Una delle questioni affrontate dal dibattito politico negli ultimi tempi riguarda l'introduzione di un salario minimo adeguato per i lavoratori, anche a seguito della presentazione da parte della Commissione europea di una direttiva sul tema, definitivamente approvata lo scorso 14 settembre 2022, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro due anni dalla sua entrata in vigore.
Il salario minimo può essere stabilito per legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale, o dalla combinazione della fonte normativa con la contrattazione collettiva. Attualmente, il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell'UE: in 21 Paesi esistono salari minimi legali, mentre in 6 Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
Il dibattito ruota anche attorno ad altri temi, quali il livello del salario minimo, le procedure e i criteri da stabilire per l'adeguamento periodico del salario minimo e il coinvolgimento dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro nella definizione dello stesso.
Nell'ordinamento italiano non esiste un livello minimo di retribuzione fissato per legge, ma l'articolo 36 della Costituzione riconosce il diritto, per il lavoratore, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Il richiamato articolo 36 va letto unitamente all'articolo 39 della Costituzione che attribuisce ai sindacati, previa registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, e ciò da parte di una delegazione unitaria di tutti i sindacati registrati, ognuno rappresentato in proporzione ai propri iscritti.
La mancata attuazione di tale ultima previsione costituzionale ha determinato due criticità: la mancata estensione nei confronti di tutti i lavoratori appartanenti alla medesima categoria della efficacia dei contratti collettivi e una proliferazione degli stessi.
Sotto il primo profilo, alla mancanza di una efficacia generalizzata dei contratti collettivi ha sopperito nel corso degli anni una consolidata giurisprudenza secondo cui i minimi tabellari stabiliti nei CCNL sono applicabili anche alle imprese e ai lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto collettivo (cfr, tra le altre, Cass. 31 gennaio 2012, n. 1415; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27138; Cass. 2 agosto 2018, n. 20452, Cass. 30 ottobre 2019, n. 27917).
In Italia, dunque, trovano applicazione, per i relativi settori, i livelli minimi di retribuzione stabiliti dai contratti collettivi nazionali per ciascuna qualifica e mansione.
Per quanto riguarda il secondo profilo, l'elevato numero di CCNL ha dato luogo al fenomeno del cosiddetto dumping contrattuale, vale a dire l'applicazione di contratti firmati da organizzazioni datoriali e sindacali che non risultano maggiormente rappresentative e che applicano minimi tabellari più bassi.
Sul punto, si segnala che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 51 del 2015, con riferimento alla figura del socio lavoratore nelle cooperative, ha affermato il principio, poi ripreso anche da successive pronunce della Cassazione, secondo cui i minimi salariali previsti nei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative pur non avendo efficacia erga omnes, sono comunque da intendersi come parametro esterno di commisurazione nella definizione della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione di cui all'art 36 Cost.
La direttiva UE 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europeaè finalizzata a garantire l'adeguatezza dei salari minimi e condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori europei, nel rispetto delle specificità di ogni ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali. Ciò al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l'alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive.
La direttiva interviene principalmente nei seguenti ambiti:
Come specificato nell'articolo 1, nessuna disposizione della direttiva può essere interpretata in modo tale da imporre a qualsiasi Stato membro:
a) l'obbligo di introdurre un salario minimo legale, laddove la formazione dei salari sia garantita esclusivamente mediante
contratti collettivi, o
b) l'obbligo di dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile.
Con riferimento agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, la direttiva chiede a tali Stati di istituire le necessarie procedure per la loro determinazione ed il loro aggiornamento, sulla base di criteri che ne assicurino l'adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l'alto, nonché ridurre il divario retributivo di genere.
I criteri per tale aggiornamento – che deve avvenire almeno ogni due anni (quattro per gli Stati che ricorrono ad un meccanismo di indicizzazione automatica) con il coinvolgimento delle parti sociali – comprendono almeno:
Gli Stati membri possono inoltre ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell'indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e a condizione che l'applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale.
