alle competenze acquisite nella formazione scolastica, prevedendo, in particolare, un diverso monte ore di formazione a seconda dei titoli posseduti (120 ore per i soggetti in possesso della licenza di scuola secondaria di primo grado, 80 ore per i soggetti in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado e 40 ore per gli apprendisti laureati).

Ulteriori disposizioni (articolo 9, comma 3) concernenti l'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, prevedono la possibilità di trasformazione del contratto, successivamente al conseguimento della qualifica o diploma professionale, in apprendistato professionalizzante (o contratto di mestiere), allo scopo di conseguire la qualifica professionale ai fini contrattuali. In tal caso la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non può eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva.

Il legislatore è tornato sulla materia con l'articolo 2 del D.L. 34/2014  , con cui sono state introdotte disposizioni volte a semplificare la disciplina del contratto di apprendistato. A tal fine il provvedimento ha modificato in più parti il D.Lgs. 167/2011   e la L. 92/2012  , prevedendo, in primo luogo, modalità semplificate di redazione del piano formativo individuale, sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.

Per quanto concerne la stabilizzazione degli apprendisti (ossia la loro assunzione con contratto a tempo indeterminato a conclusione del periodo di apprendistato), il D.L. 34/2014   ha ridotto gli obblighi previsti dalla legislazione previgente ai fini di nuove assunzioni in apprendistato (obbligo di stabilizzazione del 30% degli apprendisti nelle aziende con più di 10 dipendenti), da un lato circoscrivendo l'applicazione della norma alle sole imprese con più di 50 dipendenti, dall'altro riducendo al 20% la percentuale di stabilizzazione.

Inoltre, viene consentito, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, che i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, prevedano specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali.

Per quanto concerne la semplificazione dei profili formativi, si prevede che la Regione provveda a comunicare al datore di lavoro, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione dell'instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell'offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili.

Per quanto attiene, infine, alla retribuzione dell'apprendista, fatta salva l'autonomia della contrattazione collettiva, si prevede che, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, si debba tener conto delle ore di formazione almeno in misura del 35% del relativo monte ore complessivo.

In attuazione della delega di cui alla L. 183/2014   (cd. jobs act  ) è stato emanato il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81  , il quale ha introdotto importanti novità anche in materia di apprendistato. In primo luogo, è stato abrogato il D.Lgs. 167/2011   e l'intera disciplina è confluita negli articoli 41-47 del medesimo D.Lgs. 81/2015  . Tra le più importanti modifiche apportate, si segnala in primo luogo la struttura integrata dell'apprendistato di cd. primo e terzo livello (rispettivamente apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale e apprendistato di alta formazione) al fine di creare un sistema duale di formazione e lavoro, attraverso un significativo potenziamento delle finalità della prima fattispecie e una delimitazione di quelle della seconda, che si conferma destinata alla formazione universitaria.

Inoltre, la struttura complessiva dell'istituto, che in larga parte ricalca quanto previsto dal D.Lgs. 167/2014  , prevede alcune significative novità (quali il piano formativo che nell'apprendistato di primo e terzo livello spetta all'istituzione formativa con il coinvolgimento dell'impresa, l'applicazione delle nuove disposizioni sanzionatorie sul licenziamento illegittimo stabilite dal D.Lgs. 23/2015  , nonché la previsione secondo la quale costituisce giustificato motivo di licenziamento il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi da parte degli apprendisti assunti con contratto di apprendistato di I livello).

Altra sostanziale modifica concerne la regolamentazione degli standard professionali e formativi e della certificazione delle competenze, la quale demanda la definizione dei richiamati standard ad un apposito decreto ministeriale.

Inoltre, nel confermare l'apparto ispettivo e sanzionatorio già previsto dalla precedente disciplina, si segnala la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante (cui viene meno dla definizione "di mestiere") non solo i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità, ma anche coloro che godono di un trattamento di disoccupazione.

