La legge n. 35 del 2022 è intervenuta sul testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000) in materia di terzo mandato dei sindaci (il divieto di terzo mandato scatta per i comuni al di sopra di 5.000 abitanti e non più fino a 3.000) e di controllo di gestione dei piccoli comuni. Si interviene, inoltre, in materia di inconferibilità di incarichi negli enti privati in controllo pubblico.
Sulla materia è intervenuta anche la legge di bilancio 2022, che ha previsto l'incremento dell'indennità di funzione dei sindaci metropolitani e dei sindaci dei comuni delle regioni a statuto ordinario. Esse sono parametrate al trattamento economico complessivo dei presidenti delle regioni. Sempre con la legge di bilancio 2022 è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno un Fondo con una dotazione finanziaria pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2024, per l'adozione di iniziative degli enti locali per la promozione della legalità, nonché di misure di ristoro del patrimonio dell'ente o in favore degli amministratori locali vittime di atti intimidatori.
Riguardo all'assetto della finanza comunale, nel corso della XVIII legislatura il legislatore è intervenuto più volte sulla fiscalità dei comuni, introducendo, in particolare, una complessiva riforma dell'assetto dell'imposizione immobiliare locale. Sono state, inoltre, significativamente modificate la disciplina della TARI e complessivamente riformata la riscossione degli enti locali.
E' stata, inoltre, apportata una revisione anche del sistema di alimentazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale, attraverso il quale si attua la perequazione fiscale delle risorse del comparto sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali. In particolare, si è provveduto, da un lato, ad incrementare la dotazione del Fondo a disposizione per la perequazione, con contributi statali aggiuntivi; dall'altro, a ridefinire un percorso più graduale di progressione del meccanismo perequativo, con la previsione del raggiungimento del 100 per cento della perequazione nell'anno 2030 (in luogo dell'anno 2021 prima previsto).
Con le ultime due leggi di bilancio, la dotazione del Fondo di solidarietà comunale è stata incrementata al fine di destinare risorse aggiuntive perequative al finanziamento di specifiche funzioni fondamentali in ambito sociale (in particolare, per il potenziamento dei servizi sociali, del servizio asili nido e del servizio di trasporto scolastico di alunni con disabilità), da ripartirsi tenendo conto dei fabbisogni standard. Le norme prevedono la determinazione di specifici "obiettivi di servizio" da raggiungere e l'attivazione di un sistema di monitoraggio e di rendicontazione dell'utilizzo delle risorse assegnate, al fine di assicurare che le risorse aggiuntive siano effettivamente destinate al potenziamento dei predetti servizi.
Sul fronte della spesa, va segnalato la tendenza espansiva degli investimenti dei comuni manifestatasi nel corso della XVIII legislatura, anche a seguito del venir meno della legislazione vincolistica che si era stratificata con il patto di stabilità interno. Il recupero della capacità di investimento dei comuni rappresenta un elemento fondamentale per la ripresa economica del Paese dopo la pandemia nonché per l'attuazione del PNRR, che attribuisce agli enti territoriali, quali soggetti attuatori, il ruolo di investitori pubblici di una parte consistente (oltre 66 miliardi) degli stanziamenti legati al Piano (di cui 28,32 per Comuni e Città metropolitane).
La legge 12 aprile 2022, n. 35 ha introdotto modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni in materia di status e funzioni degli amministratori locali, di semplificazione dell'attività amministrativa e di finanza locale.
Il testo reca le seguenti disposizioni:
Per quanto riguarda l'iter parlamentare, le Commissioni riunite I Affari costituzionali e V Bilancio della Camera avevano avviato il 17 ottobre 2019 l'esame in sede referente della proposta di legge A.C. 1356 on. Pella , cui sono state successivamente abbinate le proposte di legge A.C. 2071 on. Silvestroni e A.C. 2240 on. Ciaburro. Rispetto alla fase iniziale di esame del provvedimento, composto di 36 articoli, sono successivamente intervenute una serie di modifiche normative che hanno riguardato diverse disposizioni recate dal progetto di legge.
Nella seduta del 2 novembre 2021 – tenuto conto del lavoro svolto in seno al Comitato ristretto - sono stati approvati una serie di emendamenti da parte delle Commissioni riunite I e V, risultando al termine il testo composto da tre articoli.
La legge di bilancio 2022 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno un Fondo con una dotazione finanziaria pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2024, per l'adozione di iniziative degli enti locali per la promozione della legalità, nonché di misure di ristoro del patrimonio dell'ente o in favore degli amministratori locali vittime di atti intimidatori (L. 234/2021, art. 1, comma 589).
Le risorse così stanziate sono destinate a consentire agli enti locali l'adozione di:
La disposizione rinvia i criteri e le modalità di ripartizione del Fondo ad un decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge con il concerto del Ministro dell'istruzione e del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
La legge di bilancio 2022 ha previsto che l'indennità di funzione dei sindaci metropolitani e dei sindaci dei comuni delle regioni a statuto ordinario sia parametrata al trattamento economico complessivo dei presidenti delle regioni. L'incremento è adottato in misura graduale per il 2022 e 2023 e in misura permanente a decorrere dal 2024. Anche le indennità di funzione dei vicesindaci, assessori e presidenti dei consigli comunali sono adeguate alle indennità di funzione dei corrispondenti sindaci con l'applicazione delle percentuali vigenti (L. 234(2021, articolo 1, commi 583-587).
A decorrere dal 2024 l'indennità di funzione dei sindaci metropolitani e dei sindaci dei comuni ubicati nelle regioni a statuto ordinario è parametrata al trattamento economico complessivo dei presidenti delle regioni secondo determinate percentuali. Tale trattamento è attualmente pari a 13.800 euro lordi mensili, secondo quanto definito dalla Conferenza Stato - regioni con le delibere del 30 ottobre 2012 e 6 dicembre 2012, n. 235, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174.
Le percentuali delle indennità massime sono stabilite dalla legge di bilancio come segue, in rapporto al trattamento economico complessivo dei presidenti delle regioni:
Si ricorda che ai sensi dell'art. 14, commi 19 e seguenti, della legge 57/2014 il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo. In alternativa, la medesima legge prevede che lo statuto della città metropolitana possa prevedere l'elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano con il sistema elettorale determinato con legge statale. È inoltre necessario, affinché si possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale, procedere ad articolare il territorio del comune capoluogo in più comuni.
La popolazione presa in considerazione è quella risultante dall'ultimo censimento ufficiale.
Si prevede inoltre che l'incremento dell'indennità di funzione dei sindaci sia adottato in misura graduale per il 2022 e 2023.
Per la prima applicazione la predetta indennità di funzione è adeguata al 45 per cento nell'anno 2022 e al 68 per cento nell'anno 2023 "delle misure indicate alle lettere precedenti" (tali lettere recano percentuali che si applicano al valore di riferimento del trattamento dei presidenti di regione).
Al contempo la disposizione relativa alla fase di prima applicazione prevede che, a decorrere dall'anno 2022, l'indennità possa essere corrisposta nelle integrali misure di cui sopra, nel "rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio".
Anche le indennità di funzione dei vicesindaci, assessori e presidenti dei consigli comunali sono adeguate alle indennità di funzione dei corrispondenti sindaci come incrementate per effetto di quanto sopra, con l'applicazione delle percentuali vigenti previste dal decreto del Ministro dell'interno del 4 aprile 2000, n. 119.
L'ammontare dell'indennità del vicesindaco, degli assessori e del presidente del consiglio comunale è attualmente proporzionale a quella dei sindaci, in una misura che varia in rapporto alla classe demografica dell'ente locale: dal 15 al 75 % per il vicesindaco, dal 10 al 65%, per il presidente del consiglio comunale dal 5 al 10% per i comuni fino a 15.00 abitanti, per quelli con popolazione superiore è corrisposta un'indennità mensile di funzione pari a quella degli assessori di comuni della stessa classe demografica.
