Dal punto di vista finanziario, nel corso della XVIII legislatura è stato riavviato il percorso di attuazione del federalismo fiscale per il comparto delle province e delle città metropolitane, che, più di altri, richiedeva, con urgenza, una corretta applicazione della legge n. 42/2009, a causa delle difficoltà finanziarie degli enti in questione nell'adempiere all'esercizio delle funzioni ad essi attribuite, che ha portato alla definizione di un nuovo sistema di finanziamento degli enti del comparto.
La mancata approvazione della riforma costituzionale che prevedeva la soppressione delle province (referendum costituzionale del 4 dicembre 2016) e le ingenti misure di riduzione della spesa imposte negli anni a province e città metropolitane per assicurare il concorso di tali enti al risanamento dei conti pubblici, avevano infatti inciso profondamente sugli assetti istituzionali e finanziari degli enti in questione. Nel corso degli ultimi anni, per assicurare agli enti le risorse necessarie per l'esercizio delle funzioni fondamentali, si è proceduto mediante l'assegnazione di specifici contributi, di carattere straordinario e non continuativo, destinati, sostanzialmente, ad assorbire il concorso alla finanza pubblica nonché a sostenere gli investimenti, senza tuttavia garantire agli enti una vera capacità programmatoria di bilancio.
Con le leggi di bilancio per il 2021 e 2022 è stato dunque definito un nuovo assetto finanziario per il comparto delle province e delle città metropolitane, più coerente con il disegno del federalismo fiscale, che prevede la costituzione di due fondi unici, uno per le province e l'altro per le città metropolitane, e lo stanziamento di un nuovo contributo statale destinato al finanziamento delle funzioni fondamentali, da ripartirsi sulla base di fabbisogni standard e capacità fiscali, secondo un modello analogo a quello applicato per i comuni, con il progressivo abbandono dei criteri storici di attribuzione delle risorse anche per tali enti.
Per quanto riguarda l'assetto ordinamentale, il Governo in carica ha confermato che sarebbe auspicabile, oltre ad una revisione organica del Testo unico degli enti locali, una rivalutazione del ruolo istituzionale degli enti di area vasta come delineato nella legge n. 56/2014, sia sotto il profilo elettorale che delle funzioni. Mentre al Senato è una discussione un testo di riforma che prevede l'elezione contestuale, a suffragio universale e diretto, del presidente della provincia e dei consiglieri provinciali, nonché del sindaco metropolitano e dei consiglieri metropolitani, alla Camera è stata approvata in sede referente una proposta di legge costituzionale di iniziativa del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, che disciplina nello Statuto gli enti di area vasta, laddove la riforma costituzionale del 2016 aveva soppresso ogni riferimento alle province e li configura come enti titolari di funzioni amministrative proprie e con organi ad elezione diretta, accanto ai comuni o città metropolitane e alla regione.
La riforma degli enti locali introdotta con la legge n. 56 del 2014 ha ridefinito l'ordinamento delle province ed istituito le città metropolitane. Come noto, la disciplina della legge Delrio era dettata in attesa della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, la quale, nel testo approvato dal Parlamento nel corso della XVII legislatura, eliminava ogni riferimento costituzionale alle province quali enti costitutivi della Repubblica, dotati di funzioni loro proprie. Con la mancata approvazione di quella riforma costituzionale, all'esito del referendum del 4 dicembre 2016, si è aperto il dibattito sull'opportunità di un nuovo intervento legislativo.
In tale contesto, anche nell'attuale legislatura la revisione del Testo unico degli enti locali compare nell'elenco dei disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica 2024-2026, come da ultimo contenuto nella NADEF 2023.
Con riferimento al programma del Governo in carica, il Ministro per gli affari regionali, nel corso dell'audizione sulle linee programmatiche del dicastero presso la Commissione affari costituzionali della Camera, ha ribadito che può essere opportuna una rivisitazione dell'assetto istituzionale e del ruolo degli enti territoriali di area vasta, quale delineato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, pur nel rispetto dei princìpi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, "ciò sia con riferimento alle funzioni quanto alle modalità elettive".