 

Anche la L. 232/2016   (legge di bilancio per il 2017) è intervenuta in materia di apprendistato.

In primo luogo, l'articolo 1, commi da 308 a 311, della citata L. 232/2016 ha introdotto, per il solo settore privato, uno sgravio contributivo per le nuove assunzioni con contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, anche in apprendistato, effettuate dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018. Il beneficio contributivo spetta, a domanda ed entro specifici limiti di spesa, entro 6 mesi dall'acquisizione del titolo di studio, per l'assunzione di studenti che abbiano svolto presso il medesimo datore di lavoro attività di alternanza scuola-lavoro o periodi di apprendistato. Lo sgravio contributivo consiste nell'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro (ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL), nel limite massimo di 3.250 euro su base annua e per un periodo massimo di 36 mesi.

Inoltre, l'articolo 1, comma 240, della medesima L. 232/2016 ha previsto ulteriori finanziamenti per la proroga (fino al 31 dicembre 2017) degli incentivi per le assunzioni e per i percorsi formativi in alternanza scuola-lavoro. Gli incentivi di cui si prevede la proroga sono quelli previsti dall'articolo 32, comma 1, del D.Lgs. 150/2015  , ossia la riduzione a 5 punti percentuali dell'aliquota unica a carico del datore di lavoro per gli apprendisti, con riferimento al complesso delle forme e gestioni di previdenza obbligatoria (pari, nella normativa generale relativa all'apprendistato, al 10 per cento), nonché l'esclusione dei seguenti contributi a carico del datore di lavoro: contributo all'INPS dovuto in caso licenziamento  ; contributo di finanziamento dell'ASpI (pari, per gli apprendisti, all'1,31 per cento); contributo pari allo 0,3 per cento destinato al finanziamento della formazione professionale.

Da ultimo, la legge di bilancio per il 2018 (articolo 1, c. 110-112, della L. 205/2017  ) ha introdotto alcune misure per il potenziamento della formazione e dell'apprendistato, prevedendo, in particolare, stanziamenti, a decorrere dal 2018, nelle seguenti misure annue, a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione :

  • per l'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione nei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) (circa 189 milioni di euro);
  • per il finanziamento dei percorsi formativi relativi ai contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, nonché dei percorsi formativi relativi all'alternanza tra scuola e lavoro  (75 milioni di euro);
  • per il finanziamento delle attività di formazione relative ai contratti di apprendistato professionalizzante (15 milioni di euro);
  • per l'estensione degli incentivi (già previsti fino al 31 dicembre 2017) per le assunzioni con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (5 milioni di euro per il 2018, 15,8 milioni pe il 2019 e 22 milioni dal 2020). Si tratta della disapplicazione del contributo di licenziamento, della riduzione della specifica aliquota contributiva dal 10% al 5% e dello sgravio totale dei contributi a carico dei datore di lavoro;
  • per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (5 milioni di euro).

Inoltre, l'articolo 1, c. 46-56, ha introdotto, per il 2018, un credito d'imposta per le spese di formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologie previste dal Piano Nazionale Impresa 4.0. Il credito è ammesso fino ad un importo massimo annuo pari a 300.000 euro per ciascun beneficiario. Entro tale limite, la misura del beneficio è pari al 40 per cento delle spese effettuate nel periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 e relative al costo aziendale dei lavoratori dipendenti, per il periodo in cui essi siano occupati nelle attività di formazione suddette.

