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L'Unione europea ha intrapreso una serie di iniziative volte a dare maggior concretezza al monitoraggio del rispetto dei principi contenuti nei Trattati e nella Carta europea dei diritti fondamentali in materia di Stato di diritto e di diritti fondamentali.
Si è quindi avviato un ampio confronto sull'efficacia degli strumenti previsti dal ordinamento europeo per una tutela effettiva dei principi richiamati.
Tale situazione è stata fortemente stigmatizzata da più parti, che hanno sottolineato come di fronte a comportamenti palesemente lesivi dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali da parte di alcuni Stati membri fosse praticamente impossibile una reazione efficace da parte dell'UE.
L'assenza di uno strumento efficace di reazione nei confronti delle violazioni dei principi citati ha costretto le Istituzioni europee a ripiegare su misure di soft law, strumenti di dialogo politico diretti sostanzialmente a indurre gli Stati membri interessati a recedere dai comportamenti lesivi.
La Commissione europea è intervenuta in materia presentando, nel marzo del 2014, la proposta di istituire una nuova procedura (Nuovo quadro UE per rafforzare lo Stato di diritto ) per i casi in cui uno Stato membro adotti misure o tolleri situazioni in grado di compromettere sistematicamente l'integrità, la stabilità, il corretto funzionamento delle istituzioni o dei meccanismi di salvaguardia istituiti a livello nazionale per garantire lo Stato di diritto.
Nel gennaio 2016 la Commissione europea ha attivato per la prima volta il nuovo quadro giuridico nei confronti della Polonia a seguito del grave conflitto istituzionale verificatosi in tale Stato membro, che secondo la Commissione ha messo a rischio la tenuta del principio dello Stato di diritto.
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la legittimità delle nomine dei giudici del Tribunale costituzionale polacco;
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le regole che sovraintendono al funzionamento di tale organismo;
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la mancata pubblicazione ed esecuzione delle sentenze del Tribunale costituzionale da parte del Governo polacco;
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le politiche del Governo polacco in materia di media nell'ambito del servizio pubblico.
Lo svolgimento dell'iter di dialogo politico durato circa due anni non è stato sufficiente a sciogliere i nodi individuati dalla Commissione europea, la quale nel gennaio 2018 ha concluso confermando l'esistenza di un chiaro rischio di una grave violazione dello stato di diritto in Polonia, nonché proponendo al Consiglio di avviare la procedura richiamata ex articolo 7.
Il dibattito sugli strumenti a protezione dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali è stato integrato con le proposte del Consiglio dell'UE (cosiddetti Dialoghi sullo stato di diritto) e del Parlamento europeo (risoluzione su un Patto interistituzionale su democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali ), i cui sviluppi sono tuttora attesi.
La prima proposta citata si è concretizzata in una serie di riunioni del Consiglio affari generali nelle quali sono state discusse tematiche generali in materia di rispetto dei principi richiamati sulla base di principi di obiettività, non discriminazione e parità di trattamento di tutti gli Stati membri, in sostanza senza effettivamente entrare nel merito delle violazioni di tali valori UE da parte di specifici Stati membri.
Il Patto proposto dal Parlamento europeo disciplina le modalità di cooperazione delle istituzioni dell'Unione e degli Stati membri nell'ambito dell'articolo 7 TUE, prefigurando un vero e proprio ciclo annuale sulla salute della democrazia, dello Stato di diritto e sui diritti fondamentali nell'UE, che prevede la collaborazione tra Parlamento europeo, Consiglio UE e Commissione europea, con il coinvolgimento degli stessi Parlamenti nazionali.
Il ciclo inizierebbe con la presentazione da parte della Commissione europea di una relazione in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali (DSD), articolata in una parte generale recante la valutazione della situazione della democrazia dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali negli Stati membri, e in una parte dedicata a raccomandazioni specifiche per Paese. Una volta trasmessa al Parlamento europeo, al Consiglio e ai Parlamenti nazionali, la relazione avvierebbe la discussione a livello europeo e nazionale.
La nuova procedura coinvolge significativamente i Parlamenti nazionali laddove prevede che il Consiglio dell'UE, sulla base della relazione DSD possa adottare conclusioni volte ad invitare i Parlamenti nazionali a fornire una risposta alla relazione DSD e alle eventuali proposte o riforme in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali.
Si ricorda, da ultimo, che nonostante i ripetuti appelli del Parlamento europeo per la presentazione di una proposta formale per l'avvio del ciclo in materia di democrazia Stato di diritto e diritti fondamentali, la Commissione europea, sollevando alcuni dubbi sulla opportunità dello strumento, non ha ritenuto di dare effettivamente seguito alla proposta.
La Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 nell'ambito del Consiglio d'Europa, consiste in un sistema di tutela internazionale dei diritti dell'uomo a disposizione dei singoli soggetti interessati.
La Convenzione, successivamente ratificata da tutti gli Stati membri dell'UE (la ratifica italiana è avvenuta con con legge 4 agosto 1955 n. 848), istituisce diversi organi di controllo, con sede a Strasburgo. I principali sono:
- la Corte europea dei diritti dell'uomo, come detto, principale meccanismo giudiziario per l'applicazione dei diritti enunciati nella Convenzione;
- il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, che svolge il ruolo di custode della CEDU e si pronuncia in merito alle controversie sulle violazioni della CEDU che non siano state trattate dalla Corte.
L‘art. 6, par. 2 del Trattato sull'Unione europea prevede l'adesione dell'UE alla CEDU, precisando che tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite dati Trattati.
Il processo di adesione, iniziato nel 2010, non si è ancora concluso e sta sostanzialmente scontando un fase di stallo a seguito delle perplessità suscitate dal parere negativo della Corte di giustizia sulla bozza di accordo tra Unione europea e Consiglio d'Europa (vedi infra).
L'iter prevede che l'accordo sia concluso dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa e, all'unanimità, dal Consiglio dell'UE. Anche il Parlamento europeo, che deve essere pienamente informato di ciascuna delle fasi dei negoziati, deve dare la propria approvazione.
La procedura di adesione prevede altresì che sulla bozza di accordo intervenga il parere della Corte di giustizia dell'Unione europea.
Una volta concluso, l'accordo deve essere ratificato da tutte le 47 parti contraenti della CEDU, conformemente alle rispettive disposizioni costituzionali.
Il 5 aprile 2013 si è raggiunta una bozza di accordo a livello di negoziatori, sul quale ha espresso altresì apprezzamento il Consiglio giustizia e affari interni del 6-7 giugno 2013
Tuttavia, il 18 dicembre 2014, la Corte dei giustizia dell'UE ha espresso parere negativo sulla bozza di accordo. In particolare, la Corte ha sottolineato che, poiché l'Unione non può essere considerata uno Stato, l'adesione deve tenere in considerazione le caratteristiche particolari dell'Unione medesima (tra l'altro con riferimento particolare al controllo giurisdizionale degli atti, delle azioni o delle omissioni dell'Unione svolto dalla Corte stessa).
La Corte ha pertanto concluso che il progetto di accordo sull'adesione dell'Unione europea alla CEDU non è compatibile con una serie di diposizioni dei Trattati.