Con riguardo al solo sistema elettorale, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l'esame di alcuni disegni di legge che, nel maggior numero dei casi, prevedono il ripristino dell'elezione a suffragio universale e diretto per le province nonché l'introduzione dell'elezione a suffragio universale e diretto per le città metropolitane, abrogando la disciplina dell'elezione di secondo grado per gli organi provinciali e metropolitani, quale introdotta dalla legge n. 56 del 2014.
Sulla base di tali proposte, il Comitato ristretto istituito sulla base della decisione della medesima Commissione il 21 febbraio 2023 ha elaborato un testo unificato ancora in corso di esame e che, sinteticamente, prevede:
Alla Camera, la Commissione affari costituzionali ha invece approvato in sede referente una proposta di legge costituzionale (C.976), di iniziativa del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, che intende modificare lo statuto speciale della regione autonoma (re-)introducendovi la previsione di enti di area vasta, titolari di funzioni amministrative proprie e con organi ad elezione diretta, accanto ai comuni o città metropolitane e alla regione.
Tali proposte segnano un superamento della riforma degli enti locali attuata nel corso della XVII legislatura e culminata con l'approvazione della legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1, che ha modificato lo statuto della regione Friuli-Venezia Giulia sopprimendo il livello di governo delle province e delineando un assetto istituzionale che contempla solo due livelli di governo: la regione ed i comuni. Quest'ultima riforma ha introdotto nello statuto altresì il nuovo ente della città metropolitana, equiparata al livello di governo comunale.
Come evidenziato nella relazione illustrativa, la scelta di rivedere il sistema istituzionale delle autonomie locali in modo da fondarlo nuovamente su tre livelli di governo politico (regione, enti di area vasta e comuni) è motivato dal Consiglio regionale in relazione alla palese "necessità di mantenere un livello di decentramento delle funzioni territoriali, al fine di creare un sistema coordinato di politiche regionali e nazionale, creando articolazioni sub-regionali".
Con riguardo all'ordinamento di Roma capitale, la I Commissione della Camera, riprendendo parte dei lavori parlamentari svolti della XVIII legislatura, ha altresì avviato l'esame di alcune proposte di legge costituzionali con la finalità di conferire a Roma Capitale un nuovo assetto organizzativo e funzionale valorizzandone gli elementi di autonomia nel quadro delle previsioni costituzionali.
Nell'ambito della riforma degli enti locali disposta dalla L. 56/2014, la L. 190/2014 (Stabilità 2015) aveva introdotto una disciplina per il personale interessato dai processi di mobilità conseguenti alla riduzione dell'organico delle Città metropolitane e delle Province.
In particolare, il comma 421 (successivamente abrogato dal D.L. 162/2019) disponeva, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la riduzione del 50% e del 30% della dotazione organica, rispettivamente, di province e città metropolitane (che comunque potevano deliberare una riduzione superiore - nel rispetto di divieti specificamente individuati per le province delle regioni a statuto ordinario), con la contestuale definizione di un procedimento volto a favorire la mobilità del personale eccedentario verso regioni, comuni e altre pubbliche amministrazioni, a valere sulle facoltà assunzionali degli enti di destinazione.
Con il decreto ministeriale 14 settembre 2015 sono stati definiti i criteri per l'attuazione delle suddette procedure di mobilità. successivamente sono intervenute altre disposizioni.
Sulla materia, sono intervenute disposizioni successive, tra cui si ricordano, in particolare:
Conclusosi il suddetto procedimento di mobilità, attualmente la disciplina delle facoltà assunzionali di province e città metropolitane è dettata dall'articolo 33, c. 1-bis, del D.L. 34/2019 ed è analoga a quella introdotte per le regioni a statuto ordinario e per i comuni dal medesimo articolo 33 (sul punto, si veda il tema in materia di dotazioni organiche della P.A.) e che parametra le assunzioni a tempo indeterminato di tali enti non più ai risparmi prodotti dalle uscite dell'anno precedente (o in corso, ricorrendo determinate condizioni), ma al rapporto percentuale fra la spesa per il personale e le entrate correnti.