Il maggior onere sostenuto dai comuni per la corresponsione dell'incremento delle indennità di funzione viene valutato in 100 milioni di euro per l'anno 2022, 150 milioni di euro per l'anno 2023, e 220 milioni di euro a decorrere dall'anno 2024. A fronte di tali spese si provvede all'incremento del fondo istituito per coprire l'incremento dell'indennità dei sindaci dei piccoli comuni prevista dall'articolo 57-quater, comma 2, del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124. Tale disposizione ha disposto che la misura dell'indennità di funzione spettante ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti è incrementata fino all'85 per cento della misura dell'indennità spettante ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti.
A titolo di concorso alla copertura del maggior onere sostenuto dai comuni per la corresponsione dell'incremento dell'indennità previsto da tale disposizione, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, un apposito fondo con una dotazione di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020. Il fondo è ripartito tra i comuni interessati con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La ripartizione del fondo tra i comuni interessati è demandata ad un decreto del Ministro dell'interno, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Il comune beneficiario è tenuto a riversare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato l'importo del contributo non utilizzato nell'esercizio finanziario (comma 587).
Nel corso della Legislatura sono state esaminate, ma non approvate definitivamente, altre proposte in materia di enti locali. In particolare:
L'imposta municipale propria (IMU) è l'imposta dovuta per il possesso di fabbricati, escluse le abitazioni principali classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9, di aree fabbricabili e di terreni agricoli ed è dovuta dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie), dal concessionario nel caso di concessione di aree demaniali e dal locatario in caso di leasing.
Il presupposto dell'imposta è rappresentato dal possesso di:
L'imposta è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota e ai mesi dell'anno nei quali si è protratto il possesso.
Per gli immobili classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (immobili di pregio) ad abitazione principale l'aliquota di base e per le relative pertinenze è pari allo 0,5 per cento e il comune, con deliberazione del consiglio comunale, può aumentarla di 0,1 punti percentuali o diminuirla fino all'azzeramento. Dall'imposta si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, euro 200 rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale destinazione.
Il soggetto attivo dell'imposta è il comune con riferimento agli immobili la cui superficie insiste, interamente o prevalentemente, sul territorio del comune stesso.
I soggetti passivi dell'imposta sono:
La base imponibile dell'imposta è costituita dal valore degli immobili. Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1°gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento alcuni moltiplicatori (per gli immobili ordinariamente accatastate come abitazioni, appartenenti al gruppo A, il moltiplicatore è 160).
A tale proposito si ricorda che il catasto italiano, inventario dei beni immobili presenti nel territorio nazionale contiene i dati costitutivi della base imponibile di diversi tributi immobiliari (ad esempio IMU, IRPEF, per quanto riguarda il computo dei redditi da terreni e fabbricati, ecc.).Esso è stato realizzato attraverso la costituzione di due successivi distinti sub-sistemi: il primo - denominato Catasto Terreni - comprendente l'elenco di tutti i terreni di natura agricola ovvero comunque inedificati, il secondo – denominato Catasto Edilizio Urbano - costituito dalle costruzioni di natura civile, industriale e commerciale. Per un'analisi comparata dei sistemi di valutazione immobiliare a fini fiscali, si veda il documento dell'Agenzia delle entrate: Analisi comparata tra i sistemi catastali in Europa.
L'aliquota è stabilita ex lege, per ciascuna fattispecie, in una misura standard che può essere modificata dal comune, in aumento o in diminuzione, entro i margini di manovrabilità stabiliti dalla stessa legge.
Per gli immobili diversi dall'abitazione principale, la quale, come detto, non costituisce presupposto d'imposta, l'aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, sostanzialmente la somma delle precedenti IMU e TASI, e può essere aumentata con deliberazione del consiglio comunale, sino all'1,06 per cento o diminuita fino all'azzeramento.
Per quanto riguarda i fabbricati rurali ad uso strumentale l'aliquota è dello 0,1 per cento e i comuni possono solo ridurla fino all'azzeramento; i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, finché permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, sono esenti dall'IMU; per i terreni agricoli è pari allo 0,76 per cento e i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono aumentarla sino all'1,06 per cento o diminuirla fino all'azzeramento; per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D l'aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, di cui la quota pari allo 0,76 per cento è riservata allo Stato, e i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono aumentarla sino all'1,06 per cento o diminuirla fino al limite dello 0,76 per cento.
Quanto alle modalità e ai termini di pagamento i soggetti passivi effettuano il versamento dell'imposta dovuta al comune per l'anno in corso in due rate, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell'imposta complessivamente dovuta in un'unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno. Il versamento della prima rata è pari all'imposta dovuta per il primo semestre applicando l'aliquota e la detrazione dei dodici mesi dell'anno precedente. Sono state introdotte modalità telematiche di pagamento.
Le misure riguardanti l'IMU nella XIX legislatura
Il decreto-legge aiuti-quater (articolo 12, commi 1 e 2 del decreto-legge n. 176 del 2022) ha esentato dal pagamento della seconda rata dell'IMU 2022 gli immobili rientranti nella categoria catastale D/3 destinati a spettacoli cinematografici, teatri e sale per concerti e spettacoli, a condizione che i relativi proprietari siano anche gestori delle attività ivi esercitate.
Con il decreto proroga termini 2022 (n. 198 del 2022) sono stati prorogati al 30 giugno 2023 i termini della presentazione della dichiarazione IMU 2021 (articolo 3, comma 1).
La legge di bilancio 2023 prevede l'esenzione dal pagamento dell'IMU gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all'autorità giudiziaria in relazione ai reati di violazione di domicilio e invasione di terreni o edifici (rispettivamente articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale) o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale.
Il medesimo provvedimento (commi 834-835) modifica la disciplina dell'IMU al fine di prevedere che per la regione autonoma Friuli Venezia-Giulia si applichi, a decorrere dal 1° gennaio 2023, la legge regionale 14 novembre 2022, n. 17, riguardante l'imposta locale immobiliare autonoma (ILIA) e che, analogamente all'IMU, all'IMI e all'IMIS delle Province autonome, l'ILIA dovuta per gli immobili strumentali sia deducibile dal reddito di impresa e dal reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2022.
Sempre la legge di bilancio 2023 incide inoltre (comma 837) sulla disciplina dei poteri dei comuni in materia di IMU, contenuta nella legge di bilancio 2020.
La norma affidava a un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, la possibilità di modificare o integrare le fattispecie per cui i comuni possono diversificare le aliquote IMU.
Inoltre si interviene sugli adempimenti relativi ad aliquote e regolamenti IMU da parte dei Comuni: a decorrere dal primo anno di applicazione obbligatoria del prospetto delle aliquote (da inserire nel Portale del federalismo fiscale entro specifici termini di legge, al fine di trovare applicazione nell'anno di riferimento), in mancanza di una delibera approvata e pubblicata nei termini di legge, si applicano le aliquote di base IMU e non quelle vigenti nell'anno precedente.
Successivamente, tali fattispecie sono state individuate con decreto del Vice Ministro dell'economia e delle finanze del 7 luglio 2023 che prevede l'obbligo di utilizzare l'applicazione informatica per l'approvazione del Prospetto delle aliquote dell'IMU a decorrere dall'anno di imposta 2024.
