La legge 7 aprile 2014, n. 56 (cd. ‘legge Delrio') ha dettato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle province, oltre ad una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni. Nel fare ciò, la legge definisce "enti territoriali di area vasta" sia le città metropolitane che le province.
Le città metropolitane sostituiscono le province in dieci aree urbane, i cui territori coincidono con quelli delle preesistenti province, nelle regioni a statuto ordinario: Roma Capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.
Sono organi della città metropolitana:
- il sindaco metropolitano, che è di diritto il sindaco del comune capoluogo;
- il consiglio metropolitano, organo elettivo di secondo grado, per cui hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci ed i consiglieri comunali;
- la conferenza metropolitana, composta da tutti i sindaci dei comuni della città metropolitana.
La legge definisce altresì il contenuto fondamentale dello statuto della città metropolitana.
Per quanto riguarda il riordino delle province, per esse è previsto un assetto ordinamentale analogo a quello della città metropolitana. Sono pertanto organi della provincia: il presidente della provincia (che però è organo elettivo di secondo grado), il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci.
La legge definisce altresì le funzioni fondamentali, rispettivamente, di città metropolitane e province, riconoscendo un contenuto più ampio alle prime, e delinea, con riferimento alle sole province, la procedura per il trasferimento delle funzioni non fondamentali ai comuni o alle regioni.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 50 del 2015, ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale promosse da alcune regioni nei confronti della riforma di cui alla legge 56/2014, relative, principalmente: alla lamentata carenza di competenza legislativa statale per quanto riguarda l'istituzione e la disciplina delle Città metropolitane; al mancato rispetto della procedura prevista dall'art. 133 Cost.
ai fini del mutamento delle circoscrizioni provinciali e della perimetrazione delle Città metropolitane nell'ambito di una Regione; infine, alla scelta di un modello di governo di secondo grado, caratterizzato totalmente da organi elettivi indiretti.
In particolare, la Corte ha riconosciuto che la legge n. 56/2014 "ha inteso realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica, in vista di una semplificazione dell'ordinamento degli enti territoriali, senza arrivare alla soppressione di quelli previsti in Costituzione".
Al momento dell'approvazione della legge Delrio, le novità erano, infatti, introdotte nell'ambito del prefigurato disegno finale di soppressione delle Province quali enti costitutivi della Repubblica, dotati di funzioni loro proprie, con fonte legislativa di rango costituzionale. Con la mancata approvazione della riforma, all'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, resta immutata la collocazione costituzionale delle province, così come riordinate dalla legge n. 56/2014 come enti di area vasta amministrativamente definiti.
Quanto all'infondatezza delle questioni sollevate, la Corte ha riconosciuto che rientra nella competenza legislativa statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p), anche la disciplina delle Città metropolitane, affermando che il "novellato art. 114 Cost., nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l'ente territoriale Città metropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere della sua concreta istituzione. È proprio, infatti, tale esigenza costituzionale che fonda la competenza legislativa statale relativa alla istituzione del nuovo ente, che non potrebbe, del resto, avere modalità di disciplina e struttura diversificate da Regione a Regione, senza con ciò porsi in contrasto con il disegno costituzionale che presuppone livelli di governo che abbiano una disciplina uniforme, almeno con riferimento agli aspetti essenziali". Anche il modello di governo di secondo grado adottato dalla legge n. 56 del 2014 per le neoistituite Città metropolitane e per le province ha superato il vaglio di costituzionalità, avendo ribadito la Corte, sulla scorta di precedente giurisprudenza, la "piena compatibilità di un meccanismo elettivo di secondo grado con il principio democratico e con quello autonomistico, escludendo che il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo del territorio venga meno in caso di elezioni di secondo grado".
Per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, i princìpi della legge valgono come princìpi di grande riforma economica e sociale, in conformità ai rispettivi statuti, nelle regioni Sardegna, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia (art. 1, comma 5, della L. n. 56/2014 ), che sono tenute ad adeguare i propri ordinamenti interni (art. 1, comma 145, L. n. 56/2014
).
In proposito, nella recente sentenza n. 168 del 2018 , la Corte ha avuto modo di chiarire che nei principi di grande riforma economica e sociale vi rientrano le disposizioni sulla elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella legge n. 56 del 2014 e altre previsioni correlate. Secondo la Corte "i previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi «enti di area vasta» sono, infatti, funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell'ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all'elezione diretta". Con la conseguenza che le regioni a statuto speciale, pur nel rispetto della loro autonomia, non possono derogarvi.