In base alla richiamata disciplina, i suddetti enti locali possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite di una spesa complessiva per il personale non superiore ad un determinato valore soglia, definito dal DM 11 gennaio 2022, che ha fissato al 1° gennaio 2022 la decorrenza per l'applicazione della suddetta disciplina.
Il richiamato valore soglia è definito come percentuale, differenziata per fascia demografica, della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti, senza tener conto degli stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione per il Fondo crediti di dubbia esigibilità. In ogni caso le assunzioni devono essere disposte in coerenza con piani triennali di fabbisogno di personale e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione
Le province e le città metropolitane sono tenute ad intraprendere un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto con l'obiettivo di conseguire il valore soglia nel 2025, anche attraverso l'attuazione di un turnover inferiore al 100 per cento. Qualora tale obiettivo non sia raggiunto, le assunzioni di personale non potranno eccedere il 30 per cento di coloro che cessano dal servizio.
Per approfondire si v. il paragrafo dedicato ai valori soglia per gli enti locali.
L'attuale assetto della fiscalità provinciale è stato definito, in attuazione della delega recata dalla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, dagli articoli da 16 a 21 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che ha determinato la soppressione dei trasferimenti erariali e regionali prima spettanti a tali enti ‒ attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2012 per un importo di 1.039,9 milioni di euro (secondo le risultanze contenute nel documento approvato in sede di Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 22 febbraio 2012) ‒ e la loro sostituzione, ai fini del finanziamento delle funzioni fondamentali, con entrate proprie e con risorse di carattere perequativo.
Il sistema delle entrate provinciali ricomprende, attualmente:
- il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549);
- il tributo cosiddetto ambientale (articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504);
- il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (articolo 1, comma 816, della legge n. 160 del 2019, che sostituisce il canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto legislativo n. 446 del 1997);
- la tassa per l'ammissione ai concorsi (articolo 1 del regio decreto 21 ottobre 1923, n. 2361);
- i diritti di segreteria, disciplinati dall'articolo 40 della legge 8 giugno 1962, n. 604.
Ѐ prevista inoltre la possibilità di istituire con decreto del Presidente della Repubblica un'imposta di scopo provinciale (articolo 20, comma 2, del decreto legislativo n. 68 del 2011).
Le risorse di carattere perequativo sono state rappresentate dal Fondo sperimentale di riequilibrio, istituito con il D.P.C.M. 12 aprile 2012 di soppressione dei trasferimenti nell'importo di 1.039,9 milioni di euro ed alimentato dal gettito della compartecipazione provinciale all'Irpef, la cui aliquota è stata determinata in misura tale da compensare la soppressione dei trasferimenti erariali e il venir meno delle entrate dell'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica, anch'essa soppressa dal 2012. Tale compartecipazione è stata fissata in misura pari allo 0,60 per cento dell'Irpef (cfr. il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 luglio 2012).
Tale Fondo, che avrebbe dovuto essere funzionale a realizzare in forma progressiva ed equilibrata l'attuazione dell'autonomia di entrata delle province, in realtà, non ha consentito di disancorare i trasferimenti dalle risorse storiche. Esso è ancora oggi annualmente ripartito secondo i criteri recati dal decreto ministeriale 4 maggio 2012:
Il passaggio dal sistema basato sulle risorse storiche a quello perequativo, previsto dai decreti attuativi del federalismo fiscale, non è stato realizzato anche per effetto della riduzione significativa di risorse destinate al comparto provinciale, determinato dalle manovre di finanza pubblica poste in essere a partire dal 2010, in seguito all'aggravarsi della crisi economica e finanziaria, nonché dalle riforme istituzionali approvate nella XVII legislatura, che prevedevano la soppressione dell'ente provincia e che hanno portato a circoscrivere fortemente le risorse finanziarie garantite a tali enti, in vista del ridimensionamento delle funzioni fondamentali ad esse riconducibili.