I comuni anche nel caso in cui non intendano diversificare le aliquote, devono redigere la delibera di approvazione delle stesse accedendo all'applicazione informatica disponibile nell'apposita sezione del Portale del federalismo fiscale che consente, previa selezione delle fattispecie di interesse, di elaborare il Prospetto delle aliquote che forma parte integrante della delibera stessa. La delibera approvata senza il prospetto non è idonea a produrre gli effetti.
Con l'articolo 6-ter, comma 1, del decreto legge 132 del 2023, il termine dell'obbligo di redigere la delibera di approvazione delle aliquote dell'IMU tramite l'elaborazione del Prospetto, utilizzando l'applicazione informatica messa a disposizione sul portale del Ministero dell'economia e delle finanze viene prorogato a decorre dall'anno di imposta 2025.
Con riferimento ai termini per l'approvazione delle delibere relative alle aliquote IMU per l'anno 2024 l'articolo 1, comma 72, della legge di bilancio 2024 (legge n. 213 del 2023) ha consentito, anche per il 2024 (oltre che per il 2023) di considerare tempestive le delibere regolamentari e di approvazione delle aliquote e delle tariffe concernenti i tributi comunali diversi dall'imposta di soggiorno, dall'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), purché inserite nel portale federalismo fiscale entro il 30 novembre di ciascuno dei due anni e pubblicate, ai fini dell'acquisizione della loro efficacia, entro il 15 gennaio 2024 per l'anno 2023 e il 7 febbraio 2025 per l'anno 2024.
Il comma 71 della legge di bilancio 2024 contiene una norma interpretativa dell'articolo 1, comma 759, lettera g), della legge 27 dicembre 2019, n. 160 che prevede che sono esenti dall'imposta municipale propria (IMU), per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili posseduti e utilizzati da enti pubblici e privati diversi dalle società, trust (che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale) nonché organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato, purché destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, di religione o di culto.
La norma introdotta dalla legge di bilancio 2024 stabilisce che la predetta disposizione si interpreta nel senso che:
1) gli immobili si intendono "posseduti" anche nel caso in cui siano concessi in comodato a un ente pubblico o privato diverso dalle società, a un trust (che non abbia per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale) nonché a un organismo di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato, a condizione che il comodatario svolga nell'immobile - con modalità non commerciali - esclusivamente attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, di religione o di culto e che sia funzionalmente o strutturalmente collegato al concedente;
2) gli immobili si intendono "utilizzati" quando strumentali alle destinazioni indicate nel punto 1), anche in assenza di esercizio attuale delle attività stesse, purché essa non determini la cessazione definitiva della strumentalità.
La legge di bilancio 2025 (articolo 1, comma 779), con una norma di interpretazione autentica, ha chiarito che per maggior gettito accertato e riscosso relativo agli accertamenti IMU e TARI deve intendersi l'ammontare complessivamente incassato a seguito dell'attività di recupero tributario posta in essere dal comune, nelle varie modalità in cui tale attività può realizzarsi, che genera un aumento di risorse disponibili nel bilancio comunale rispetto all'adempimento spontaneo del contribuente.
Per adempimento spontaneo si intende, invece, il versamento dell'IMU e della TARI effettuato dal contribuente alle scadenze di legge e regolamentari, non indotto da azioni dell'amministrazione comunale. Devono pertanto essere computate tutte le entrate effettivamente incassate nell'anno di riferimento, in conto competenza e in conto residui, risultanti dal conto consuntivo approvato.
Per quanto riguarda i pagamenti la legge di bilancio 2024 (con riferimento all'anno 2023) e il decreto-legge n.202 del 2024 (per quanto riguarda gli adempimenti relativi all'anno 2025) dispone che l'eventuale differenza positiva tra l'IMU, calcolata sulla base delle delibere (entro il 15 gennaio 2024 per l'anno 2023 e al 7 febbraio 2025 per l'anno 2024) e quella versata entro il 18 dicembre 2023 ed entro il 16 dicembre 2024 è dovuta senza applicazione di sanzioni e interessi entro il 29 febbraio 2024 per l'anno 2023 ed entro il 28 febbraio 2025 per l'anno 2024 (il testo vigente fa invece riferimento al solo 29 febbraio 2024 in quanto riferito soltanto all'anno 2023). Nel caso in cui emerga una differenza negativa, il rimborso è dovuto secondo le regole ordinarie.
Regime IMU per enti religiosi e non profit
Per quanto concerne l'IMU, l'articolo 1, comma 759, della legge n. 160 del 2019 prevede l'esenzione dall'imposta dei seguenti beni immobili:
Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 222 del 1985, si considerano attività di religione o di culto, agli effetti delle leggi civili, quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana.
Si ricorda, altresì, che l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 131 del 2024 disciplina, ai fini dell'applicazione della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 6 novembre 2018 e delle decisioni della Commissione europea del 19 dicembre 2012 e del 3 marzo 2023, la procedura di recupero dell'aiuto fruito negli anni dal 2006 al 2011 in relazione all'esenzione dell'ICI prevista a favore degli enti non commerciali.
In particolare, i soggetti passivi che hanno presentato la dichiarazione IMU e TASI per gli enti non commerciali in almeno una delle annualità 2012 e 2013, con imposta a debito superiore a 50 mila euro annui, o che, indipendente da quanto dichiarato, siano stati chiamati a versare un importo superiore a 50 mila euro annui, sono tenuti alla trasmissione della dichiarazione ai fini del recupero dell'ICI riferita al periodo dal 2006 al 2011.
La disposizione in esame è finalizzata a dare attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 2018 e alla conseguente Decisione della Commissione europea del 2023 che impongono all'Italia il recupero dell'ICI non versata con riferimento alle annualità dal 2006 al 2011.
Con la Decisione 2013/284/UE, del 19 dicembre 2012, la Commissione ha dichiarato che l'esenzione concessa, nel regime dell'ICI, agli enti non commerciali che svolgevano, negli immobili in loro possesso, attività specifiche costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno e illecitamente posto in essere dalla Repubblica italiana, in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, TFUE. Nello specifico, secondo la Commissione, le nuove norme sull'IMU, che esprimono in modo chiaro che l'esenzione può essere garantita soltanto se non vengono svolte attività economiche, non sono incompatibili con i principi europei concernenti la definizione di attività di natura non economica ai fini dell'applicazione della normativa sugli aiuti di Stato. Infatti, a seguito della nuova formulazione delle disposizioni oggi vigenti, non sono più possibili le situazioni ibride create dalla previgente normativa ICI, in base alla quale, in alcuni immobili che beneficiavano di esenzioni fiscali, si svolgevano attività di natura commerciale.
Successivamente, la Commissione europea nella Decisione 2023/2103/UE, del 3 dicembre 2023, ha stabilito che l'aiuto di Stato sotto forma di esenzione dall'imposta comunale (ICI) sugli immobili concessa agli enti non commerciali che svolgevano negli immobili esclusivamente le attività elencate all'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992 illecitamente posto in essere dall'Italia in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, del trattato, è incompatibile con il mercato interno.
Ai sensi degli articoli 84 e 85 del Codice del Terzo settore, i redditi degli immobili, destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale, sono esenti dall'imposta sul reddito delle società.
Sempre con riferimento ai redditi derivanti dai beni immobili (redditi fondiari), l'articolo 36, comma 3, del TUIR dispone che non si considerano produttive di reddito, se non sono oggetto di locazione, le unità immobiliari destinate esclusivamente all'esercizio del culto, compresi i monasteri di clausura, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione e le loro pertinenze.
Il Fondo di solidarietà comunale costituisce il fondo per il finanziamento dei comuni, alimentato con una quota del gettito IMU di spettanza dei comuni stessi, le cui risorse vengono distribuite con funzioni sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione, in un'ottica di progressivo abbandono della spesa storica.
