Autonomie territoriali e finanza locale

Federalismo fiscale

In attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, recante i principi e i criteri direttivi per l'attuazione del federalismo fiscale, in riferimento all'articolo 119 della Costituzione  , sono stati emanati nove decreti legislativi, finalizzati a definire il nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali. Il quadro attuativo della delega risulta implementato solo parzialmente nell'ordinamento, anche a causa di importanti mutamenti nel frattempo intervenuti nel quadro istituzionale della finanza locale: mutamenti che in più parti hanno inciso sull'impostazione del disegno della legge delega, e che sono riconducibili principalmente all'aggravarsi della crisi economica e finanziaria e alla conseguente necessità di una maggior centralizzazione delle decisioni di entrata e di spesa. In tale assetto, peraltro, uno degli elementi più innovativi della disciplina federalista, costituito dai fabbisogni standard e dalle capacità fiscali, ha assunto un ruolo importante come criterio di assegnazione delle risorse agli enti locali.

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Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge n. 42 del 2009   è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale.

A tal fine, la legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l'assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica. 

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza, istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali - per le quali si prevede l'integrale copertura dei fabbisogni finanziari - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori. Per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni; le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno invece finanziate secondo un modello di perequazione delle capacità fiscali, che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l'ordine delle rispettive capacità fiscali.

Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell'art. 119 della Costituzione  .

Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.

A tal fine la legge reca i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione  , nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali. Ciò al fine di definire un quadro diretto a consentire l'esercizio concreto dell'autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.

Per quanto riguarda il sistema tributario complessivo dello Stato, dovrà essere salvaguardato l'obiettivo di non alterare il criterio della sua progressività, rispettando il principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche. In linea generale, si stabilisce inoltre il principio in base al quale l'imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali.

La legge delega ha trovato attuazione mediante l'emanazione di nove decreti legislativi, costituiti dai seguenti:

Nel corso della XVII legislatura è stato inoltre emanato il Decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126  , con il quale sono state apportate modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili   e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi.

In attuazione di quanto previsto dalla legge, il quadro attuativo del federalismo fiscale è esposto nella R  elazione semestrale   sull'attuazione della legge delega, approvata dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.

Pur in presenza di un corpus normativo che ha sostanzialmente affrontato pressoché tutti gli aspetti indicati nella legge delega, il percorso attuativo del federalismo fiscale non si è poi completato, per quattro diversi ordini di ragioni.

La prima è rinvenibile nelle caratteristiche della legislazione delegata che in taluni casi, riproponendo anche per l'aspetto lessicale le disposizioni contenute nella legge delega (ad esempio in tema di funzioni fondamentali degli enti locali, ovvero su Roma capitale) non ha risolto alcune delle questioni normative poste dalla delega ed in altri è intervenuta sollevando numerose questioni di coordinamento sia tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e sulla fiscalità regionale, rispettivamente n. 23 e n. 68 del 2011), che tra i decreti e la disciplina generale in vigore nella materia (ad esempio per il federalismo demaniale e per gli interventi speciali, rispettivamente decreti n. 85 del 2012 e n. 88 del 2011) . Ma, più ancora, i provvedimenti emanati rinviano a numerosi altri interventi attuativi di rango secondario – decreti e regolamenti – che in molti casi non risultano emanati, e ciò anche in alcuni aspetti cruciali per l'implementazione della nuova disciplina, nei quali, potrebbe ritenersi, la delega ha posto obiettivi ambiziosi, la cui implementazione normativa risulta oggettivamente molto complessa: è il caso, soprattutto, della individuazione dei fabbisogni standard, i cui termini di conclusione sono stati più volte posposti. Benché il metodo delle attribuzioni di fabbisogno   definitive per tutte le funzioni fondamentali degli enti locali sia ormai pressoché completato da parte dei soggetti incaricati (principalmente la SOSE  ), ed i conseguenti  D.P.C.M. già emanati, come meglio si precisa nel paragrafo che segue, l'impiego dello strumento del fabbisogno risulta distante dalla funzione perequativa ad esso affidata dalla disciplina originaria, risultando al momento prevalentemente utilizzato come uno degli indicatori ( in aggiunta a quello della capacità fiscale) per la ripartizione del Fondo di solidarietà comunale. Tale circostanza, unitamente alla mancata definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni (nei settori diversi dalla sanità, ove  la vigente disciplina, introdotta nel 2001, è stata di recente aggiornata con D.P.C.M. 21/2/2017,n.21  )) ai sensi dell'articolo 117, lettera m) della Costituzione, vanifica una importante componente dell'originario disegno federalista. Va infatti rammentato come la determinazione dei fabbisogni standard   costituisca l'architrave della fiscalità federalista come delineata dalla legge n. 42/2009  , in quanto è alla base (sia per il complesso delle autonomie territoriali che per ogni singolo ente) della sequenza: costi standard, differenza tra fabbisogno/costo standard e risorse fiscali dell'ente, perequazione integrale, con il concorso dello Stato, del fabbisogno "scoperto" per quanto concerne i livelli essenziali delle prestazioni e perequazione "parziale" (riferita alla capacità fiscale) per le altre funzioni. Ed inoltre, la concreta realizzazione della finanza decentrata presenta problemi tecnici di oggettiva complessità, che in molti casi hanno reso necessario, come nel caso dei fabbisogni standard, del funzionamento dei fondi perequativi per gli enti locali o dell'armonizzazione dei sistemi contabili la previsione di lunghi periodi transitori e/o di fasi di sperimentazione prima dell'entrata a regime. Questa è ormai intervenuta quanto all'armonizzazione, ma non ancora per  i fondi perequativi.