L'esito referendario negativo in ordine alla revisione costituzionale ha determinato l'interruzione del processo di riforma dell'ente di area vasta, avviato con la legge n. 56 del 2014, di fatto cristallizzando una condizione di incertezza sia in merito agli assetti istituzionali che in ordine agli aspetti finanziari.
Sotto il profilo finanziario, le manovre di finanza pubblica hanno assicurato il contributo alla finanza pubblica delle province attraverso misure di riduzione delle risorse ad esse attribuite (riduzione del Fondo sperimentale di riequilibrio), con strumenti tesi a inasprire gli obiettivi di bilancio (patto di stabilità interno), nonché, successivamente alla riforma avviata con la legge n. 56 del 2014, mediante la statuizione di risparmi di spesa corrente, di cui il più ingente, disposto dall'articolo 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, pesa ancora attualmente sul comparto provinciale nell'importo di 3 miliardi di euro annui.
Riguardo al Fondo sperimentale di riequilibrio, le riduzioni disposte dai provvedimenti normativi di spending review, ne hanno, di fatto, inficiato la finalità programmatoria e perequativa, fino ad azzerarne la dotazione.
La Corte dei conti ha più volte sottolineato come le risorse da Fondo sperimentale di riequilibrio abbiano rappresentato, in questi anni, un'entrata solo nominale. Le decurtazioni hanno determinato, addirittura, il fenomeno dei "trasferimenti negativi", che si concretizzano in un obbligo forzoso di rimborso a carico degli enti provinciali. L'applicazione delle norme di contenimento della finanza pubblica ha, cioè, progressivamente invertito il flusso dei trasferimenti dallo Stato verso le province: per la quasi totalità delle province e delle città metropolitane il saldo algebrico si conclude con una posizione debitoria nei confronti dello Stato che gli enti devono liquidare attraverso versamenti diretti o attraverso prelievi a cura dell'Agenzia delle entrate.
A seguito dell'evidente insostenibilità finanziaria delle riduzioni di risorse correnti richieste al comparto a titolo di concorso alla finanza pubblica, negli ultimi anni, per garantire gli equilibri finanziari degli enti, sono state attivate misure straordinarie volte a ristorare le forti decurtazioni operate in attuazione del comma 418 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 e a garantire il sostegno finanziario alle province e alle città metropolitane per l'esercizio delle funzioni ad esse attribuite (in primo luogo, edilizia scolastica e rete viaria).
Numerosi sono stati i contributi riconosciuti a vario titolo dal legislatore in favore delle province e delle città metropolitane (principalmente per l'esercizio delle funzioni fondamentali e in materia di strade e scuole), alcuni dei quali direttamente finalizzati a riassorbire parte del concorso alla finanza pubblica (ed in particolare quelli attribuiti negli anni dal 2015 al 2017), che sono versati direttamente dal Ministero dell'interno all'entrata del bilancio dello Stato, a titolo di concorso alla finanza pubblica. Soltanto nel caso in cui i suddetti contributi eccedano il concorso alla finanza pubblica, il Ministero dell'interno provvede al trasferimento della parte eccedente all'ente interessato.
Tuttavia, il carattere straordinario e non continuativo, che ha caratterizzato le misure finanziarie adottate per far fronte alla crescente difficoltà delle province di adempiere alle proprie funzioni, ha inciso sulla capacità di programmazione degli enti.
Proprio in considerazione della mancata attuazione del quadro di riforma complessiva degli enti di area vasta, la Corte dei conti, nella Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, di giugno 2021, sottolineava come "sull'ampliamento delle risorse pesano, ancora in misura significativa, i contributi alla finanza pubblica che gli enti provinciali devono versare allo Stato, attraverso risparmi sulla spesa corrente", posto che permane "l'impianto precedente, che consente di determinare l'entità delle risorse effettivamente a disposizione delle province e delle Città metropolitane solo a seguito delle compensazioni fra i fondi da attribuire agli enti ed il contributo che gli stessi devono apportare al perseguimento dell'obiettivo di finanza pubblica".