Esso è stato istituito nel 2013 (dall'articolo 1, comma 380, della legge n. 228/2012) in sostituzione dell'originario Fondo sperimentale di riequilibrio comunale previsto dal decreto legislativo n. 23/2011, attuativo della legge delega sul federalismo fiscale, costituito nel 2011 con una dotazione di 8,4 miliardi di euro, ad esito della fiscalizzazione dei trasferimenti erariali.
Il sistema di perequazione nella distribuzione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale è stato avviato nel 2015 – sia pure per i soli comuni delle regioni a statuto ordinario – sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali. La normativa vigente prevede un aumento progressivo negli anni della percentuale di risorse da distribuire tra i comuni con i criteri perequativi, in coerenza con un principio di gradualità nella sostituzione del modello basato sulla spesa storica.
La dotazione del Fondo, definita per legge, è in parte assicurata attraverso una quota dell'IMU, di spettanza dei comuni, che in esso confluisce annualmente. La quota di alimentazione a carico dei comuni è attualmente pari al 22 per cento del gettito IMU ad aliquota di base (per un ammontare complessivo di 2,8 miliardi di euro).
Dal 2016, a seguito del regime di esenzioni IMU e TASI introdotto con la legge n. 208/2015, nella dotazione del Fondo è stata introdotta una quota c.d. "ristorativa" delle relative perdite di gettito (quantificata in circa 3,8 miliardi di euro), che non partecipa al meccanismo perequativo, ma viene ripartita tra i comuni in misura puntuale (sulla base del gettito effettivo IMU e Tasi relativo all'anno 2015).
Sul funzionamento del Fondo di solidarietà comunale, in particolare sotto il profilo distributivo delle sue risorse, hanno inciso in maniera determinante le decurtazioni di risorse poste a carico dei comuni, per effetto degli interventi di coordinamento della finanza pubblica. In particolare, i "tagli" operati sul Fondo dalle misure di finanza pubblica hanno, di fatto, annullato l'originaria componente "verticale" del Fondo, quella cioè finanziata dallo Stato e destinata alla perequazione. La dotazione del Fondo – tolta la quota ristorativa destinata alla compensazione delle minori entrate Imu e Tasi, coperta con risorse statali – è via via divenuta del tutto "orizzontale", cioè alimentata esclusivamente dai comuni attraverso il gettito dell'imposta municipale propria e non anche dalla fiscalità generale, come invece richiesto dalla legge n. 42 del 2009.
Di conseguenza, l'applicazione dei criteri perequativi nella distribuzione delle risorse, basati sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, ha fatto sì che il Fondo abbia finora funzionato come un meccanismo di mera redistribuzione orizzontale di trasferimenti interni al comparto, dai comuni con elevate basi imponibili e bassi fabbisogni a favore dei comuni con basi imponibili limitate e fabbisogni elevati.
Con l'articolo 1, comma 848, della legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 2019), è stato disposto un incremento delle risorse del Fondo di 100 milioni di euro per il 2020, di 200 milioni di euro per il 2021, di 300 milioni di euro per il 2022, di 330 milioni di euro nel 2023 e di 560 milioni di euro a decorrere dal 2024, per garantire ai comuni il progressivo reintegro delle risorse decurtate a titolo di concorso alla finanza pubblica negli anni 2014-2018, ai sensi dell'articolo 47 del decreto-legge n. 66 del 2014 (tale concorso è venuto meno nel 2019).
Tali risorse aggiuntive hanno ricostituito, nell'ambito della componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale, una quota di risorse di carattere "verticale", che sono state destinate a specifiche esigenze di perequazione nel riparto del Fondo di solidarietà comunale.
Risorse aggiuntive, specificamente destinate alla perequazione, sono state introdotte anche dal decreto-legge n. 124 del 2019 (articolo 57, comma 1-bis), nel limite massimo di 5,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020, in favore dei piccoli comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, che presentano, successivamente all'applicazione dei criteri di riparto, un valore negativo del Fondo di solidarietà comunale.
Contestualmente, il processo di perequazione delle risorse è stato rivisto e reso più graduale – dal medesimo D.L. n. 124/2019 – a partire dal 2020.
In base alla normativa vigente, la componente c.d. tradizionale del Fondo di solidarietà comunale, destinata al riequilibrio delle risorse storiche, viene ripartita, in parte sulla base del criterio della compensazione della spesa storica, ed in parte, dal 2015, mediante l'applicazione di criteri di tipo perequativo, basati sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, come approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard entro il 30 settembre dell'anno precedente (comma 449 dell'articolo 1 della legge n. 232/2016).
La normativa vigente prevede un aumento progressivo negli anni della percentuale di risorse da distribuire tra i comuni con i criteri perequativi, in coerenza con il principio di gradualità nel superamento del criterio della spesa storica. La percentuale di risorse da distribuire con i criteri perequativi – applicata nella misura del 20 per cento nel 2015, 30 per cento nel 2016, 40 per cento nel 2017 e del 45 per cento per l'anno 2018 – era prevista crescere progressivamente negli anni fino al raggiungimento del 100 per cento della perequazione del Fondo nell'anno 2021 (articolo 1, comma 884, della legge bilancio per il 2018).
Il meccanismo, non assicurando più l'invarianza delle risorse, ha comportato via via un incremento delle risorse a titolo di Fondo di solidarietà per i comuni con fabbisogni standard superiori alle capacità fiscali, ed una riduzione della quota del Fondo medesimo per i comuni con fabbisogni standard inferiori alle capacità fiscali.
Il progressivo rafforzamento della componente perequativa ha comportato tuttavia alcune distorsioni nella redistribuzione delle risorse, che hanno penalizzato soprattutto i comuni di piccolissime dimensioni mediamente più colpiti da alte percentuali di perequazione negativa, e che hanno richiesto, a più riprese, l'intervento del legislatore per la definizione di meccanismi correttivi in grado di contenere il differenziale di risorse, rispetto a quelle storiche di riferimento.
Per consentire una maggiore sostenibilità del processo di redistribuzione delle risorse, con il decreto-legge n. 124 del 2019 (articolo 57, comma 1) è stato definito un percorso molto più graduale del meccanismo perequativo, con il raggiungimento del 100 per cento della perequazione posticipato all'anno 2030 (in luogo dell'anno 2021 prima previsto). La progressione della quota percentuale del Fondo da distribuire su base perequativa è stabilita nella misura del 5 per cento annuo, a partire dalla quota del 45 per cento fissata per il 2019 (e quindi, 50 per cento nel 2020, 55 per cento nel 2021, e così via), sino a raggiungere il valore del 100 per cento nel 2030, anno in cui la componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale sarà integralmente commisurata alla differenza fra fabbisogni standard e capacità fiscale standard.
Contestualmente, è stata anche prevista una progressione del cosiddetto target perequativo, che rappresenta la capacità fiscale perequabile, fino a quel momento limitato al 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare. Anche il "target perequativo" è previsto incrementare progressivamente del 5 per cento annuo a decorrere dall'anno 2020, sino a raggiungere il valore del 100 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare dal 2029.
Al momento, dunque, non tutta la capacità fiscale può essere ancora devoluta con finalità perequative. Nel riparto del Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2022 è utilizzata, a tali fini, il 65 per cento della capacità fiscale complessiva; l'incremento progressivo del target porterà soltanto nel 2029 a utilizzare in perequazione l'intera capacità fiscale.
Nel 2030 sia la percentuale del fondo perequato che il target perequativo raggiungeranno, dunque, il 100 per cento. Tuttavia, anche dopo quella data, una quota significativa del fondo, quella cosiddetta "ristorativa", continuerà a essere distribuita secondo un criterio storico.