In avvio di legislatura l' articolo 7 del D.L. 76/2013   ha apportato significative modifiche alla disciplina del contratto a termine (allora contenuta nel decreto legislativo 368/2001)   intervenendo su taluni vincoliall'utilizzo di tale forma contrattuale introdotti, nella XVI legislatura  , dalla L. 92/2012   di riforma del mercato del lavoro (cd. Riforma Fornero). Tali modifiche prevedono:
  • che il contratto a termine acausale (ossia senza indicazione delle "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività del datore di lavoro", normalmente richieste) possa essere stipulato anche nei casi previsti dai contratti collettivi di livello aziendale (sempre che siano stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative sul piano nazionale) e, ferma restando la durata massima complessiva di 12 mesi, che possa essere prorogato;
  • la soppressione dell'obbligo, a carico del datore di lavoro, di comunicare al centro per l'impiego territorialmente competente, entro il termine inizialmente fissato per la conclusione del rapporto di lavoro, la prosecuzione del rapporto di lavoro (dalla soppressione di tale obbligo consegue che ritrovi applicazione il termine generale relativo alle comunicazioni obbligatorie in materia di variazioni del rapporto di lavoro, pari a 5 giorni dall'evento);
  • la riduzione dei periodi di sospensione tra successivi contratti a termine (riduzione da 60 a 10 giorni per contratti di durata fino a 6 mesi e da 90 a 20 giorni per contratti di durata superiore a 6 mesi), con il sostanziale ripristino della disciplina antecedente alla legge n.92/2012  ;
  • l'esclusione dalla disciplina generale dei contratto a termine (di cui al d.lgs. n. 368/2001  ) dei contratti a termine stipulati dai lavoratori in mobilità.

Successivamente, l'articolo 1 del D.L. 34/2014    ha dettato disposizioni in materia di contratti a tempo determinato (c.d. lavoro a termine) e somministrazione di lavoro a tempo determinato, con l'obiettivo di facilitare ulteriormente il ricorso a tali tipologie contrattuali.

A tal fine la disposizione modifica in più parti il decreto legislativo n.368/2001   e il decreto legislativo n.276 del 2003  , prevedendo, in primo luogo, l'innalzamento da 1 a 3 anni, comprensivi di un massimo di 5 proroghe, della durata del rapporto a tempo determinato (anche in somministrazione) che non necessita dell'indicazione della causale per la sua stipulazione (c.d. acausalità).

A fronte dell'eliminazione della causale, viene introdotto un "tetto" all'utilizzo del contratto a tempo determinato, stabilendo che il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato alle sue dipendenze. Il superamento del limite comporta una sanzione amministrativa pari al 20% e al 50% della retribuzione per ciascun mese di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti in violazione del limite sia, rispettivamente, inferiore o superiore a uno. Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è comunque sempre possibile stipulare un contratto a tempo determinato. Il limite del 20% non trova applicazione nel settore della ricerca, limitatamente ai contratti a tempo determinato che abbiano ad oggetto esclusivo lo svolgimento di attività di ricerca scientifica, i quali possono avere durata pari al progetto di ricerca al quale si riferiscono.

Attraverso una disciplina transitoria (articolo 2-bis)) si prevede che (fermi restando comunque i diversi limiti quantitativi stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali) per i datori che alla data di entrata in vigore del decreto-legge occupino lavoratori a termine oltre tale soglia, l'obbligo di adeguamento al tetto legale del 20% scatta a decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva (anche aziendale) non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli.

Inoltre, varie disposizioni sono volte ad ampliare e rafforzare il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità per le assunzioni da parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine. A tale riguardo si prevede che ai fini dell'integrazione del limite minimo di 6 mesi di durata del rapporto a termine (durata minima che la normativa vigente richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza) devono computarsi anche i periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità. Si prevede, altresì, che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni con contratti a tempo indeterminato (come già previsto dalla normativa vigente), ma anche per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro. Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l'obbligo di richiamare espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell'atto scritto con cui viene fissato il termine del contratto.

Infine, specifiche norme sono state introdotte in materia di contratti a termine nel settore pubblico, nel quadro degli interventi per il progressivo riassorbimento del fenomeno del precariato nella pubblica amministrazione.