Con riferimento ai Paesi in cui la definizione di un salario minimo è affidata alla contrattazione collettiva, la direttiva reca alcune disposizioni volte alla sua promozione, nonché ad incrementarne la copertura.
Per le suddette finalità si dispone, tra l'altro, che gli Stati membri:
Il Considerandum n. 21 chiarisce che la direttiva dovrebbe applicarsi ai lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo conto dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (Corte di giustizia) per determinare lo status di lavoratore. A condizione che soddisfino tali criteri, i lavoratori del settore pubblico e privato, nonché i lavoratori domestici, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale, i tirocinanti, gli apprendisti e altri lavoratori atipici nonché i falsi lavoratori autonomi e i lavoratori non dichiarati potrebbero rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva. Ne sono, comunque, esclusi i lavoratori effettivamente autonomi.
La direttiva potenzia l'accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo sotto forma di salario minimo legale, laddove esista, o se prevista, nei contratti collettivi.
Al fine di migliorare il suddetto accesso da parte dei lavoratori la direttiva dispone:
La direttiva istituisce altresì un sistema di monitoraggio, attribuendo agli Stati membri l'obbligo di comunicare alla Commissione europea ogni due anni, prima del 1° ottobre dell'anno di riferimento, i seguenti dati, diversi a seconda che la definizione del salario minimo sia attribuita alla legge o alla contrattazione collettiva:
Ai sensi dell'articolo 17 della direttiva, gli Stati membri adottano le misure necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 15 novembre 2024 e ne informano immediatamente la Commissione.
E', infine, previsto che, entro il 15 novembre 2029, la Commissione, previa consultazione degli Stati membri e delle parti sociali a livello dell'Unione, effettui una valutazione della direttiva e successivamente presenti al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione in cui è esaminata l'attuazione della presente direttiva, proponendo, ove opportuno, modifiche legislative (art.15 della direttiva).
La suddetta direttiva, prima di essere approvata definitivamente, è stata trasmessa alle Camere e le Commissioni competenti hanno deciso di procedere al relativo esame, in esito al quale è stato elaborato un documento finale.
Di seguito una sintesi della Relazione governativa e del documento finale elaborato dalla Commissione Lavoro della Camera.
1. Relazione
La Relazione sulla proposta di direttiva trasmessa ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della L. 234/2012 dal Governo in carica al momento evidenziava, in primo luogo, come l'introduzione di un salario minimo – che acquisisce un'importanza ancora maggiore nei periodi di recessione economica - potesse contribuire all'attuazione di quanto previsto dal Pilastro europeo dei diritti sociali (proclamato nel novembre 2017 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione) e, in particolare, del principio 6 che intende garantire retribuzioni minime adeguate, da fissare in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell'autonomia delle parti sociali.
Il Governo evidenziava altresì che l'esigenza di un'iniziativa a livello europeo sui salari minimi nasceva anche dalla constatazione dell'aumento del divario tra salari bassi e salari alti registrato negli ultimi decenni in molti Stati membri con ripercussioni negative sulla povertà lavorativa, sulle disuguaglianze salariali e sulla capacità dei lavoratori a basso salario di far fronte alle difficoltà economiche.
La Relazione sottolineava inoltre che il conseguimento degli obiettivi che la direttiva si prefigge avviene nel pieno rispetto delle specificità dei sistemi nazionali e dell'autonomia e della libertà contrattuale delle parti sociali e in coerenza con taluni principi fondamentali, in particolare con il diritto del lavoratore ad una equa e giusta retribuzione ( ex art. 36 Cost., art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e art. 7 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali del 1966), con le disposizioni che attribuiscono alla negoziazione tra le parti sociali un ruolo fondamentale nella determinazione di tale retribuzione (Convenzione Oil n. 26 del 1928 e art. 11 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori) e con talune direttive vertenti su aspetti collegati al miglioramento delle condizioni dei lavoratori (Direttive 2019/1152, 2014/67 2006/54).