Relativamente ai criteri posti a base della perequazione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale, si ricorda che nel corso del 2020 e del 2021 è stato avviato un processo di revisione dei fabbisogni standard - per il momento limitato ad alcune funzioni sociali (in particolare, asili nido, settore sociale e trasporto degli alunni con disabilità) ‒ con l'obiettivo di sganciarli dal riferimento ai livelli quantitativi storicamente forniti dai singoli enti e commisurarli a livelli di servizio standard da garantire su tutto il territorio nazionale, al fine di sopperire al limite costituito dalla mancanza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Il percorso di convergenza nei livelli dei servizi è stato finanziato con risorse aggiuntive, stanziate nel Fondo di solidarietà comunale dalle ultime leggi di bilancio, e accompagnato da meccanismi di monitoraggio.
In particolare, le leggi di bilancio per il 2021 (L. n. 178/2020) e per il 2022 (L. n. 234/2021), hanno disposto un importante incremento della dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale, da destinare allo svolgimento di alcune specifiche funzioni fondamentali in ambito sociale, in particolare, in materia di potenziamento dei servizi sociali, di potenziamento del servizio asili nido e trasporto scolastico di alunni con disabilità, da ripartirsi tenendo conto dei fabbisogni standard.
Per assicurare che tali risorse aggiuntive fossero effettivamente destinate al potenziamento dei predetti servizi, le norme prevedevano la determinazione di specifici "obiettivi di servizio" per i comuni, nonché l'attivazione di un sistema di monitoraggio e di rendicontazione dell'utilizzo delle risorse e, dunque, di verifica del raggiungimento di determinati livelli di servizi offerti. Si prevedeva inoltre che le risorse integrative assegnate potessero essere recuperate a valere sul Fondo di solidarietà comunale nel caso in cui, a seguito del monitoraggio, risultassero non destinate ad assicurare il livello dei servizi definiti sulla base degli obiettivi di servizio.
L'incremento del Fondo di solidarietà comunale disposto dalle leggi di bilancio per il 2021 e il 2022 era destinato, specificamente:
– allo sviluppo dei servizi sociali comunali svolti in forma singola o associata dai comuni delle regioni a statuto ordinario, per un importo pari a 216 milioni di euro per l'anno 2021, via via incrementato fino all'importo di 651 milioni a regime, a decorrere dall'anno 2030, disposto dalla legge di bilancio per il 2021 (art. 1, comma 791, L. n. 178/2020). Gli obiettivi di servizio e le modalità di monitoraggio delle risorse sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di un'istruttoria tecnica condotta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard con il supporto di esperti del settore, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
La legge di bilancio per il 2022 (art. 1, comma 563, L. n. 234/2021) ha previsto un incremento ulteriore dell Fondo, per la medesima finalità, in favore dei comuni della regione Siciliana e della regione Sardegna, per un importo di 44 milioni di euro per l'anno 2022, via via aumentato ogni anno fino a raggiungere i 113 milioni di euro a decorrere dall'anno 2030. Per l'anno 2022, nelle more dell'approvazione dei fabbisogni standard per la funzione "Servizi sociali" dei comuni della regione Sardegna, ai fini del riparto, per i soli comuni della regione Sardegna, non si tiene conto dei fabbisogni standard. Il Fondo è stato ripartito con il D.M. interno 8 agosto 2022, sulla base dei criteri e delle modalità esplicitate nella Nota metodologica recante "Obiettivi di servizio per i servizi sociali e modalità di monitoraggio e di rendicontazione delle risorse aggiuntive per i Comuni della Regione siciliana e della Regione Sardegna – Anno 2022" approvata nella seduta della Commissione tecnica per i fabbisogni standard del 15 luglio 2022, contenuta nel decreto di riparto;
– all'incremento del numero di posti disponibili negli asili nido dei comuni delle regioni a statuto ordinario nonché delle regioni Sicilia e Sardegna, con particolare attenzione ai comuni nei quali i predetti servizi denotano maggiori carenze. Il finanziamento, inizialmente previsto dalla legge di bilancio per il 2021 (art. 1, comma 791) è stato incrementato dalla legge di bilancio per il 2022 (art. 1, commi 172-174), che lo ha portato a 120 milioni nel 2022, 175 milioni per il 2023, 230 milioni per il 2024, 300 milioni per il 2025, 450 milioni per il 2026 e a 1.100 milioni a decorrere dal 2027, ridefinendone, altresì i criteri di riparto, in termini di obiettivi di servizio, al fine di rimuovere gli squilibri territoriali nell'erogazione del servizio di asilo nido. Con riferimento agli asili nido, la legge di bilancio per il 2022 ha fissato il livello minimo da garantire (da raggiungere nel 2027) ed ha fornito le indicazioni per l'individuazione degli obiettivi di servizio, che rappresentano tappe intermedie verso quel livello. In particolare, la disposizione fissa l'obiettivo del raggiungimento di un livello minimo del numero dei posti nei servizi educativi per l'infanzia (nidi e micronidi) che ciascun comune o bacino territoriale deve garantire, nel limite delle risorse disponibili per ciascun anno, in proporzione alla popolazione ricompresa nella fascia di età da 3 a 36 mesi, fissato nel 33 per cento nel 2027. Il raggiungimento di tale livello minimo avviene in maniera graduale, attraverso obiettivi di servizio annuali incrementali differenziati per fascia demografica, sino al raggiungimento, nell'anno 2027, del livello minimo garantito del 33 per cento su base locale, anche attraverso il servizio privato;
– all'incremento del numero di studenti disabili, frequentanti la scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di 1° grado, privi di autonomia, a cui viene fornito il trasporto per raggiungere la sede scolastica, per un importo pari a 30 milioni di euro per l'anno 2022, 50 milioni per l'anno 2023, 80 milioni per l'anno 2024, 100 milioni per l'anno 2025 e per l'anno 2026 e 120 milioni di euro a decorrere dall'anno 2027, ai sensi dell'art. 1, comma 174, della legge di bilancio 2022, da destinare ai comuni delle regioni a statuto ordinario e della regione Siciliana e della regione Sardegna. La norma prevede la determinazione di obiettivi di incremento della percentuale di studenti disabili trasportati che devono essere conseguiti con le risorse assegnate, secondo un percorso di convergenza nei livelli dei servizi offerti sul territorio, e il monitoraggio sull'utilizzo delle risorse stesse, volto ad assicurare che le risorse aggiuntive del FSC siano effettivamente destinate al potenziamento del servizio.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 2023, che ha determinato una separazione tra le componenti "ordinarie" del Fondo e le risorse aggiuntive vincolate per il potenziamento dei servizi di rilevanza sociale (servizi sociali, asili nido, trasporto scolastico studenti con disabilità), le anzidette risorse aggiuntive, a partire dall'anno 2025, sono state scorporate dal Fondo di solidarietà comunale e inserite nel nuovo "Fondo Speciale Equità Livello dei Servizi", ai sensi dei commi 495-496 della legge di bilancio 2024 (legge n. 213/2023), esplicitamente finalizzato alla rimozione degli squilibri economici e sociali e destinato a favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona (articolo 119, comma quinto, della Costituzione). Tali risorse è previsto che rientrino nel perimetro del Fondo di solidarietà comunale tra il 2029 e il 2031, secondo gli importi definiti dalla legge di bilancio 2024.
E' stata altresì abolita la disciplina di recupero delle somme non utilizzate per il raggiungimento degli obiettivi di servizio finora vigente nel quadro del Fondo di solidarietà comunale.