Ulteriori interventi su aspetti specifici della disciplina del contratto a termine sono contenuti nella legge auropea 2013 e nella legge di stabilità per il 2014. L'articolo 12 della legge 97/2013   (legge europea 2013), con l'obiettivo di adeguare l'ordinamento interno a quello comunitario, ha dettato disposizioni in materia di computo dei lavoratori a tempo determinato all'interno delle imprese ai fini delle soglie dimensionali previste nello Statuto dei lavoratori, prevedendo che occorra fare riferimento al numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro; mentre l'articolo 1, comma 135, della L. 147/2013   (legge di stabilità per il 2014), ha disposto l'integrale restituzione al datore di lavoro del contributo addizionale dell'1,4% della retribuzione previsto pr i rapporti di lavoro non a tempo indeterminato, nel caso in cui questi vengano trasformati in rapporti a tempo indeterminato.

La disciplina del contratto a termine è confluita successivamente negli articoli da 19 a 29 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81   (emanato in attuazione della delega contenuta nella L. 183/2014  , cd.   jobs act ), il quale, pur non alterando la struttura dell'istituto venutasi a delineare alla luce degli  interventi normativi di inizio legislatura, ha comunque apportato significative modifiche alla sua disciplina (con contestuale abrogazione del D.Lgs. 368/2001  ).

In particolare, tra gli interventi contenuti nella riforma si segnalano:

  • l'esclusione esplicita della sanzione della trasformazione, in contratti a tempo indeterminato, dei contratti a termine stipulati in violazione del limite percentuale del 20% (sostituita da una sanzione pecuniaria amministrativa);
  • la possibilità,  attraverso i contratti collettivi, di individuare un limite percentuale superiore a quello del 20%;
  • la previsione che nel caso di inizio dell'attività in corso d'anno, il limite percentuale del 20% si computi sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell'assunzione;
  • la possibilità di stipulare contratti a termine in deroga al limite percentuale del 20%  è data anche ad università pubbliche e private, nonché istituti culturali ed enti pubblici e privati (derivanti da precedenti enti pubblici vigilati dal Ministero dei beni e delle attività culturali) per il personale da adibire a mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale.

Ulteriori significative modifiche concernono:

  • la possibilità di stipulare un ulteriore contratto a termine  al termine di un rapporto di lavoro a tempo determinato che abbia raggiunto la durata massima di 36 mesi, con una durata massima di 12 mesi (diversamente dalla normativa previgente, che rimetteva la determinazione della durata di tale ulteriore contratto alle parti sociali);
  • la soppressione, nell'ambito della disciplina derogatoria prevista per i contratti a termine stipulati da imprese start up innovative (di cui all'articolo 28 del D.L. 179/2012  ), della disposizone della disposizione che prevedeva una durata contrattuale minima di sei mesi;
  • la previsione che le attività stagionali (ai fini dell'applicazione della disciplina speciale in materia di riassunzioni successive alla scadenza di un contratto a termine), debbano essere individuate con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, l'elevazione da 60 a 120 giorni del termine per l'impugnazione giudiziale del contratto a tempo determinato;
  • l'espressa previsione che qualora il giudice, nei casi di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, condanni il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore (stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura, invariata rispetto alla normativa attualmente vigente, compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto), l'indennità ristori per intero il pregiudiziosubito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.

Oltre a ciò, si segnala l'applicazione della disciplina dei contratti a termine per il settore ortofrutticolo (settore precedentemente escluso); la soppressione della norma che prevedeva che i contratti collettivi nazionali definissero le modalità per le informazioni da rendere ai lavoratori a tempo determinato relativamente ai posti vacanti che si rendessero disponibili nell'impresa (in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori); l'introduzione dell'espressa previsione che nel caso in cui si disponga la sesta proroga di un contratto a tempo determinato (in violazione, quindi, del limite di 5 proroghe, che viene confermato), il contratto si consideri a tempo indeterminato a decorrere dalla data di decorrenza della sesta proroga.