In considerazione della mancata attuazione del quadro di riforma complessiva degli enti di area vasta e della evidente insostenibilità finanziaria delle riduzioni di risorse correnti, l'articolo 1, comma 2-ter, del D.L. n. 91/2018 aveva disposto l'istituzione di un tavolo tecnico-politico, presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per l'avvio di un percorso di revisione organica della disciplina di province e città metropolitane. Il Tavolo tecnico-politico, insediato il 20 dicembre 2018, ha lavorato fino all'agosto 2019 ma ormai non è più operante.
Nel 2021, il processo di riforma del sistema di finanziamento delle province e delle città metropolitane è stato avviato dalla legge di bilancio per il 2021 e messo a punto dalla successiva legge di bilancio per il 2022, ed è divenuto operativo dal 2022.
Il processo di riforma del sistema di finanziamento delle province e delle città metropolitane è stato avviato dalla legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, commi 783-785, della legge n. 178 del 2020), la quale ha introdotto disposizioni volte a garantire un assetto finanziario definitivo per il comparto, a decorrere dal 2022, coerente con il disegno del federalismo fiscale, introducendo un meccanismo di perequazione delle risorse, che tenga progressivamente conto della differenza tra i fabbisogni standard e le capacità fiscali, secondo un modello analogo a quello applicato per i comuni, con il progressivo abbandono dei criteri storici di attribuzione delle risorse anche per tali enti.
La disciplina – poi riformulata dalla successiva legge di bilancio per il 2022 (articolo 1, comma 561, della legge n. 234 del 2021) – prevede:
1) l'istituzione di due fondi unici (uno per le province e uno per le città metropolitane), nei quali fare confluire i contributi e i fondi di parte corrente già attribuiti a tali enti. Si tratta di una operazione finanziariamente neutrale, in quanto attuata fermo restando l'importo complessivo dei fondi attuali. Per il riparto dei due fondi, si introduce un meccanismo di perequazione, che tenga progressivamente conto della differenza tra i fabbisogni standard e le capacità fiscali come approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard;
2) l'attribuzione di un nuovo contributo statale di 80 milioni di euro nell'anno 2022, gradualmente incrementato fino all'importo di 600 milioni di euro in via strutturale a decorrere dal 2031, destinato al finanziamento delle funzioni fondamentali di province e città metropolitane. Tale contributo, unitamente al contributo alla finanza pubblica ancora a carico di province e città metropolitane ai sensi dell'articolo 1, comma 418, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 e dell'articolo 1, comma 150-bis, della legge 7 aprile 2014, n. 56 - dovrà essere ripartito, su proposta della stessa Commissione tecnica per i fabbisogni standard, sulla base di fabbisogni standard e della capacità fiscale.
La normativa introdotta dalla legge di bilancio 2022 prevede che i due fondi unici ed il concorso alla finanza pubblica richiesto alle province e alle città metropolitane delle Regioni a statuto ordinario siano ripartiti, su proposta della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS), sulla base dei fabbisogni standard e della capacità fiscale, con un annuale decreto del Ministero dell'interno, previa intesa in Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da adottare entro il 28 febbraio 2022 con riferimento al triennio 2022-2024 ed entro il 31 ottobre di ciascun anno precedente al triennio di riferimento per gli anni successivi. Ai fini del riparto si terrà conto, inoltre, dell'assegnazione ai singoli enti del contributo aggiuntivo reso disponibile dalla legge di bilancio per il 2022, anch'esso ripartito sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.
Relativamente ai fabbisogni standard delle province, si ricorda che la nota metodologica per la determinazione dei fabbisogni e i coefficienti di riparto per ciascuna provincia e città metropolitana sono stati definiti per le funzioni fondamentali con il D.P.C.M. 21 luglio 2017. Il D.P.C.M. considera le seguenti funzioni: istruzione: programmazione provinciale della rete scolastica nel rispetto della programmazione regionale e la gestione dell'edilizia scolastica; territorio: costruzione e gestione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; ambiente: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e la valorizzazione dell'ambiente; trasporti: pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale; funzioni generali parte fondamentale: raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali. I fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario sono stati successivamente aggiornati, a metodologia invariata, con il D.P.C.M. 22 febbraio 2018.