Il Governo procedeva poi ad una valutazione complessiva della direttiva, con esito favorevole, anche in considerazione del fatto che essa appare in linea con gli obiettivi della politica europea volti alla costruzione di una economia sociale di mercato equa e inclusiva e della promozione della contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, anche quindi in quelli che adottano un salario minimo legale.
Si ricorda infatti che la Commissione europea, nella Relazione illustrativa allegata alla proposta di direttiva, affermava che la contrattazione collettiva garantisce, infatti, salari superiori al livello minimo stabilito per legge e induce miglioramenti di tale livello, stimolando inoltre l'incremento della produttività.
La Relazione sottolineava altresì l'utilità della direttiva nel perseguimento della parità di genere, poiché tra i lavoratori che percepiscono un salario pari o vicino al salario minimo le donne risultano più numerose degli uomini, nonché dell'interesse nazionale in quanto colmare le divergenze nell'adeguatezza dei salari minimi contribuirebbe a promuovere il progresso economico e sociale del cittadino/lavoratore, a favorire una ripresa economica sostenibile e inclusiva, a sostenere la domanda interna e alla riduzione della povertà lavorativa e del divario retributivo di genere pari, rispettivamente, secondo le stime del Governo, al 10 e al 5 per cento.
Il Governo stigmatizzava, infine, il fenomeno del cosiddetto dumping contrattuale che conduce a condizioni retributive peggiori. Se si considera, poi, che nei Paesi dell'Est Europa non esiste una forte e robusta contrattazione sulla fissazione degli stipendi e ciò li comprime verso il basso, il dumping salariale che ne consegue è la principale causa delle delocalizzazioni delle attività produttive.
Per quanto riguarda gli effetti sulle attività dei cittadini e delle imprese, la Relazione ipotizza, almeno in una fase iniziale, un incremento dei costi del lavoro per le imprese, che potrebbe in parte essere attenuato da un incremento dei consumi dei lavoratori a basso salario, che sosterrebbe la domanda interna.
2. Parere
Il parere espresso dalla XI Commissione (Lavoro) della Camera nel documento finale, approvato il 15 aprile 2021 è stato favorevole con osservazioni.
La Commissione ha, infatti, rilevato l'opportunità:
Il testo finale della direttiva ha recepito l'osservazione di cui al punto c).
Si ricorda che, nella presente legislatura, la Commissione XI Lavoro ha avviato, il 22 marzo 2023, l'esame in sede referente di proposte di legge in materia di salario minimo (A.C. 141, A.C. 210, A.C. 216, A.C. 306, A.C. 432, A.C.1053 e A.C. 1275). Si tratta di pdl iscritte nel calendario dell'Assemblea in quota opposizione. Nella seduta del 12 luglio è stata adottata quale testo base per il seguito dell'esame la proposta di legge A.C. 1275. Nella seduta del 25 luglio, la Commissione ha convenuto all'unanimità di concludere l'esame del provvedimento, senza conferire il mandato alla relatrice a riferire all'Assemblea.
Nel corso dell'esame in Assemblea della pdl 1275, avuto inizio il 27 luglio, è stata presentata una questione sospensiva (Foti, Molinari, Barelli, Lupi ed altri n. 1), approvata nella seduta del 3 agosto. La discussione della pdl 1275 è stata pertanto sospesa nei termini previsti dalla questione sospensiva approvata (ossia per un periodo di sessanta giorni).
Nella successiva seduta dell'Assemblea del 18 ottobre, è stato deliberato il rinvio in Commissione del provvedimento.
La Commissione Lavoro ha, quindi, ripreso l'esame del provvedimento nella seduta del 25 ottobre (essendo stata, nel frattempo, assegnata la pdl C.1328, vertente su materia identica, ne è stato disposto l'abbinamento). Nel corso dell'esame in sede referente è stata approvata una proposta emendativa di maggioranza, che ha sostituito integralmente il testo della pdl 1275, introducendo due deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione. L'esame in Commissione si è infine concluso nella seduta del 29 novembre con il conferimento del mandato alla relatrice a riferire favorevolmente in Assemblea.