Infine, si segnala la soppressione di alcune disposizoni contenute nella disciplina previgente, quali il rinvio alla contrattazione collettiva per il superamento del divieto (che diviene, quindi, tassativo) di ricorso al lavoro a termine in determinate ipotesi (per mansioni svolte da lavoratori oggetto di licenziamenti collettivi negli ultimi 6 mesi), la norma (di cui all'articolo 5, comma 4-sexies, del D.Lgs. 368/2001) in base alla quale il diritto di precedenza deve essere espressamente previsto nell'atto scritto con cui si stabilisce il termine al contratto, le norme che escludevano dalla disciplina sui contratti a termine i rapporti di apprendistato e le tipologie contrattuali legate a fenomeni di formazione (di cui all'articolo 10, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 368/2001) nonché la norma (ex articolo 5, comma 4, del D.Lgs. 368/2001) in base alla quale, in caso di assunzioni successive a termine senza soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

    Il lavoro accessorio è stato interessato nel corso della legislatura da una serie di interventi normativi, volti soprattutto ad ampliare la possibilità di ricorrere a tale istituto e a ridurre la portata di vincoli e limiti, intervenendo sui requisiti per l'accesso, sulla possibilità del ricorso a tale tipologia di lavoro per coloro che percepiscono prestazioni integrative del salario o di sostegno del reddito e sul ricorso al lavoro accessorio da parte di pubbliche amministrazioni. Prima della sua abrogazione (ad opera del D.L n.25 del 2017, che ha impedito lo svolgimento della consultazione referendaria poco prima indetta per l'abrogazione dell'istituto), la disciplina del lavoro accessorio era stata definita nel suo complesso con il D.Lgs. 81/2015, adottato in attuazione della legge delega in materia di lavoro n. 183/2014 (cd. Jobs act). A poca distanza dalla soppressione del lavoro accessorio è intervenuto l'articolo 54-bis del D.L. 50/2017, che ha introdotto una nuova disciplina delle prestazioni occasionali.

Il primo intervento della XVII Legislatura sul lavoro accessorio è stato attuato dal D.L. 76/2013   (articoli 7 e 9), il quale ha previsto l'ampliamento dell'ambito applicativo dell'istituto (escludendo che le prestazioni dovessero avere "natura meramente occasionale") e soppresso la previsione in base alla quale, nell'àmbito dell'impresa familiare (di cui all'articolo 230-bis del codice civile  ), doveva trovare applicazione la normale disciplina contributiva del lavoro subordinato.

Il decreto legislativo 81/2015

La disciplina del lavoro accessorio è stata da successivamente modificata dagli articoli da 48 a 50 del D.Lgs. 81/2015   (attuativo del Jobs Act).

Tra le modifche di maggior rilievo viene in considerazione l'innalzamento da 5.000 euro a 7.000 euro (annualmente rivalutati) nel corso di un anno civile e con riferimento alla totalità dei committenti, del limite massimo entro cui deve rientrare la retribuzione perché la prestazione possa configurarsi come lavoro accessorio. Fermo restando il suddetto limite di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente. Tale previsione si applica anche al settore agricolo, con rifermento a specifiche attività. Il limite è invece pari a 3.000 euro di compenso per anno civile (anch'essi oggetto di rivalutazione annua) per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, che possono rendere prestazioni di lavoro accessorio nell'ambito di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.

Per quanto concerne il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico, questo è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno.

Vengono inoltre introdotti il divieto di ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio per l'esecuzione di appalti di opere o servizi (ad eccezione di specifiche ipotesi individuate con DM da adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto in esame) e l'obbligo, per gli imprenditori e i professionisti, di comunicare, prima dell'inizio della prestazione, alla Direzione territoriale del lavoro competente, con modalità telematiche (anche attraverso sms o posta elettronica), i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore, nonché il luogo della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi.

In materia di buoni orari, la nuova disciplina dispone che questi possono essere acquistati da committenti imprenditori o professionisti, esclusivamente attraverso modalità telematiche, e da committenti non imprenditori o non professionisti, anche presso le rivendite autorizzate. In attesa dell'emanazione di un apposito DM per la determinazione del valore nominale dei buoni orari, esso resta fissato in 10 euro   (mentre nel settore agricolo è pari all'importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale).

Per quanto riguarda la tracciabilità dei voucher, il D.Lgs. 185/2016   (decreto correttivo), con l'obiettivo di frenari abusi e comportamenti elusivi delle norme, ha disposto che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti a darne comunicazione all'Ispettorato nazionale almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione e, indicando non solo i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, ma anche il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione (i committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione  con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3 giorni).

La soppressione del'istituto: il decreto-legge 25/2017

Una repentina inversione di rotta nell'evoluzione normativa dell'istituto si è avuta con l'articolo 1 del D.L. 25/2017   , il quale ha disposto la soppressione della disciplina del lavoro accessorio, (attraverso l'abrogazione degli articoli da 48 a 50 del D.Lgs. 81/2015  ), prevedendo tuttavia un regime transitorio per i buoni già richiesti fino al 17 marzo 2017 (data di entrata in vigore del decreto-legge), i quali possono essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017.

La soppressione dell'istituto è intervenuta successivamente alla decisione della Corte costituzionale dell'11 gennaio 2017, che ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della normativa vigente in materia di lavoro accessorio  (articoli 48-50 del D.Lgs. 81/2015  , adottato in attuazione della L. 13/2014). 

A seguito della soppressione della normativa sul lavoro accessorio, l'articolo 54-bis del D.L. 50/2017   ha introdotto una nuova disciplina delle prestazioni di lavoro occasionale, definite come le attività lavorative che danno luogo (in un anno civile) a compensi (esenti da imposizione fiscale, non incidenti sull'eventuale staso di disoccupazione e computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno) complessivamente non superiori:

  • 5.000 euro, per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori;
  • 5.000 euro, per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori;
  • 2.500 euro, per prestazioni rese complessivamente da ogni prestatore in favore dello stesso utilizzatore.

In caso di superamento del limite di 2.500 euro, o comunque di durata della prestazione superiore a 280 ore nell'arco dello stesso anno civile, il rapporto di lavoro si trasforma a tempo pieno e indeterminato. E' prevista una sanzione amministrativa da euro 500 a euro 2.500 per ogni prestazione lavorativa giornaliera in cui risulta accertata la violazione.

 

Per quanto attiene il limite di reddito degli utilizzatori, alcuni compensi dei prestatori sono computati al 75% del loro importo. Si tratta: dei titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità; dei giovani con meno di 25 anni di età (se regolarmente iscritti a un ciclo di studi scolastico o universitario); delle persone disoccupate (ex articolo 19 del D.Lgs. 150/2015  ); dei percettori di prestazioni integrative del salario, di reddito di inclusione (REI) ovvero di altre prestazioni di sostegno del reddito (in tal caso l'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni occasionali di cui al presente articolo).

 

Alle prestazioni di lavoro occasionale possono ricorrere le persone fisiche o altri utilizzatori.

Per quanto concerne le persone fisiche (non nell'esercizio dell'attività professionale o d'impresa), possono ricorrere a prestazioni occasionali utilizzando il Libretto Famiglia, cioè un apposito libretto nominativo prefinanziato, acquistabile presso l'INPS o gli uffici postali, e utilizzabile per il pagamento delle prestazioni occasionali rese nell'ambito di:

  • piccoli lavori domestici (inclusi lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione);
  • assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità;
  • insegnamento privato supplementare.

Ogni Libretto Famiglia contiene titoli di pagamento con valore nominale di 10 euro per prestazioni non superiori ad un'ora; di tale somma 1,65 euro e 0,25 euro sono a carico dell'utilizzatore, rispettivamente per la contribuzione alla Gestione separata e per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro; 0,10 euro sono invece destinati al finanziamento degli oneri gestionali; gli utilizzatori, devono comunicare con specifiche modalità entro il terzo giorno del mese successivo alla prestazione tutti i dati relativi al prestatore e alla prestazione;

 

Per quanto concerne gli altri utilizzatori, possono ricorrere a prestazioni occasionali mediante uno specifico contratto di prestazione occasionale.

Per l'attivazione di tale contratto, ciascun utilizzatore deve versare (attraverso la piattaforma informatica INPS) le somme dovute, secondo specifiche modalità. L'1% degli importi versati è per il finanziamento degli oneri gestionali.

La misura minima del compenso è pari a 9 euro (per il settore agricolo è invece pari all'importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale). Sono interamente a carico dell'utilizzatore la contribuzione alla Gestione separata (33% del compenso) e il premio dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (3,5% del compenso).

È vietato l'utilizzo del contratto di prestazione occasionale:

  • per gli utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di 5 lavoratori subordinati a tempo indeterminato;
  • per le imprese dell'edilizia e di settori affini, per le imprese esercenti l'attività di escavazione e/o lavorazione di materiale lapideo, per le imprese del settore miniere, cave e torbiere.
  • nell'esecuzione di appalti di opere o servizi;
  • da parte di imprese del settore agricolo, salvo per specifici soggetti (pensionati, studenti, disoccupati, precettori di prestazioni integrative del salario), purché non iscritti l'anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

 

Il prestatore ha diritto alla copertura previdenziale, assicurativa e infortunistica, ed ha l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS. Trovano inoltre applicazione nei confronti del prestatore le disposizioni vigenti in materia di riposo giornaliero e settimanale e delle pause, e quelle in materia di sicurezza sul lavoro (la cui applicazione però, è circoscritta, ai sensi dell'articolo 3, comma 8, del D.Lgs. 81/2008  , ai prestatori che svolgano la prestazione a favore di un committente imprenditore o professionista). Invece, non possono essere acquisite prestazioni di lavoro occasionali da soggetti con i quali l'utilizzatore abbia in corso (o abbia cessato) da meno di 6 mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa.

È previsto l'obbligo di registrazione (con relativi adempimenti), per gli utilizzatori e i prestatori che vogliono utilizzare le prestazioni occasionali, in un'apposita piattaforma informatica, gestita dall'INPS, che supporta le operazioni di erogazione e di accreditamento dei compensi e di valorizzazione della posizione contributiva dei prestatori attraverso un sistema di pagamenti elettronici. La registrazione e i relativi adempimenti possono essere svolti tramite i consulenti del lavoro (tramite i patronati esclusivamente ai fini dell'accesso al Libretto Famiglia).

 

Sia per il Libretto Famiglia, sia per il contratto di prestazione occasionale, l'INPS provvede al pagamento del compenso entro il 15 del mese successivo alla prestazione, mediante specifico accredito su c/c bancario o bonifico bancario (con oneri in quest'ultimo caso a carico del prestatore). L'INPS, inoltre, attraverso la richiamata piattaforma informatica, provvede all'accreditamento dei contributi previdenziali e al trasferimento all'INAIL dei premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nonché dei dati sulle prestazioni di lavoro occasionale nel periodo di riferimento.

 

Infine, anche le pubbliche amministrazioni possono fare ricorso al contratto di prestazione occasionale (nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale), ma esclusivamente:

  • nell'ambito di progetti speciali rivolti a specifiche categorie di soggetti in stato di povertà, di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di ammortizzatori sociali;
  • per lo svolgimento di lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi;
  • per attività di solidarietà, in collaborazione con altri enti pubblici e/o associazioni di volontariato;
  • per l'organizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli.

Alle pubbliche amministrazioni, inoltre, non si applica il divieto di utilizzo del contratto di prestazione occasionale previsto per i datori di lavoro con più di 5 dipendenti in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nè l'istituto della trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.