Assetto ordinamentale
A seguito dell'ampia discussione svoltasi a partire dalla fine della XVII legislatura, dopo le iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017, nel corso della XIX legislatura l'assetto regionale dello Stato è stato interessato dal percorso di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sul riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, avviato al Senato il 23 marzo 2023 con la presentazione del disegno di legge di iniziativa governativa, collegato alla manovra di finanza pubblica, recante per l'appunto "Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione" (A.S 615).
Attualmente il provvedimento - come modificato dal Senato, che ha apportato al disegno di legge iniziale presentato dal Governo consistenti modifiche (A.C. 1665) - è all'esame dell'Assemblea della Camera dei deputati.
Per quanto riguarda gli enti locali, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha avviato l'esame di alcuni disegni di legge incidenti sul sistema di elezione nelle province.
Il maggior numero di tali disegni di legge prevede il ripristino dell'elezione a suffragio universale e diretto per le province nonché l'introduzione dell'elezione a suffragio universale e diretto per le città metropolitane, abrogando la disciplina dell'elezione di secondo grado per gli organi provinciali e metropolitani, quale introdotta dalla legge n. 56 del 2014.
Sulla base di tali proposte, il Comitato ristretto istituito sulla base della decisione della medesima Commissione il 21 febbraio 2023 ha elaborato un testo unificato che è attualmente in corso di esame e che, sinteticamente, prevede:
- l'elezione contestuale, a suffragio universale e diretto, del presidente della provincia e dei consiglieri provinciali;
- l'elezione contestuale, a suffragio universale e diretto, del sindaco metropolitano e dei consiglieri metropolitani;
- l'abrogazione delle disposizioni della legge n. 56 del 2014 (nonché delle ulteriori disposizioni vigenti) incompatibili con il disegno di legge.
Presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati, invece, il 12 marzo 2024 si è concluso l'esame della proposta di legge costituzionale, di iniziativa del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, che intende modificare lo statuto speciale della regione autonoma (re-)introducendovi la previsione di enti di area vasta, titolari di funzioni amministrative proprie e con organi ad elezione diretta, accanto ai comuni o città metropolitane e alla regione. Tali proposte segnano un superamento della riforma degli enti locali attuata nel corso della XVII legislatura e culminata con l'approvazione della legge costituzionale 28 luglio 2016, n. 1, che ha modificato lo statuto della regione Friuli-Venezia Giulia sopprimendo il livello di governo delle province e delineando un assetto istituzionale che contempla solo due livelli di governo: la regione ed i comuni. Quest'ultima riforma ha introdotto nello statuto altresì il nuovo ente della città metropolitana, equiparata al livello di governo comunale.
La Commissione, in particolare, ha deliberato di conferire il mandato alla relatrice a riferire favorevolmente all'Assemblea sul provvedimento in esame, come modificato a seguito dell'approvazione di proposte emendative. Il provvedimento è tuttora in stato di relazione.
Finanza territoriale
Per quanto concerne la finanza territoriale, gli interventi normativi si sono dispiegati entro la cornice della regola costituzionale del pareggio di bilancio, introdotto dalla legge costituzionale n.1 del 2012.
In linea generale, il percorso attuativo della legge delega sul federalismo fiscale è stato implementato solo parzialmente, anche a causa dei mutamenti intervenuti nel quadro istituzionale della finanza locale, riconducibili principalmente alla crisi economico-finanziaria e alla conseguente necessità di una maggior centralizzazione delle decisioni di entrata e di spesa. Dopo una lunga fase di espansione dell'autonomia finanziaria, infatti, il sistema delle entrate degli enti territoriali è stato caratterizzato da interventi volti a incrementare il ruolo del coordinamento e della finanza derivata, con una nuova espansione dei trasferimenti e di forme di entrata direttamente regolate dal centro.
Per quanto concerne la finanza regionale, gli interventi legislativi sono stati principalmente indirizzati alla determinazione del concorso degli enti alla finanza pubblica e, negli ultimi due anni, al sostegno del comparto a seguito dell'emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19. Limitati, invece, sono stati gli interventi sul versante delle entrate, soprattutto per le regioni a statuto ordinario, per le quali è ancora rinviata l'attuazione del federalismo fiscale. L'attuazione del nuovo regime delineato per la fiscalità regionale dalla legge sul federalismo fiscale, che rimette a entrate di tipo tributario regionali il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nelle materie di competenza, è stata rinviata più volte (ed è attualmente prevista a decorrere dal 2023). A tale riguardo il PNRR prevede che l'attuazione del federalismo fiscale regionale debba essere completata entro il primo semestre del 2026, fissando entro dicembre 2023 l'individuazione dei trasferimenti dello Stato alle regioni a statuto ordinario che saranno fiscalizzati mediante incremento delle aliquote dei tributi o misure alternative da individuare.
Il contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto speciale è stato determinato dalla legge in attuazione di nuovi accordi bilaterali, stipulati dallo Stato con le regioni Valle d'Aosta, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Tentino Alto Adige.
Per quanto attiene alla finanza comunale, nel corso della XVIII legislatura si è intervenuti più volte sulla fiscalità dei comuni. La legge di bilancio 2020 ha definito una complessiva riforma dell'assetto dell'imposizione immobiliare, con l'unificazione delle due previgenti forme di prelievo (l'Imposta comunale sugli immobili, IMU e il Tributo per i servizi indivisibili – TASI). Sono state, inoltre, significativamente modificate la disciplina della TARI e complessivamente riformata la riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva, fermo restando l'attuale assetto dei soggetti abilitati alla riscossione delle entrate locali.
Il settore comunale è stato altresì caratterizzato da frequenti modifiche della disciplina di alimentazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale, strumento finalizzato ad assicurare un'equa distribuzione delle risorse ai comuni, con funzioni sia di compensazione delle risorse storiche che di perequazione, in un'ottica di progressivo abbandono del criterio della spesa storica. L'applicazione di criteri di riparto di tipo perequativo nella distribuzione delle risorse del Fondo, basati sulla differenza tra capacità fiscali e fabbisogni standard, ha preso avvio nel 2015 con l'assegnazione di quote progressivamente crescenti del Fondo. A seguito di ripetuti interventi volti a rinviare nel tempo il percorso di incremento dell'incidenza del criterio perequativo, il raggiungimento del 100% della perequazione, inizialmente previsto nell'anno 2021, è stato posticipato all'anno 2030.
Per quanto attiene alla fiscalità provinciale e delle città metropolitane, dopo l'esito negativo del referendum costituzionale del 2016 sull'abolizione delle province sono state previste misure straordinarie volte a garantire il sostegno finanziario necessario per l'esercizio delle funzioni fondamentali. Con le leggi di bilancio per il 2021 e 2022 è stato definito un nuovo assetto finanziario per il comparto delle province e delle città metropolitane, coerente con il disegno del federalismo fiscale, che prevede la costituzione di due fondi unici, uno per le province e l'altro per le città metropolitane, in cui confluiscono le risorse del precedente Fondo sperimentale di riequilibrio e i contributi straordinari finora erogati. Il nuovo sistema di finanziamento, entrato a regime nel 2022, prevede un meccanismo di perequazione nel riparto delle risorse dei fondi che tenga progressivamente conto della differenza tra i fabbisogni standard e le capacità fiscali, secondo un modello analogo a quello applicato per i comuni, con il progressivo abbandono dei criteri storici di attribuzione delle risorse.
L'assetto normativo della finanza territoriale ha subito il contraccolpo della crisi innescata dalla pandemia da Covid-19 e, successivamente, dall'incremento dei prezzi energetici. La situazione determinata dall'emergenza epidemiologica ha determinato la necessità di assicurare un adeguato sostegno finanziario agli enti territoriali, soprattutto a fronte della perdita di gettito da entrate proprie. Le risorse necessarie sono state reperite attraverso ripetuti interventi normativi d'urgenza, quasi sempre finanziati mediante scostamenti di bilancio autorizzati dal Parlamento. Tra di essi si segnala, in particolare, il decreto-legge n. 34/2020, che ha istituito il Fondo per l'esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali e delle regioni, più volte rifinanziato, al fine di assicurare a comuni, province e città metropolitane le risorse necessarie per l'espletamento delle funzioni fondamentali in relazione alla perdita di gettito.
Specifici interventi hanno riguardato anche il prelievo fiscale degli enti territoriali, sotto forma di rimodulazione delle scadenze degli adempimenti o loro posticipo.
Nell'ambito del processo di attuazione del PNRR, la normativa sulla governance del Piano qualifica le Regioni, le Province autonome e gli enti locali come soggetti attuatori del Piano, insieme con le amministrazioni centrali dello Stato. Nella prima Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presentata al Parlamento il 23 dicembre 2021, il Governo ha stimato che circa il 36 per cento delle risorse del PNRR saranno affidate a amministrazioni locali. Si tratta di un ammontare di risorse pari a 66,4 miliardi di euro, se si considera il PNRR in senso stretto; la cifra sale a circa 80 miliardi di euro considerando anche il Piano nazionale per gli investimenti complementari.