Nella seduta dell'Assemblea del 5 dicembre, il testo è stato ulteriormente modificato a seguito dell'approvazione di cinque proposte emendative (di cui quattro votate ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento).
Nella successiva seduta del 6 dicembre, il provvedimento è stato approvato dall'Assemblea della Camera; esso quindi è ora all'esame del Senato.
Per gli approfondimenti relativi alla legislazione nazionale, europea e alla direttiva de qua, vedasi i dossier riguardanti "Disposizioni in materia di giusta retribuzione e salario minimo" e "Disposizioni per l'istituzione del salario minimo" e "Deleghe al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, nonché di procedure di controllo e informazione", predisposti dal Servizio Studi della Camera dei deputati.
Nel corso della XVIII legislatura sono stati presentati alla Camera e al Senato numerosi progetti di legge volti a dare attuazione dell'articolo 36 della Costituzione, che riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Tale finalità è perseguita prospettando anche soluzioni in buona misura coerenti con quelle indicate dalla direttiva.
Le soluzioni prospettate, infatti, prevedono:
Tra i progetti di legge che istituivano il salario minimo legale, alcuni lo fissavano direttamente nel testo della legge, prevedendone l'aggiornamento in base all'indice dei prezzi (AC 3439, AS 658, AS 2510), previo un previo accordo tra organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro (AS 310) o la loro partecipazione ad una commissione istituita ad hoc (AC 947 e AS 2187).
In altri casi, il progetto di legge rinviava la determinazione del salario minimo legale e il suo aggiornamento ad un decreto attuativo, emanato dopo aver consultato le parti sociali (AC 862) o ad una commissione rappresentativa delle parti sociali (AS 1132 e AC 1542), indicandone tuttavia i parametri di base (AC 862 e AC 1542).
La commissione 11° del Senato ha avviato l'esame congiunto dei citati progetti di legge (ad eccezione dell'AS 2510 presentato successivamente all'ultima seduta del 22 maggio 2022) e disposto un ciclo di audizioni, senza tuttavia concludere l'attività istruttoria.
Nel corso della XVIII legislatura, nelle more dell'approvazione della direttiva, la XI commissione ha avviato l'esame congiunto di tre proposte di legge in materia di rappresentanza sindacale e di efficacia dei contratti collettivi di lavoro:
Le proposte rilevano ai fini dell'attuazione della direttiva in quanto incidono sulla titolarità e sull'efficacia della contrattazione collettiva, aggiornando la disciplina sulla rappresentanza e la rappresentatività delle organizzazioni di lavoro nei luoghi di lavoro.
Per un approfondimento del contesto normativo in cui si inseriscono e del contenuto di ciascuna proposta di legge si rinvia alle relative schede di lettura.
Si ricorda, in questa sede, che il testo vigente dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) disciplina la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, mentre l'Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 sottoscritto da CGIL, CISL, UIL e Confindustria ha disciplinato le modalità di costituzione di rappresentanze sindacali unitarie. Con successivi accordi interconfederali, confluiti ora nel Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, sono state stabilite le modalità di misurazione della rappresentatività delle diverse associazioni sindacali ai fini della partecipazione alla contrattazione collettiva nazionale.
Le tre proposte di legge prevedono un'analoga disciplina per l'accertamento e la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
La proposta di legge 707 stabilisce anche i criteri di ammissione alla contrattazione collettiva e recepisce con disposizione di legge il principio in base al quale i contratti e gli accordi collettivi formalmente sottoscritti dalle organizzazioni sindacali rappresentative di almeno il 50 per cento più uno dell'ambito contrattuale e territoriale di riferimento sono efficaci ed esigibili.
La proposta di legge 2198, infine, prevede una piena attuazione dell'articolo 39 della Costituzione, disciplinando le modalità di registrazione dei sindacati e stabilendo l'efficacia generale dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali che complessivamente raggiungono un indice di rappresentatività pari almeno al 51 per cento.