I regi decreti sono atti dall'incerta qualificazione giuridica (fonte primaria o secondaria) adottati dal Consiglio dei ministri e promulgati dal Re durante il Regno d'Italia.
È opportuno ricordare[1] che l'articolo 6 dello Statuto albertino prevedeva, tra le altre cose, che "il Re fa i decreti e i regolamenti necessari per l'esecuzione delle leggi senza sospenderne l'osservanza o dispensarne". L'articolo 3 prevedeva che il potere legislativo fosse collettivamente esercitato dal Re e dalle due Camere.
La lettura dello Statuto sembrava così escludere la possibilità di regi decreti con valore di fonte legislativa.
La prassi legislativa del Regno di Sardegna e del Regno d'Italia andò però in un'altra direzione.
In primo luogo, le leggi potevano autorizzare l'adozione di regi decreti con valore di legge in determinate materie. In questo caso i regi decreti possono essere assimilati agli odierni decreti legislativi.
Inoltre, la prassi consentì l'adozione di regi decreti con valore di fonte legislativa, anche in assenza di una legge di autorizzazione.
Sotto la qualificazione di "regi decreti" si ritrovano quindi effettivamente, nel periodo del Regno, sia fonti di tipo legislativo sia fonti di tipo regolamentare.
In questo quadro, la prassi prevalente ma non univoca prevedeva una sorta di "autoattribuzione" del rango di fonte legislativa da parte del regio decreto: i regi decreti con valore legislativo usualmente contenevano infatti una clausola che ne prevedeva la trasmissione alle Camere per la conversione in legge, i tempi per la conversione non erano però definiti (ma il disegno di legge decadeva come tutti i progetti di legge al momento della chiusura della sessione). Solo nel 1915 iniziò ad essere adottata la titolazione "regio decreto-legge".
Il ricorso a regi decreti si fece più intenso in periodi di alta conflittualità politico-sociale come il primo decennio post-unitario (1861-1870), la crisi di fine secolo (1896-1900), la prima guerra mondiale (1915-1918). In particolare negli anni della prima guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra il fenomeno esplose e molti regi decreti-legge si andarono ad affiancare ai molti regi decreti adottati sulla base della legge sui pieni poteri approvata al momento dell'entrata in guerra dell'Italia (legge 22 maggio 1915, n. 671, formalmente abrogata dal D.L. 200 del 2008), che autorizzava il Governo ad emanare disposizioni aventi valore di legge per quanto fosse richiesto dalla difesa dello Stato, dalla tutela dell'ordine pubblico e da urgenti o straordinari bisogni della economia nazionale. In particolare, nel corso del primo conflitto mondiale e nel dopoguerra risultano adottati 229 regi decreti-legge nel 1915, 186 nel 1916, 238 nel 1917 e 354 nel 1918, 1043 nel 1919, 545 nel 1920, 350 nel 1921.
I tempi per la conversione in legge non erano predeterminati e il disegno di legge di conversione seguiva lo stesso iter dei progetti di legge ordinari decadendo al momento della chiusura della sessione. Per i regi decreti con valore legislativo, la Corte dei conti procedeva però a una registrazione con riserva. La magistratura ordinaria tendeva a non discutere della legittimità di tali atti normativi (le Sezioni unite della Corte di cassazione di Roma, con una sentenza del 17 novembre 1888, rilevarono che le vicende dei regi decreti potevano essere oggetto solo di valutazione politica da parte del Parlamento). Vi furono però in questo orientamento delle eccezioni giurisprudenziali. Molto nota, a chiusura della "crisi di fine secolo", è la sentenza della Corte di cassazione di Roma del 20 febbraio 1900 con la quale venne dichiarato nullo, in quanto non convertito nella sessione, di effetti il cd. "decreto Pelloux" del 22 giugno 1899 (che conteneva le misure limitative delle libertà statutarie che il governo Pelloux non era riuscito a far approvare dalla Camera a causa dell'ostruzionismo parlamentare).
Successivamente, sempre la Corte di cassazione di Roma, con sentenza del 16 novembre 1922 affermò che l'autorità giudiziaria poteva accertare l'avvenuta presentazione del disegno di legge di conversione alle Camere e sindacare i motivi di urgenza dei regi decreti che erano "atti arbitrari del Governo eccedenti la sfera del potere esecutivo e quindi anticostituzionali".
Nel periodo regio, la questione trovò una sistemazione, nel quadro dell'autoritarismo del regime fascista, con la legge n. 100 del 1926. Si rinvia, sul punto, al focus Le fonti diverse dai Regi Decreti.
[1] Per la ricostruzione si utilizza N. Lupo, I decreti-legge nel primo dopoguerra nelle letture dei giudici e dei giuristi e F. Rossi, Parlamento e decretazione d'urgenza nella crisi dello Stato liberale (1918-1925), entrambi in Parlamento e Storia d'Italia II. Procedure e politiche, a cura di V. Casamassima, Pisa, Edizioni della Normale 2016.