Nella tabella che segue sono riportati gli stanziamenti destinati allo sviluppo dei servizi sociali comunali di cui alla lettera d-quinquies), agli asili nido di cui alla lettera d-sexies), al trasporto studenti disabili di cui alla lettera d-octies), del comma 449 della legge n. 232 del 2016 che per gli anni dal 2021 al 2024 sono gestiti secondo le disposizioni del Fondo di solidarietà comunale. Le risorse stanziate per gli anni successivi sono da estrapolare dal Fondo di solidarietà comunale e da considerare nel nuovo Fondo speciale Equità Livello dei Servizi.
Risorse aggiuntive Fondo Solidarietà Comunale (
mln di euro)
|
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Comma 449, L. 232/2016
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Servizi sociali comuni RSO
|
Servizi sociali comuni Sardegna e Sicilia |
Asili nido |
Trasporto disabili |
Totale risorse
|
2021
|
215,9
|
-
|
-
|
|
215,9
|
2022
|
254,9
|
44
|
120
|
30
|
448,9
|
2023
|
299,9
|
52
|
175
|
50
|
576,9
|
2024
|
345,9
|
60
|
230
|
80
|
715,9
|
Nella XVIII legislatura è sato ulteriolmente prorogato (al 31 dicembre 2023) il termine di entrata in vigore dell'esercizio obbligatorio di tutte le funzioni comunali dei piccoli comuni, già prorogato più volte (DL 228/2021, art. 2, comma 1).
In materia è intervenuta la Corte costituzionale, che ha stabilito l'incostituzionalità della disposizione che impone ai comuni con meno di 5.000 abitanti di gestire in forma associata le funzioni fondamentali là dove non consente ai comuni di dimostrare che, in quella forma, non sono realizzabili economie di scala o miglioramenti nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento (sent. 33/2019). Secondo la Corte, l'obbligo imposto ai Comuni sconta un'eccessiva rigidità perché dovrebbe essere applicato anche in tutti quei casi in cui: a) non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta il coinvolgimento di altri Comuni non in situazione di prossimità; c) la collocazione geografica dei confini dei Comuni (per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari fattori antropici, dispersione territoriale e isolamento) non consente di raggiungere gli obiettivi normativi.
Successivamente alla pubblicazione della citata sentenza della Corte costituzionale, il 6 luglio 2020 è stato avviato un gruppo di studio per la modifica dell'ordinamento degli enti locali nominato dal Ministro dell'interno, anche in vista della elaborazione di uno specifico disegno di legge delega in materia.Nel progetto di riforma è prevista la facoltà, e non più l'obbligo da parte dei comuni, di esercitare le funzioni fondamentali in via associata.
Numerose disposizioni di carattere finanziario sono state emanate nel corso della legislatura per incentivare, dal punto di vista finanziario, i processi di aggregazione e di gestione associata delle funzioni, con particolare riguardo alla fusione di comuni.
Per favorire la fusione dei comuni, l'articolo 15, comma 3, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel), di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che lo Stato eroghi appositi contributi straordinari per i dieci anni decorrenti dalla fusione stessa, commisurati a una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono. Con il decreto-legge n. 90 del 2014, il contributo straordinario in questione è stato esteso alle fusioni per incorporazione.
Dal 2018 il contributo spettante ai comuni risultanti da fusione o da fusione per incorporazione è commisurato al 60 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 ‒ ultimo anno di assegnazione dei contributi erariali ordinari, poi soppressi dalla normativa sul federalismo fiscale ‒ nel limite massimo di 2 milioni di euro di contributo per ciascun beneficiario (articolo 1, comma 17, lettera b), della legge n. 208 del 2015).
L'art. 3, comma 6-ter, del D.L. n. 44 del 2023 ha inserito il nuovo comma 3-bis nell'articolo 15 del TUEL nel quale si stabilisce che per le fusioni di comuni entrate in vigore dal 1° gennaio 2014 il contributo straordinario, previsto per un periodo massimo di dieci anni (in scadenza, quindi, nel 2023), è erogato per ulteriori cinque anni.
L'articolo 31-quater del D.L. n. 21 del 2022 ha aumentato il limite massimo del contributo straordinario previsto per i comuni che danno luogo alla fusione, innalzandolo a 10 milioni di euro a decorrere dal 2024, in caso di enti con popolazione complessivamente superiore a 100.000 abitanti non derivanti da fusione per incorporazione.
Da ultimo l'articolo 6, comma 6-bis, del D.L. n. 60 del 2024 ha previsto per gli anni dal 2024 al 2028 un incremento nella misura di 5 milioni di euro annui delle risorse per i contributi straordinari finalizzati a favorire la fusione dei comuni di cui all'articolo 15, commi 3 e 3-bis, del TUEL.
Tra i numerosi contributi stanziati per favorire le unioni e le fusioni di comuni, si ricordano qui quelli autorizzati nella XVIII legislatura:
Per l'anno 2022, il riparto del contributo straordinario spettante agli enti istituiti a seguito di fusione tra comuni e/o fusioni per incorporazioni, ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ,è stato effettuato sulla base di una dotazione finanziaria pari a circa 83 milioni di euro (cfr. Comunicato n. 2 del 31 maggio 2022 del Ministero dell'interno).
Si rammenta, peraltro, che, ai sensi dell'articolo 1, comma 118, della legge 7 aprile 2014, n. 56, al comune istituito a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno meno di 5.000 abitanti si applicano, in quanto compatibili, le norme di maggior favore, incentivazione e semplificazione previste per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
In tal senso è stato, da ultimo ripartito il fondo di 50 milioni di euro, per l'anno 2022, istituito dalla legge di bilancio per il 2022 (articolo 1, commi 581-582, legge n. 234 del 2021) in favore dei comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Siciliana e Sardegna con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che presentino criticità strutturali. Tale fondo è stato pertanto destinato, in sede di riparto, oltre che ai comuni con meno di 5.000 abitanti delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione Sardegna, anche ai comuni delle suddette regioni istituiti a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno meno di 5.000 abitanti (cfr. decreto del Ministro dell'interno 28 marzo 2022).
A partire dalla XVII legislatura è iniziato, soprattutto con le leggi di bilancio, un "percorso" normativo volto a sostenere gli investimenti dei comuni, sia tramite interventi legislativi di semplificazione amministrativa funzionali ad accelerare la realizzazione delle spese in conto capitale, sia attraverso la messa a disposizione di volumi di risorse, da ripartire tra i comuni stessi, destinati a molteplici finalità (dalla manutenzione stradale al dissesto idrogeologico, all'edilizia pubblica e alla riqualificazione e rigenerazione urbana).
La legge di bilancio per il 2019 ha rappresentato il punto di ripartenza fondamentale nel settore degli investimenti pubblici, che aveva sofferto della politica di contrazione della spesa, dovuta al patto di stabilità interno, e dell'aumento dei controlli sulle procedure autorizzative degli investimenti, necessario per la corretta gestione degli appalti. Il piano degli investimenti, previsto dall'art. 1, comma 107, legge n. 145 del 2018, e ribadito nelle leggi di bilancio per il 2020 e per il 2021, concepito per far ripartire i cantieri attraverso la programmazione dei lavori ed un allentamento di vincoli per l'affidamento delle opere, ha determinato una sensibile ripresa degli investimenti. In particolare, si ricordano i contributi pluriennali agli investimenti locali nei settori relativi ad opere di messa in sicurezza e di efficientamento energetico delle scuole, degli edifici pubblici e del patrimonio comunale, quelli per finanziare opere per lo sviluppo territoriale sostenibile, di rigenerazione urbana, e per gli interventi di messa in sicurezza del territorio a rischio idrogeologico e di messa in sicurezza della rete stradale.
La crisi sanitaria nel 2020 ed il suo protrarsi nel 2021, ha avuto ripercussioni negative anche nel settore degli investimenti, con un rallentamento nella spesa in conto capitale del comparto dei comuni (cfr. al riguardo, Corte dei conti "Relazione della sulla gestione finanziaria degli enti locali – esercizi 2019-2021", di luglio 2022).
Il recupero della capacità di investimento dei comuni rappresenta un elemento fondamentale per accelerare la ripresa dopo la pandemia. Le aspettative di un rilancio sono, in particolare, riposte nell'attuazione del PNRR, che attribuisce al settore degli investimenti un ruolo fondamentale nella politica di ripresa dell'economia nazionale, e che apre prospettive favorevoli per la finanza locale. Il PNRR riattribuisce, infatti, agli enti territoriali, quali soggetti attuatori, il ruolo di investitori pubblici di una parte consistente (oltre 66 miliardi) degli stanziamenti legati al Piano (di cui 28,32 per Comuni e Città metropolitane).
Al fine di assicurare che le risorse siano gestite a livello locale con efficienza, il legislatore è ripetutamente intervenuto con norme volte ad incrementare la capacità amministrativa dei comuni (soprattutto quelli del sud e di minori dimensioni), attraverso assunzioni di personale e varie forme di assistenza progettuale e supporto tecnico, anche con il coinvolgimento di importanti società pubbliche.
La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare - mediante copertura integrale dei costi - il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. In via transitoria, la superficie delle unità immobiliari assoggettabile alla TARI è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati.
I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo.
La TARI è stata introdotta dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 per sostituire il precedente tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2). La legge di bilancio per il 2020, nel ridisciplinare l'imposizione immobiliare locale, ha fatto salve la TARI e la relativa disciplina.
Per la determinazione della tariffa sono stati applicati i criteri determinati con DPR 158 del 1999 (cd. metodo normalizzato) ovvero, in via transitoria, è stato consentito ai comuni di commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti.
Entro il termine per l'approvazione del bilancio di previsione il consiglio comunale deve approvare le tariffe in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio.
Il decreto legge n. 124 del 2019 ha prorogato fino a diversa regolamentazione disposta dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) tale modalità di commisurazione della tariffa sulla base del criterio medio-ordinario (in luogo dell'effettiva quantità di rifiuti prodotti). Il provvedimento ha disposto l'accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati per gli utenti domestici che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate.
La legge di bilancio 2018 (legge 205 del 2017, comma 527) ha affidato ad Arera il compito di regolare il settore dei rifiuti, con riguardo al miglioramento del servizio agli utenti, all'omogeneità tra le aree del Paese, alla valutazione dei rapporti costo-qualità e all'adeguamento infrastrutturale.
Con delibera 31 ottobre 2019 443/2019/R/rif, è stato definito il nuovo metodo tariffario del servizio integrato di gestione dei rifiuti, e, in seguito, con la deliberazione del 3 agosto 2021, n. 363, aggiornata dalla deliberazione del 3 agosto 2023 n. 389 (qui il link al testo aggiornato), è stato definito il Metodo Tariffario per il servizio integrato di gestione dei Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025. Il nuovo Metodo prevede l'uso del fabbisogno standard di cui all'art. 1, comma 653, della legge n. 147 del 2013 come benchmark di riferimento per il costo unitario effettivo del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
La determinazione delle componenti tariffarie è effettuata in conformità al predetto metodo Tariffario, di cui all'Allegato A della delibera 31 ottobre 2019 443/2019/R/rif.
Il comma 5-quinquies dell'articolo 3 del D.L. 228/2021 prevede che, a decorrere dal 2022, i comuni, in deroga alla disciplina vigente, possono approvare i piani finanziari del servizio di gestione dei rifiuti urbani, le tariffe e i regolamenti della TARI e della tariffa corrispettiva entro il termine del 30 aprile di ciascun anno.
L'articolo 43, comma 11, del D.L. 50/2022, prevede che, qualora il termine di deliberazione del bilancio di previsione del comune venga prorogato a una data successiva al 30 aprile dell'anno di riferimento, il termine per l'approvazione dei piani finanziari del servizio di gestione dei rifiuti urbani, delle tariffe e dei regolamenti della TARI, nonché della tariffa corrispettiva, coincida con quello per la deliberazione del bilancio di previsione. Qualora l'approvazione o la modifica di provvedimenti relativi alla TARI o alla tariffa corrispettiva intervengano dopo l'approvazione del proprio bilancio di previsione, si dispone che il comune provveda ad effettuare le conseguenti modifiche in occasione della prima variazione utile.
Per approfondimenti si veda la sintesi della disciplina del tributo sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze.
L'addizionale comunale all'IRPEF viene istituita dai comuni ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 360 del 1998, che ne stabilisce l'aliquota in misura non superiore allo 0,8 per cento, salvo le deroghe espressamente previste dalla legge (ad esempio, Roma Capitale, a decorrere dall'anno 2011, può stabilire un'aliquota fino allo 0,9 per cento).
L'addizionale è dovuta al comune nel quale il contribuente, al 1° gennaio dell'anno di riferimento del pagamento dell'addizionale medesima, ha il domicilio fiscale.
L'imposta è calcolata applicando al reddito complessivo determinato ai fini IRPEF, al netto degli oneri deducibili, l'aliquota stabilita dal comune ed è dovuta solo nel caso in cui, per lo stesso anno, risulta dovuta l'IRPEF stessa, al netto delle detrazioni per essa riconosciute e del credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero.
A questo link si possono ricercare le aliquote applicabili nei comuni italiani per anno d'imposta.
Le misure dirette introdotte nel corso della XIX legislatura
Parallelamente a quanto disposto per l'addizionale regionale all'IRPEF, il decreto legislativo 216 del 2023, al fine di garantire la coerenza degli scaglioni dell'addizionale comunale all'IRPEF con i nuovi scaglioni dell'IRPEF, stabiliti sempre per il 2024, ha disposto che i comuni per l'anno 2024, entro il termine di approvazione del bilancio di previsione, modifichino, con propria delibera, gli scaglioni e le aliquote dell'addizionale comunale al fine di conformarsi alla nuova articolazione prevista per l'IRPEF.
Per quanto concerne l'addizionale comunale all'IRPEF, sempre la legge di bilancio 2025 (articolo 1, commi 750-752) ha previsto, al fine di garantire la coerenza della disciplina dell'addizionale comunale all'IRPEF con la nuova articolazione degli scaglioni di reddito dell'IRPEF, che i comuni per l'anno 2025 modifichino, con propria delibera, entro il 15 aprile 2025, gli scaglioni e le aliquote dell'addizionale comunale.
Peraltro, nelle more del riordino della fiscalità degli enti territoriali, anche i comuni possono determinare, per i soli anni di imposta 2025, 2026 e 2027, aliquote differenziate dell'addizionale all'IRPEF sulla base degli scaglioni di reddito previsti dall'articolo 11, comma 1, del TUIR, vigenti fino al 1° gennaio 2025. Per il solo anno di imposta 2025, il termine per approvare gli scaglioni di reddito e le aliquote di cui al primo periodo è fissato al 15 aprile 2025.
Qualora i comuni non adottino la delibera di cui sopra o non la trasmettano entro il termine stabilito ex lege, per gli anni di imposta 2025, 2026 e 2027, l'addizionale comunale si applica sulla base degli scaglioni di reddito e delle aliquote già vigenti in ciascun ente nell'anno precedente a quello di riferimento.
Oltre all'IMU, alla TARI e all'addizionale comunale sui diritti d'imbarco, gli ulteriori tributi comunali di rilievo sono:
Di seguito si dà brevemente conto delle caratteristiche dei citati tributi e delle modifiche introdotte nel corso della XIX legislatura.
Il canone unico patrimoniale
Il c.d. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria è stato previsto dalla legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi da 816 a 836). Tale canone sostituisce, a partire dal 2021, entrate di diversa natura, vale a dire:
Il canone è comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.
La legge di bilancio 2025 (articolo 1, comma 757, lettera a)), fermo restando che il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone, ha previsto che la facoltà di variazione del gettito del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria mediante la modifica delle tariffe venga attuata secondo criteri di ragionevolezza e di gradualità in ragione dell'impatto ambientale e urbanistico delle occupazioni e delle esposizioni pubblicitarie oggetto del canone e della loro incidenza su elementi di arredo urbano o sui mezzi dei servizi di trasporto pubblico locale o dei servizi di mobilità sostenibile.
Il presupposto del canone è:
Il canone è istituito dai comuni nonché dalle province e dalle città metropolitane, con regolamento da adottare dal consiglio comunale o provinciale.
Il soggetto attivo è quindi l'ente (comune, provincia e città metropolitana) che ha rilasciato l'autorizzazione, la concessione o ha consentito l'esposizione pubblicitaria.
Il soggetto passivo dell'imposta è il titolare dell'autorizzazione o della concessione ovvero, in mancanza, il soggetto che effettua l'occupazione o la diffusione dei messaggi pubblicitari in maniera abusiva. Per la diffusione di messaggi pubblicitari, è obbligato in solido il soggetto pubblicizzato.
La determinazione del canone dipende dal presupposto. Segnatamente:
Il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile destinati a mercati
A decorrere dal 1° gennaio 2021 è stato istituito il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate. Tale canone viene istituito dai comuni e dalle città metropolitane con proprio regolamento.
Il canone si applica in deroga alle disposizioni concernenti il canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria e anch'esso sostituisce la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, e, limitatamente ai casi di occupazioni temporanee, i prelievi sui rifiuti. Esso è dovuto in proporzione alla superficie risultante dall'atto di concessione o, in mancanza, alla superficie effettivamente occupata.
Il canone deve essere versato dal titolare dell'atto di concessione o, in mancanza, dall'occupante di fatto, anche abusivo.
Il canone è determinato dal comune o dalla città metropolitana in base alla durata, alla tipologia, alla superficie dell'occupazione espressa in metri quadrati e alla zona del territorio in cui viene effettuata (articolo 1, commi da 837 a 847 della legge di bilancio 2020).
L'imposta di soggiorno
L'articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (federalismo municipale) attribuisce ai comuni la facoltà di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. L'imposta può essere istituita da:
L'imposta, istituita con deliberazione del consiglio, è applicabile secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno.
I comuni capoluogo di provincia possono applicare una maggiorazione dell'imposta di soggiorno fino all'importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno, laddove dall'ultima rilevazione delle amministrazioni preposte alla raccolta e all'elaborazione di dati statistici risulti che essi abbiano registrato presenze turistiche venti volte superiore al numero dei propri residenti. La legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 787) ha specificato che tali comuni devono fare riferimento ai dati pubblicati dall'ISTAT riguardanti le presenze turistiche medie registrate nel triennio precedente all'anno in cui viene deliberato l'aumento dell'imposta e che per il triennio 2023-2025 si considera la media delle presenze turistiche del triennio 2017-2019.
Per il pagamento dell'imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno è responsabile il gestore della struttura ricettiva, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, per la presentazione della dichiarazione, nonché per gli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La relativa dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo.
Viene, inoltre, disciplinato il regime sanzionatorio per omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile.
L'imposta di soggiorno può sostituire in tutto o in parte gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell'ambito del territorio comunale. Resta ferma la facoltà di disporre limitazioni alla circolazione nei centri abitati ai sensi dell'articolo 7 del codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992). Si tratta sostanzialmente di limitazioni alla circolazione per motivi di sicurezza pubblica o inerenti alla sicurezza della circolazione, di tutela della salute, esigenze di carattere militare, incolumità pubblica ovvero per urgenti e improrogabili motivi attinenti alla tutela del patrimonio stradale o ad esigenze di carattere tecnico, accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale.
Il comma 3 affida a un regolamento governativo (ex articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988, d'intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali) la disciplina generale di attuazione dell'imposta di soggiorno. I comuni, con proprio regolamento, hanno la facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Nel caso di mancata emanazione del regolamento governativo, i comuni possono comunque adottare gli atti necessari per l'applicazione dell'imposta.
Il contributo di sbarco
Il contributo di sbarco, istituito dall'articolo 33 della legge n. 221 del 2015 (cd. collegato ambientale), è disciplinato dall'articolo 4, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 23 del 2011 e ha sostituto la previgente imposta di sbarco (introdotta dall'articolo 4, comma 2-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012. Tale contributo, come l'imposta di sbarco, è alternativo all'imposta di soggiorno.
Il predetto articolo 4, comma 3-bis, (così novellato) dispone che il contributo sia istituito con regolamento, nella misura massima di 2,50 euro (1 euro in più rispetto alla previgente imposta di sbarco) e può essere elevato a 5 euro dai comuni in via temporanea.
Il contributo può essere elevato a 5 euro dai comuni anche in relazione all'accesso a zone disciplinate nella loro fruizione per motivi ambientali, in prossimità di fenomeni attivi di origine vulcanica; in tal caso, il contributo può essere riscosso dalle locali guide vulcanologiche, regolarmente autorizzate, o da altri soggetti individuati dall'amministrazione comunale con apposito avviso pubblico.
Tale contributo è applicabile ai passeggeri che sbarcano sul territorio dell'isola minore utilizzando vettori che forniscono collegamenti di linea, così come ai passeggeri che sbarcano mediante vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali (dunque non solo di linea), abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l'isola.
Il contributo di sbarco è riscosso, unitamente al prezzo del biglietto, da parte delle compagnie di navigazione e aeree o dei soggetti che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali.
L'imposta di scopo
L'imposta di scopo (ISCOP) è stata originariamente disciplinata dall'articolo 1, commi 145-151, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), che ha conferito ai comuni la facoltà, confermata dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 706, della legge n. 147 del 2013), di istituire, con regolamento, tale imposta al fine di finanziare la realizzazione di opere pubbliche.
In particolare, la norma ha rimesso ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, l'istituzione dell'imposta, da destinare esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche.
Soggetto passivo dell'imposta è:
Su tale disciplina è, in seguito, intervenuto l'articolo 6 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (recante disposizioni in materia di federalismo municipale) che ha riconosciuto ai comuni la possibilità di prevedere, inoltre:
Successivamente, il decreto-legge n. 16 del 2012 (articolo 4, comma 1-quater) ha ulteriormente modificato la disciplina dell'imposta di scopo, prevedendo che, a decorrere dall'entrata in vigore dell'IMU sperimentale (e cioè dal 2012), l'imposta di scopo si applichi o, se istituita, continui ad applicarsi con riferimento alla base imponibile e secondo la disciplina vigente. Il comune è, quindi, autorizzato ad adottare i provvedimenti correttivi eventualmente necessari per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 145 a 151 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 sopra descritte.
La legge di stabilità per il 2014 (articolo 1, comma 706, della legge n. 147 del 2013) ha confermato la possibilità per i comuni di istituire l'imposta di scopo.
Il sistema della fiscalità comunale poggia sulle seguenti imposte, per l'analisi delle quali si rinvia ai rispettivi paragrafi:
A queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzati e alle entrate a titolo di Fondo di solidarietà comunale, le seguenti ulteriori entrate locali:
Con riferimento alla riscossione degli enti locali si rinvia al tema sull'accertamento e sulla riscossione dei tributi e al relativo focus.