In vista del nuovo sistema di finanziamento del comparto, nel corso del 2021 ha preso avvio il procedimento per l'aggiornamento della stima dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane. Per le città metropolitane e le province montane è stato peraltro necessario individuare dei metodi innovativi per la stima del fabbisogno delle ulteriori funzioni fondamentali che questi enti sono chiamati a svolgere in aggiunta alle funzioni delle province ordinarie (cfr. quanto illustrato in merito dalla Commissione tecnica fabbisogni Standard nell'Audizione del 6 ottobre 2021, presso la Commissione parlamentare per il federalismo fiscale). La Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha inoltre avviato, con l'ausilio del Dipartimento delle finanze, l'analisi delle entrate per giungere a definire la capacità fiscale standard.
La Commissione tecnica fabbisogni Standard, dopo un intenso lavoro tecnico volto a definire gli elementi costituitivi fondamentali del nuovo sistema di finanziamento delle province e delle città metropolitane, è giunta alla determinazione e all'approvazione dei fabbisogni standard e della capacità fiscale di ciascun ente, a novembre 2021, insieme alla ricognizione del complessivo concorso netto alla finanza pubblica (Cfr. la Nota metodologica sulla "Determinazione dei fabbisogni standard per le province e le città metropolitane per il 2022" e la Nota metodologica del Dipartimento delle finanze sulla "Capacità fiscale delle Province e delle Città Metropolitane delle Regioni a Statuto Ordinario", approvate dalla CTFS il 2 novembre 2021).
I fabbisogni standard sono stati stimati in termini monetari, il che consente di determinare su questa base l'ammontare complessivo di risorse che (al netto del concorso alla finanza pubblica a carico del comparto) possono essere destinate alla perequazione delle funzioni fondamentali. È questo un elemento distintivo rispetto al caso dei comuni dove sono le capacità fiscali a determinare il macro-budget della perequazione mentre i fabbisogni standard stimati, convertiti in coefficienti di riparto, sono impiegati soltanto per ripartire il totale delle capacità fiscali".
In termini di risorse necessarie per il finanziamento delle funzioni fondamentali, i fabbisogni standard per il comparto delle province e città metropolitane sono stati valutati complessivamente pari a circa 2.771 milioni di euro. La capacità fiscale è stata stimata in 3.061 milioni, ottenuta valutando ad aliquota standard, ossia al netto dello sforzo fiscale, il gettito delle entrate proprie attribuite al comparto (Imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (RC Auto), Imposta provinciale di trascrizione (IPT), Tributo per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente (TEFA) e alcune entrate extratributarie).
Di seguito, la tabella riportata nella Nota metodologica del Dipartimento delle finanze per la stima della capacità fiscale di province e città metropolitane.
Entrate |
Totate RSO |
IPT |
1.230.331.785 |
RC Auto |
1.479.485.638 |
TEFA |
257.987.150 |
Entrate residuali |
92.977.475 |
Capacità fiscale totale |
3.060.782.049 |
A gennaio 2022, la Commissione ha infine approvato le modalità operative dei due fondi perequativi e il riparto degli stessi per il 2022-2024.
La metodologia di riparto proposta dalla Commissione tecnica fabbisogni standard è stata recepita nel decreto del Ministro dell'interno 26 aprile 2022 di ripartizione dei fondi destinati alle province e alle città metropolitane per il triennio 2022-2024. I criteri e le modalità di riparto sono riportati nell'allegato A del decreto, recante la "Nota metodologica".
In termini finanziari, sulla base della ricognizione di tutti i contributi e fondi di parte corrente da far confluire negli istituendi fondi, il Fondo unico delle province si attesterebbe a circa 1.062,2 milioni e quello delle città metropolitane si attesterebbe a circa 271,7 milioni, per un complesso di risorse correnti pari a 1.333,3 milioni di euro.
