Dal punto di vista ordinamentale, l'emergenza COVID-19 è stata affrontata, in parallelo al ricorso allo stato di emergenza previsto dal codice di protezione civile (art. 24 del decreto legislativo n. 1 del 2018), attraverso l'elaborazione di un apposito sistema normativo. In particolare, il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020 e, subito dopo, il decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020 che lo ha sostituito, hanno delineato un modello fondato, da un lato, sulla definizione da parte del decreto-legge del "catalogo" di misure di contenimento dell'epidemia (ivi comprese quelle limitative della libertà di circolazionee delle attività economiche, sociali, culturali e scolastiche) assumibili, rinviando, dall'altro lato, per la loro assunzione in concreto, per periodi di tempo limitati e nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Rispetto a questo sistema, il Parlamento è intervenuto dapprima inserendo nel decreto-legge n. 19 del 2020 la previsione dell'approvazione di atti di indirizzo parlamentari preventivi all'adozione di DPCM. Si è poi avuto (dai decreti-legge n. 83 del 2020 al decreto-legge n. 52 del 2021) un progressivo spostamento alla fonte legislativa della disciplina di contenimento della pandemia in corso.
Lo stato di emergenza si è concluso il 31 marzo 2022 e il decreto-legge n. 24 ha disciplinato il suo superamento.
La disciplina legislativa di contenimento della pandemia da COVID-19 è stata finora confermata dalla Corte costituzionale, in particolare con le sentenze n. 37 e n. 198 del 2021.
Dal punto di vista ordinamentale, i provvedimenti di contrasto e contenimento della pandemia da COVID-19 possono essere suddivisi in più fasi.
In una prima fase, l'epidemia è stata affrontata quale emergenza di protezione civile, secondo la strumentazione giuridica offerta dal Codice di protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2018).
Quest'ultimo definisce una concatenazione di atti giuridici per fare fronte alle situazioni di emergenza: deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri, per un lasso temporale determinato (non superiore a dodici mesi, prorogabile per non più di ulteriori dodici mesi); ordinanze del Presidente del Consiglio; ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile. Al contempo sono state emanate ordinanze di carattere contingibile e urgente da parte del Ministero della salute, secondo un potere riconosciutogli - in materia di igiene e di sanità pubblica e di polizia veterinaria - dall'articolo 32 della legge n. 833 del 1978 (con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni; all'interno della regione o del comune, il medesimo articolo prevede l'emanazione di analoghe ordinanze da parte del Presidente della Giunta regionale o del sindaco).
In particolare, lo stato di emergenza nazionale per far fronte all'epidemia è stato dichiarato, fino al 31 luglio 2020, con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020.
Il ricorso agli strumenti previsti dal codice di protezione civile è comunque proseguito anche nelle fasi successive.
Successivamente, il carattere inedito della pandemia ha indotto ad elaborare un apposito modello normativo, che ha trovato attuazione parallelamente alla vigenza dello stato di emergenza.
In particolare, il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020 e, subito dopo, il decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020 che lo ha sostituito hanno delineato un modello fondato, da un lato, sulla definizione da parte del decreto-legge del "catalogo" di misure di contenimento dell'epidemia (ivi comprese quelle limitative della libertà di circolazionee delle attività economiche, sociali, culturali e scolastiche) assumibili, rinviando per la loro assunzione in concreto, per periodi di tempo limitati (inizialmente non superiori comunque a 30 giorni) e nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati su proposta del Ministro della salute e degli altri ministri competenti, sentiti i presidenti delle regioni interessate ovvero il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Nel corso dell'iter parlamentare alla Camera del decreto-legge n. 19 è stata introdotta la previsione della preventiva illustrazione da parte del Governo alle Camere del contenuto dei d.P.C.m. ai fini della formulazione di indirizzi parlamentari al riguardo. Solo in caso di urgenza si consente una comunicazione successiva (art. 2, co. 1 del decreto-legge n. 19). Comunicazioni da parte del MInistro della salute o del Presidente del Consiglio con conseguente approvazione di risoluzioni di indirizzo precedenti all'adozione dei DPCM si sono avute nelle sedute della Camere dell'11 giugno, 14 luglio, 29 luglio, 2 settembre, 6 e 7 ottobre, 2 novembre e 2 dicembre 2020 e del 13 gennaio e 14 febbraio 2021
Rispetto a tale organizzazione ordinamentale della risposta all'epidemia, ha segnato un'evoluzione il decreto-legge n. 33 del 16 maggio 2020. Esso ha, da un lato, stabilito un progressivo allentamento di divieti e vincoli calibrati sulla fase più acuta dell'emergenza. Tra le altre cose, infatti, tale decreto-legge ha previsto che "a decorrere dal 18 maggio 2020, cessino di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all'interno del territorio regionale e che le medesime misure potessero essere adottate o reiterate solo con riferimento a specifiche aree del territorio medesimo (art. 1, co. 1) e che "a decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti interregionali possano essere limitati solo con provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, in relazione a specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree" (art. 1, co. 3). Si stabiliva inoltre il principio dello svolgimento delle attività economiche, produttive e sociali sulla base di appositi protocolli o linee guida per prevenire il rischio di contagio, ferma restando la possibilità di introdurre limitazioni nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità (art. 1, co. 14).
A seguire, il decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83 ha inciso quasi esclusivamente sulla modulazione temporale delle misure fin ad allora adottate, disponendo la proroga della possibilità di adozione delle misure di contrasto dell'epidemia previste dal decreto-legge n. 19 e dal decreto-legge n. 33 al 15 ottobre 2020, in ragione della proroga alla medesima data dello stato d'emergenza adottato ai sensi dell'articolo 24 del codice della protezione civile. Nel parere sul disegno di legge C. 2617 di conversione del decreto-legge n. 83, il Comitato per la legislazione (seduta del 4 agosto 2020) ha invitato con una condizione ad approfondire il coordinamento tra il contenuto delle misure di contenimento dell'epidemia adottabili ai sensi del decreto-legge n. 19 del 2020 con quello delle misure previste dal decreto-legge n. 33 del 2020. Il Comitato riteneva infatti che si ponesse il dubbio se alcune delle misure adottabili ai sensi del decreto-legge n. 19 (ad esempio quelle che consentivano anche sull'intero territorio nazionale la limitazione della circolazione delle persone ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettere a) e c) non risultassero tacitamente abrogate dalle disposizioni sopra richiamate del decreto-legge n. 33.
In termini analoghi si esprimeva con un'osservazione il Comitato permanente per i pareri della I Commissione Affari costituzionali della Camera (seduta del 4 agosto 2020).
Recependo tali rilievi, la Camera ha modificato il testo inserendo (art. 1-bis) la precisazione che le disposizioni del decreto-legge n. 19 si applicano nei limiti della loro compatibilità con quelle del decreto-legge n. 33.
In seguito è stato adottato il decreto-legge n. 125 del 7 ottobre 2020, in una congiuntura in cui l'andamento epidemiologico mostrava i segni di una significativa ripresa della fase critica.
Il decreto-legge n. 125, oltre a prorogare fino al 31 gennaio 2021 la possibilità di adottare le misure di contrasto all'epidemia previste dai decreti-legge n. 19 e n. 33, in conseguenza della proroga al 31 gennaio 2021 dello stato d'emergenza (delibera del Consiglio dei ministri del medesimo 7 ottobre), ha introdotto la previsione di un'obbligo di mascherina; è inoltre venuta meno la possibilità per le regioni di adottare misure meno restrittive rispetto a quelle nazionali (la possibilità rimane solo previa intesa con il Ministro della salute).
L'andamento dell'epidemia, nel sopraggiungere dell'autunno e dell'inverno 2020, ha mostrato un aggravamento.
A fronte della nuova situazione, il decreto-legge n. 149 del 2020 ha "legificato" il meccanismo delle zone introdotto dal d.P.C.m. del 3 novembre 2020, vale a dire l'applicazione di diverse misure di contenimento dell'epidemia nelle diverse regioni sulla base dell'andamento del contagio. Questo attraverso l'inserimento di commi aggiuntivi all'articolo 1 del decreto-legge n. 33 (cd. "zone gialle", "zone arancioni", "zone rosse").
Successivamente, i decreti-legge n. 158, n. 172 del 2020 e n. 1 del 2021 hanno tra le altre cose introdotto un divieto di mobilità interregionale su tutto il territorio nazionale, dapprima per le festività natalizie e quindi fino al 15 gennaio 2021. In proposito, il Comitato per la legislazione della Camera, in particolare nel parere reso nella seduta del 9 dicembre 2020 sul disegno di legge C. 2812 di conversione del decreto-legge n. 158 del 2020 ha sottolineato come la scelta dello strumento della decretazione d'urgenza si rendesse necessaria alla luce del combinato disposto tra decreto-legge n. 19 e decreto-legge n. 33 come interpretato dall'articolo 1-bis del decreto-legge n. 83 che impediva, come si è visto, l'adozione di misure di limitazione della circolazione sul territorio nazionale senza una nuova e specifica autorizzazione legislativa.
Il decreto-legge n. 158 del 2020 ha inoltre aumentato il periodo di massima durata dei DPCM di contenimento della pandemia da 30 a 50 giorni.
È stato poi adottato il decreto-legge n. 2 del 14 gennaio 2021, che ha prorogato la possibilità di adottare le misure di contrasto dell'epidemia da COVID-19 previste dai decreti-legge n. 19 e n. 33 fino al 30 aprile 2021, a seguito della proroga alla medesima data dello stato d'emergenza (delibera del 13 gennaio del Consigio dei ministri). Il provvedimento, insieme ai successivi decreti-legge n. 12 e n. 15, confluiti nel decreto-legge n. 2 nel corso dell'iter di conversione, hanno inoltre prorogato il divieto di mobilità interregionale fino al 27 marzo 2021.
Il decreto-legge n. 2 del 2021 ha anche introdotto la possibilità, in caso di evoluzione positiva della curva epidemiologica, di esentare le regioni dall'applicazione di misure restrittive di contenimento dell'epidemia, fatta salva l'applicazione dei protocolli di sicurezza per lo svolgimento delle varie attività (cd. "zona bianca").
Il decreto-legge n. 15 del 2021 ha inserito inoltre nel testo dell'articolo 1 del decreto-legge n. 33/2020 le denominazioni di "zona bianca", "zona gialla", "zona arancione", "zona "rossa" (comma 16-septies).
In seguito, a fronte dell'ulteriore recrudescenza dei contagi della cd. "terza ondata", è stata adottata una nuova modalità di intervento: i decreti-legge n. 30 e n. 44 del 2021 hanno infatti previsto, tra le altre cose, prima fino al 2 aprile e nella giornata del 6 aprile (decreto-legge n. 30) e quindi dal 7 al 30 aprile 2021 (decreto-legge n. 44) l'applicazione alle regioni in zona gialla delle regole previste per la zona arancione dal d.P.C.m. del 2 marzo 2021 (il 3, 4 e 5 aprile 2021 il decreto-legge n. 30 ha previsto l'applicazione su tutto il territorio nazionale delle regole previste dal medesimo d.P.C.m. per le zone rosse). Per effetto del richiamo alle regole previste per le zone arancioni – e della loro estensione alle zone "non arancioni" - è stato quindi introdotto, fino al 30 aprile 2021 il principio generale del divieto di mobilità al di fuori del territorio comunale.
Nel corso della discussione parlamentare alla Camera sul decreto-legge n. 2 del 2021 il Governo ha accolto, con una riformulazione, l'ordine del giorno n. 8/2921-A. Come riformulato, l'ordine del giorno, che fa seguito al parere espresso sul provvedimento dal Comitato per la legislazione, constata nelle premesse che "risulta praticabile e probabilmente maggiormente rispettoso del sistema delle fonti, pur in un contesto di rispetto del principio di legalità che l'impiego del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri comunque garantisce, ricondurre alla fonte legislativa – eventualmente anche attraverso decreti-legge – la definizione del quadro generale delle misure da applicare nelle diverse zone di diffusione del contagio per la parte attinente all'esercizio di libertà costituzionali fondamentali quali la libertà di movimento (art. 16), la libertà di riunione e manifestazione (art. 17) e la libertà di culto (art. 19), ferma restando la riserva di legge relativa e rinforzata – e non assoluta – posta a tutela delle medesime dalla Costituzione, che consente dunque l'intervento anche di fonti di rango secondario". L'ordine del giorno impegna quindi il Governo a "valutare l'opportunità di operare per una ridefinizione del quadro normativo delle misure di contrasto dell'epidemia da COVID-19 anche valutando di affidare a una fonte diversa dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato nelle modalità finora osservate, una definizione più stringente del quadro generale delle misure da applicare nelle diverse zone individuate sulla base del grado di diffusione del contagio per la parte attinente all'esercizio di libertà costituzionali fondamentali quali la libertà di movimento (art. 16), la libertà di riunione e manifestazione (art. 17) e la libertà di culto (art. 19)".
Anche in recepimento dell'ordine del giorno, Il decreto-legge n. 52 del 2021 ha disciplinato il quadro delle misure da applicare dal 1° maggio al 31 luglio 2021 per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali rinviando – da una parte - a quanto previsto dal d.P.C.m. 2 marzo 2021 prorogandone la vigenza al 31 luglio (il DPCM veniva così "legificato"), salvo quanto previsto dal decreto-legge medesimo e – dall'altra parte – estendendo al 31 luglio 2021 la possibilità di adottare provvedimenti di contenimento dell'emergenza ai sensi dei decreti-legge n. 19 del 2020 e n. 33 del 2020, in parallelo alla proroga fino al 31 luglio 2021 dello stato di emergenza (delibera del 21 aprile 2021).
Insieme, il decreto-legge ha però previsto una diretta disciplina legislativa di aspetti fino ad allora affidati ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Il decreto-legge n. 52 al contempo ha prorogato fino al 31 luglio 2021 e, in taluni casi, anche fino ad un termine più ampio i termini recati da una serie di disposizioni legislative contenute nell'allegato 2 del medesimo decreto-legge, che il precedente decreto-legge n. 183 del 2020 aveva prorogato al 30 aprile 2021.
In concreto, dopo quello del 2 marzo 2021, non sono stati più adottati DPCM di contenimento della pandemia e la disciplina è stata affidata alla fonte legislativa.
Successivamente, è intervenuto sulla materia il decreto-legge n. 65 del 2021, che ha disposto la riapertura di una serie di attività a partire dal mese di giugno secondo diverse gradazioni, unitamente al decreto-legge n. 54 che ha previsto la proroga di alcuni termini. Entrambi i provvedimenti sono confluiti nel decreto-legge n. 52 del 2021 in sede di esame parlamentare.
Sono stati quindi adottati il decreto-legge n. 105 del luglio 2021 e il decreto-legge n. 111 del 6 agosto 2021.
Con il decreto-legge n. 105 è stato prorogato direttamente con fonte legislativa (articolo 1 del decreto-legge) lo stato di emergenza al 31 dicembre 2021.
Si è infatti ritenuto che, poiché l'articolo 24 del codice della protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2018) prevedeva la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza per un massimo di 12 mesi prorogabili per non più di 12 mesi ed avendo però la prima delibera di dichiarazione, previsto lo stato di emergenza solo fino al 31 luglio 2020, non si potesse andare, con lo strumento della delibera ai sensi dell'articolo 24, oltre i 12 mesi dal 31 luglio 2020 e cioè oltre il 31 luglio 2021.
si è inoltre stabilita altresì - per il periodo dal 1° agosto e fino al 31 dicembre 2021 - l'estensione dell'applicazione delle misure di contenimento della diffusione dell'epidemia da Covid-19 già adottate con il dPCm del 2 marzo 2021, fatto salvo quanto diversamente disposto dal decreto in esame.
Tra le modifiche principali apportate alla normativa emergenziale con il decreto-legge n. 105 del 2021 vi sono, in particolare: l'aggiornamento dei parametri in base ai quali si determina il colore delle regioni per l'applicazione di misure differenziate di contenimento del contagio; la revisione dei fini e degli ambiti per i quali è richiesta la certificazione verde COVID-19 con efficacia dal 6 agosto 2021; la proroga fino al 31 dicembre 2021 dei termini di una serie di disposizioni legislative contenute nell'allegato 1, già introdotte in relazione alla situazione emergenziale derivante dalla diffusione della pandemia. Il decreto-legge 111/2021, a sua volta, ha previsto misure urgenti per l'esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti.
Il decreto-legge n. 221 del 2021 ha quindi ulteriormente prorogato la vigenza dello stato di emergenza fino al 31 marzo 2022. Dopo il 31 marzo lo stato di emergenza non è stato ulteriormente prorogato. Il decreto-legge n. 24 del 2022 ha invece disciplinato il superamento dello stato di emergenza. A tal fine si prevede che possano essere adottate ordinanze di protezione civile, su richiesta motivata delle Amministrazioni competenti, con efficacia limitata fino al 31 dicembre 2022 al fine di adeguare all'evoluzione dello stato della pandemia da COVID-19 le misure di contrasto in ambito organizzativo, operativo e logistico già emanate, durante lo stato di emergenza (il cui termine scade il 31 marzo 2022), con ordinanze di protezione civile. Tali ordinanze possono contenere misure derogatorie negli ambiti indicati, fermo restando il rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'Unione europea; sono adottate nel limite delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente e sono comunicate alle Camere.
In merito alle fonti normative dell'emergenza si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 37 del 2021 ha fornito alcuni primi chiarimenti sul riparto di competenze legislative tra lo Stato e le regioni sugli interventi di contenimento e contrasto della pandemia, in particolare riconducendo il quadro delle misure di contrasto alla competenza esclusiva statale in materia di profilassi internazionale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera q), della Costituzione. La sentenza segnala inoltre che, nell'affrontare l'epidemia da COVID-19, "il legislatore statale si è affidato ad una sequenza normativa e amministrativa che muove dall'introduzione, da parte di atti aventi forza di legge, di misure di quarantena e restrittive, per culminare nel dosaggio di queste ultime, nel tempo e nello spazio, e a seconda dell'andamento della pandemia, da parte di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri" (considerato in diritto punto 9).
Inoltre, con la sentenza n. 198 del 2021, la Corte, nel rigettare alcune questioni di illegittimità costituzionale, ha ribadito che il decreto-legge n. 19 ha operato una tipizzazione delle misure di contenimento potenzialmente applicabili per la gestione dell'emergenza nell'ambito della fonte primaria. La medesima fonte primaria, prosegue poi la Corte, si limita poi ad autorizzare il Presidente del Consiglio a dare esecuzione, tramite propri decreti, alle misure tipiche ivi previste. Per la Corte, non si prefigura quindi alcuna alterazione del sistema delle fonti.