In particolare per quanto concerne le Regioni a statuto ordinario il nuovo sistema di finanziamento delineato dal decreto legislativo n. 68 del 2011 con riguardo alle funzioni regionali relative ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP, ai sensi dell'articolo 117 Cost), previsto operare dal 2013, è stato più volte rinviato, da ultimo al 2020 ad opera dell'articolo 1, comma 778, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018). Rinvio che investe l'intero regime di alimentazione delle risorse regionali delineato dal suddetto decreto legislativo, basato, si rammenta: a) su una rideterminazione dell'addizionale regionale Irpef che assicuri un gettito corrispondente sia al gettito in essere che anche ai trasferimenti statali da sopprimere in base al medesimo decreto legislativo; b) su una nuova articolazione della compartecipazione regionale all'IVA; c) sulla soppressione (c.d. fiscalizzazione) di tutti i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza e destinati all'esercizio delle competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni; d) sulla istituzione di un fondo perequativo regionale.

La seconda ragione può indicarsi in quello che appare oggettivamente un ripensamento da parte del legislatore su alcune questioni importanti della delega evidenziatosi già sul finire delle scorsa legislatura e poi ripetutosi in quella in corso, nel quale aspetti importanti della normativa federalista sono stati modificati, in ragione delle pressanti necessità di consolidamento dei coti pubblici imposte dalla crisi finanziaria, con la legislazione ordinaria - a partire dal decreto-legge n. 201 del 2011   – vale a dire fuori dal procedimento previsto dalla delega medesima. 

Una terza ragione è imputabile alla circostanza che il disegno normativo delineato dalla legge n. 42 del 2009   si è scontrato con una delle fasi più critiche degli ultimi decenni per l'economia e la finanza pubblica. Ciò ha reso necessario per i vari Governi che si sono succeduti dal 2010 in poi considerare come prioritarie le esigenze di contenimento della spesa pubblica e di manovra da parte dell'erario sulle entrate. Come rilevato a suo tempo dalla Corte dei cont  i, una successione di interventi normativi orientati a tali finalità – dai tagli di spesa agli aumenti di entrata – ha pertanto posto in secondo piano il federalismo fiscale appena avviato, tagliando trasferimenti ed in tal modo riducendo gli spazi di autonomia finanziaria da trasformare in risorse autonome per gli enti territoriali, imponendo poi limiti più stringenti alle regole di spesa del patto di stabilità interno e riducendo gli spazi di autonomia gestionale, organizzativa e di entrata degli enti territoriali, cui da ultimo si sta aggiungendo la c.d. spending review.

In conseguenza di ciò, il quadro attuale - e presumibilmente ormai pressoché definitivo - del federalismo fiscale  evidenzia come l'emergenza finanziaria si sia riversata soprattutto sul versante impositivo, investendo tributi che nella legge n. 42 del 2009   avevano un ruolo centrale a tal fine, in primis l'IMU, vero e proprio volano della fiscalità municipale. Mentre, pertanto, sul versante della spesa, pur con molti nodi ancora da sciogliere sui fabbisogni standard sono chiari gli strumenti da utilizzare per regolarne la gestione, sul versante delle entrate territoriali si registra una forte incertezza, se non confusione, sugli strumenti e modalità con cui realizzare l'assetto impositivo della finanza locale, solo recentemente conclusa nel 2016 con l'eliminazione della TASI sull'abitazione principale.

Una quarta ed ultima ragione è infine rinvenibile nella riforma costituzionale del 2012 (legge cost. 20 aprile 2012, n. 1  ) con cui è stato dato rilievo nella Carta costituzionale ad alcuni principi e indirizzi finanziari dell'ordinamento europeo, con l'introduzione del principio del pareggio di bilancio non solo per lo Stato ma anche per tutte le altre pubbliche amministrazioni, e dunque anche per regioni ed enti locali. La riforma non si limita ad intervenire sull'autonomia finanziaria degli enti locali, modificando l'articolo 119 della Costituzione  , ma attraverso successive disposizioni introdotte mediante una legge attuativa delle nuove norme costituzionali (legge n.243 del 2012  ) ha introdotto e delineato ulteriori limiti e vincoli ai requisiti dell'equilibrio di bilancio degli enti territoriali medesimi, chiamandoli a concorrere alla sostenibilità delle finanze pubbliche ed, in tal modo, incidendo su alcuni degli assetti istituzionali vigenti al momento del varo della legge delega sul federalismo fiscale. Per ulteriori indicazioni su quanto finora qui consideratosi ritiene utile rinviare alla ultima Relazione semestrale   della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale sull'attuazione della legge delega.

Una delle espressioni che meglio di altre sintetizza l'esperienza attuativa del federalismo fiscale è "transizione". Non a caso nella suddetta Relazione si parla espressamente di "perdurante transizione",  in considerazione del fatto che uno dei connotati più evidenti e costanti della attuale stagione dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie territoriali è proprio la transizione ovverossia la instabilità e provvisorietà dei rapporti finanziari e della distribuzione del potere di entrata e di quello di spesa.

Per un approfondimento sugli aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale consulta qui il dossier  .

In tale quadro si è però andato consolidando un importante istituto disegnato dalla disciplina federalista, vale a dire lo strumento del fabbisogno standard, che nella disciplina dei rapporti finanziari  tra Stato ed enti locali è venuto a costituire il principale elemento di distribuzione delle risorse e che, in funzione di questo compito,  è stato  più volte negli ultimi anni regolamentato sulla base di  una disciplina metodologica che ne ha via via meglio precisato le caratteristiche, mediante una produzione normativa di rango secondario (per approfondimenti si veda il relativo paragrafo).