Considerando che il complessivo concorso alla finanza pubblica è stimato, per l'interno comparto, in 2.769 milioni (di cui 1.998 milioni a carico delle province e 771 milioni a carico delle città metropolitane), per differenza fra questi due aggregati è stato ottenuto il concorso netto alla finanza pubblica, pari a 1.435,2 milioni trasferiti allo Stato, di cui 936,2 milioni da parte delle Province e 499 milioni a carico delle Città metropolitane.
Secondo il piano analitico di riparto, di cui all'Allegato B del decreto del Ministro dell'interno, si evidenzia dunque, ancora, nonostante il contributo aggiuntivo previsto dalla legge di bilancio 2022 (80 milioni di euro nell'anno 2022, spettanti, sulla base dei fabbisogni standard, per circa 58,8 milioni alle province e per 21,2 milioni alla città metropolitane), un deficit di risorse per il comparto per l'esercizio delle funzioni fondamentali.
Le risorse complessive, nettizzate del concorso alla finanza pubblica, risultano, infatti, pari a -877,4 milioni di euro per le province e -477,7 milioni di euro per le città metropolitane per il 2022; -862,7 milioni per le province e -472,4 milioni per le città metropolitane per il 2023 e, infine, -840,7 milioni per le province e -464,5 milioni per le città metropolitane per il 2024.
L'applicazione dei criteri perequativi (fabbisogni standard e capacità fiscale), nel riparto dei fondi tra i singoli enti, agisce attraverso due meccanismi:
1) da un lato, sulla componente orizzontale, mediante la riallocazione tra i diversi enti del totale del concorso netto alla finanza pubblica, sulla base della differenza tra il fabbisogno standard dell'ente e la capacità fiscale, con un percorso progressivo che arriverà a regime dopo il 2031 (la progressione è prevista secondo le seguenti percentuali: 8% nel 2022, 10% nel 2023, 13% nel 2024, 15% nel 2025, 20% nel 2026, 25% nel 2027, 30% nel 2028, 40% nel 2029, 50% nel 2030 e 60% nel 2031).
2) dall'altro, sulla componente verticale, assegnando le risorse aggiuntive via via rese disponibili dalla legge di bilancio per il 2022 ai vari enti in proporzione dei rispettivi fabbisogni standard, con il risultato di alleggerire corrispondentemente il rispettivo concorso netto alla finanza pubblica.
L'incidenza della perequazione sul riparto dei due fondi nel 2022 è ancora modesta, in quanto il primo meccanismo incide sul riparto del contributo alla finanza pubblica nel 2022 solo per l'8 per cento (il rimanente 92 per cento continua a essere assegnato in base al criterio storico). La percentuale è tuttavia destinata ad aumentare nel tempo fino a raggiungere il 60 per cento nel 2031 per poi andare a regime negli anni successivi.
Anche se, al momento, la quasi totalità degli enti rimane finanziatore netto del sistema, a causa della rilevante dimensione del concorso alla finanza pubblica, il nuovo sistema di finanziamento, che ha preso avvio nel 2022, consente - secondo la Commissione tecnica per i Fabbisogni Standard - il combinarsi dell'effetto perequativo della componente orizzontale, che rende meno sperequate le posizioni tra i singoli enti in termini di mancato finanziamento dei fabbisogni standard, con l'effetto della componente verticale (costituita dalle risorse aggiuntive), che invece sposta tutti gli enti verso una maggior grado di copertura dei fabbisogni standard, con posizioni finanziarie nette meno negative.
Tuttavia, nonostante il riordino della finanza delle province e delle città metropolita, resta irrisolto il problema principale della fiscalità provinciale, costituito dalla insufficienza delle risorse del comparto.
Riguardo all'adeguatezza complessiva delle risorse e alle problematiche connesse alla permanenze di una posizione debitoria netta delle Province e Città metropolitane nei confronti dello Stato, si veda quanto osservato dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), in occasione dell'Audizione del 5 maggio 2022, presso la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale.