Il presente tema web tratta i regimi fiscali che presentano elementi di collegamento con l'estero con riferimento sia alle persone fisiche (disciplina del trattamento fiscale dei redditi percepiti all'estero) sia con riferimento alle persone giuridiche (individuazione del criterio di collegamento con l'ordinamento nazionale, global minimum tax, disciplina concernente il contrasto all'elusione fiscale internazionale).
La qualificazione di un soggetto come residente o non residente ai fini fiscali comporta un diverso criterio di determinazione della base imponibile, la quale è costituita, ai sensi dell'articolo 3 del TUIR, per i primi, da tutti i redditi posseduti, indipendentemente dal luogo di produzione degli stessi (c.d. principio del worldwide income taxation), salvo l'applicazione di eventuali convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito, e, per i non residenti, dai soli redditi prodotti in Italia (c.d. principio di territorialità).
Pertanto, è possibile che uno o più redditi possano essere attratti da duplice tassazione, in Italia e all'estero.
Al fine di evitare ciò, il TUIR, all'articolo 165, riconosce ai contribuenti residenti in Italia un credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero (c.d. foreign tax credit): in particolare, si consente di scomputare dalle imposte dovute quelle assolte all'estero su redditi ivi prodotti. Tale credito d'imposta opera sia ai fini IRPEF sia ai fini IRES.
Invero, l'articolo 163 del TUIR sancisce il principio del divieto di doppia imposizione, in forza del quale la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi. Ne consegue che il credito per le imposte versate all'estero ha la finalità di evitare (o quantomeno attenuare) il fenomeno della doppia imposizione internazionale che si verifica nel caso in cui su un determinato reddito prodotto in uno Stato (Stato della fonte) diverso da quello in cui il contribuente è fiscalmente residente (Stato della residenza) entrambi gli Stati esercitano la propria potestà impositiva. Il legislatore nazionale, al fine di contrastare tale fenomeno, ha, dunque, preferito optare per il meccanismo del credito d'imposta in luogo dell'esenzione del reddito prodotto all'estero.
In sintesi, affinché trovi applicazione il suddetto credito d'imposta, è necessaria la cumulativa sussistenza delle seguenti condizioni:
L'ammontare del credito d'imposta spettante per le imposte assolte all'estero non può eccedere la quota d'imposta corrispondente al rapporto tra il reddito estero e il reddito complessivo netto maturato nel periodo d'imposta di appartenenza. Ai fini del calcolo del credito d'imposta è, pertanto, necessario:
In materia di redditi transnazionali, si evidenzia che l'Italia ha stipulato Convenzioni contro le doppie imposizioni sul reddito (e sul patrimonio) con numerosi Paesi esteri, anche dell'Unione europea.
Le stesse stabiliscono la ripartizione del potere impositivo fra i due Stati contraenti, regolamentando il trattamento fiscale delle singole categorie di reddito.
Tali Accordi, al fine di evitare la doppia imposizione, prevedono due diversi criteri di tassazione, a seconda delle tipologie di reddito interessate. In particolare:
A tale proposito, l'articolo 169 del TUIR sancisce il principio di prevalenza della fonte più favorevole, in forza del quale le disposizioni del TUIR si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione.
Ai fini della individuazione dello Stato legittimato all'esercizio della potestà impositiva assumono rilevanza i criteri di collegamento (concernenti il rapporto tra il presupposto impositivo e lo Stato).
Nello specifico, qualora siano state stipulate convenzioni contro le doppie imposizioni tra l'Italia e lo Stato della fonte del reddito, si adottano i criteri di collegamento ivi definiti. Pertanto, il diritto al credito d'imposta viene riconosciuto in riferimento a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha assoggettato ad imposizione conformemente alla Convenzione. In assenza di un accordo, invece, occorre fare riferimento ai criteri di collegamento indicati dall'articolo 23 del TUIR, al fine di stabilire se un determinato reddito è considerabile come prodotto in Italia.
Tassazione dei redditi prodotti all'estero dai residenti
Per quanto concerne la tassazione dei redditi prodotti all'estero dai soggetti residenti, l'articolo 165, comma 2, del TUIR prevede una lettura a specchio del sopra citato articolo 23, la quale consente l'individuazione di tali redditi distinti per categorie reddituali (salve le eccezioni previste dalla medesima norma e dalle norme convenzionali applicabili). Di conseguenza, si considerano prodotti all'estero:
Peraltro, l'articolo 18 del TUIR esclude dal concorso alla formazione del reddito complessivo del contribuente residente in Italia di taluni redditi di capitale di fonte estera percepiti senza intermediazione di un sostituto d'imposta che, se conseguiti in Italia per il tramite di un sostituto d'imposta, sarebbero stati assoggettati a una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. Di conseguenza, tali redditi sono assoggettati a un'imposta sostitutiva nella medesima misura che sarebbe stata applicata in presenza di un sostituto d'imposta.
Tassazione dei redditi prodotti in Italia dai non residenti
Con riferimento ai soggetti non residenti in Italia, come detto, vige il principio di territorialità, in base al quale essi sono tenuti al versamento dell'imposta limitatamente ai redditi prodotti in Italia. A tale proposito, al fine di determinare se un reddito possa considerarsi prodotto in Italia, vengono individuati dall'articolo 23 del TUIR specifici criteri di collegamento tra le diverse tipologie di reddito e il luogo di produzione dello stesso. Nello specifico:
Sempre con riguardo ai soggetti non residenti, l'articolo 24 del TUIR prevede i criteri di determinazione dell'imposta da essi dovuta sia in caso di tassazione ordinaria sia in caso di tassazione separata. In particolare, il loro reddito è costituito dalla somma dei vari redditi prodotti in Italia ai sensi dell'articolo 23 del TUIR ed è assoggettato a imposizione negli stessi modi previsti per i soggetti residenti. Ciò vale anche per i redditi assoggettati a tassazione separata, i quali, in quanto tali, non concorrono alla formazione del reddito complessivo.
Tuttavia, ai soggetti non residenti, ai sensi dell'articolo 24, commi 2 e 3, del TUIR, non si applicano le norme ordinarie in materia di detrazioni e deduzioni.
Nello specifico, sono ammesse in deduzione solamente le spese relative a:
Quanto agli oneri detraibili, invece, è previsto che siano scomputabili dall'imposta lorda del soggetto non residente le detrazioni per i redditi di lavoro dipendente e assimilato di cui all'articolo 13 del TUIR. Peraltro, sono riconosciute anche le seguenti detrazioni nel limite del 19 per cento o nei limiti massimi di seguito indicati:
Sono, altresì, scomputabili le detrazioni di cui all'articolo 16-bis del TUIR, relative alle spese concernenti gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici.
Lo stesso articolo 24 del TUIR, al comma 3-bis, reca una disciplina speciale per i cc.dd. non residenti Schumacker.
Tali soggetti, infatti, possono applicare le medesime detrazioni, deduzioni ed esclusioni previste per i residenti purché ricorrano le seguenti condizioni:
Le persone fisiche residenti in Italia che detengono all'estero prodotti finanziari, conti correnti e libretti di risparmio, devono versare un'imposta sul loro valore, ovvero l'IVAFE. Per effetto della legge di bilancio 2020 (commi 710 e 711) sono soggetti passivi, oltre alle persone fisiche, anche gli enti non commerciali e le società semplici, residenti in Italia, che sono tenuti agli obblighi di dichiarazione per gli investimenti e le attività previsti dall'articolo 4 del decreto legge n. 167/1990 (c.d. monitoraggio fiscale).
La base imponibile dell'IVAFE è costituita dal valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all'estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (articolo 19, comma 18, del decreto-legge n. 201 del 2011).
L'IVAFE è dovuta proporzionalmente alla quota e al periodo di detenzione e l'aliquota ordinaria è pari al 2 per mille del valore dei prodotti finanziari detenuti all'estero.
Per i conti correnti e i libretti di risparmio l'imposta è stabilita in misura fissa (pari a 34,20 euro per le persone fisiche e a 100 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche).
Nel rispetto del divieto della doppia imposizione, dall'IVAFE si deduce, fino a concorrenza del suo ammontare, un credito d'imposta pari all'ammontare dell'eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui sono detenuti i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio.
La legge di bilancio 2024 (art. 1, comma 91) ha elevato l'aliquota d'imposta al 4 per mille del valore dei prodotti finanziari, se detenuti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato individuati dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 4 maggio 1999
Le persone fisiche residenti in Italia che possiedono immobili all'estero, a qualsiasi uso destinati, hanno l'obbligo di versare l'IVIE (Imposta sul valore degli immobili situati all'estero), istituita e disciplinata dall'articolo 19, comma 15 del decreto-legge n. 201 del 2011 e successivamente modificata dalla legge di bilancio 2020 (commi 710 e 711 della legge n. 160 del 2019).
In particolare, l'imposta è dovuta dai:
A decorrere dal 2020, sono soggetti passivi di tali imposte, oltre alle persone fisiche, anche gli enti non commerciali e le società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, residenti in Italia, che sono tenuti agli obblighi di dichiarazione per gli investimenti e le attività previsti dall'articolo 4 del decreto-legge n. 167 del 1990.
La legge di bilancio 2024 (articolo 1, comma 91) ha elevato l'aliquota d'imposta dallo 0,76 per cento all'1,06 per cento per cento del valore degli immobili.
L'imposta è calcolata in proporzione alla quota di possesso e ai mesi dell'anno nei quali il possesso c'è stato (viene conteggiato per intero il mese nel quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni). Il versamento non è dovuto se l'importo complessivo (calcolato a prescindere da quote e periodo di possesso e senza tenere conto delle detrazioni previste per lo scomputo dei crediti di imposta) non supera i 200 euro. In questo caso, il contribuente non deve neanche indicare i dati relativi all'immobile nel quadro RM della dichiarazione dei redditi, fermo restando l'obbligo di compilazione del modulo RW2.
La legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 16, della legge n. 208 del 2015) è intervenuta sulla disciplina dell'imposta gravante sull'immobile all'estero adibito ad abitazione principale del contribuente e sulle relative pertinenze, allineando tale disciplina a quella dell'IMU, con esenzione della c.d. prima casa e degli immobili assimilati, fatta eccezione per l'imposta sui cc.dd. immobili di lusso, con detrazione di 200 euro e applicazione di un'aliquota ridotta allo 0,4 per cento. Nel caso di immobile adibito ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascun soggetto in proporzione alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Dall'IVIE è possibile dedurre l'eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui è situato l'immobile.
Nel corso della XIX legislatura, con due diversi interventi normativi è stato aggiornato il regime speciale di tassazione del reddito dei lavoratori frontalieri con la Svizzera.
La medesima disposizione della Convenzione rinvia espressamente all'Accordo tra l'Italia e la Svizzera relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri del 1974, sostituito dal nuovo Accordo del 23 dicembre 2020, oggetto di ratifica a seguito di autorizzazione con la legge n. 83 del 2023 per quanto concerne il regime fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri.
In primo luogo, con riferimento al regime fiscale cui sono soggetti i lavoratori frontalieri, nel corso della legislatura è stato esaminato il disegno di legge di ratifica del nuovo Accordo del 23 dicembre 2020, (divenuto la legge n. 83 del 2023). Tale accordo è entrato in vigore il 17 luglio 2023 ed è applicabile a partire dal 1° gennaio 2024.
In merito agli aspetti generali, le disposizioni dell'intesa bilaterale prevedono innanzitutto il principio di reciprocità. A differenza del precedente accordo del 1974, che regolava unicamente il trattamento dei lavoratori frontalieri italiani che lavoravano in Svizzera, l'Accordo del 2020 disciplina anche il trattamento dei frontalieri svizzeri che lavorano in Italia.
Quanto al metodo di imposizione, il nuovo Accordo del 2020 stabilisce il metodo della tassazione concorrente, che attribuisce i diritti di imposizione sia allo Stato di residenza del lavoratore frontaliero sia allo Stato della fonte del reddito da lavoro dipendente. In particolare, i salari sono imponibili nel Paese di svolgimento dell'attività lavorativa, ma entro il limite dell'80 per cento dell'imposta sui redditi delle persone fisiche che, in base alla normativa interna, è applicabile nel Paese medesimo, ivi incluse le imposte locali sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza, a sua volta, applica le proprie imposte sui redditi ed elimina la doppia imposizione relativamente alle imposte prelevate Stato di svolgimento dell'attività lavorativa. L'Italia, in particolare, provvede a eliminare la doppia imposizione riconoscendo al lavoratore italiano, ai sensi dell'articolo 165 del TUIR, un credito d'imposta per quanto versato in Svizzera.
Il regime transitorio e le divergenze interpretative sull'identificazione dei cc.dd. vecchi frontalieri
Il nuovo Accordo prevede un regime fiscale transitorio per quei lavoratori che alla data della sua entrata in vigore (17 luglio 2023) oppure tra il 31 dicembre 2018 e la data medesima già svolgevano un'attività di lavoro dipendente nell'area di frontiera in Svizzera per un datore di lavoro ivi residente, una stabile organizzazione o una base fissa svizzere. Tale regime transitorio mantiene ferma l'applicazione del metodo di tassazione esclusiva nel Paese di svolgimento dell'attività lavorativa (la Svizzera per quanto riguarda i lavoratori frontalieri residenti in Italia).
Pertanto, per effetto dell'entrata in vigore del nuovo Accordo, emerge un differente trattamento fiscale tra i cc.dd. nuovi frontalieri, cioè coloro i quali entrano nel mercato del lavoro come frontalieri successivamente alla data di entrata in vigore del nuovo Accordo e i cc.dd. vecchi frontalieri, ossia i soggetti residenti in Italia che lavorano o hanno lavorato nei Cantoni dei Grigioni, del Ticino o del Vallese nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2018 e la predetta data.
Tuttavia, per quanto concerne la nozione di vecchio frontaliere è emersa una questione interpretativa. Ciò in quanto, fin dalla vigenza del precedente Accordo del 1974, esiste una discrasia interpretativa tra Italia e Svizzera in merito alla definizione di lavoratore frontaliere.
Invero, per l'Italia, come confermato anche dalla Agenzia delle Entrate con la risoluzione 38/E del 28 marzo 2017 e come emerge, altresì, dall'articolo 2 del nuovo Accordo del 2020, per frontaliere si intende il soggetto fiscalmente residente in un comune situato, totalmente o parzialmente, nella zona di venti chilometri dal confine svizzero, senza, dunque, l'ulteriore requisito che il comune sia limitrofo al Cantone in cui lavora il frontaliere (c.d. Cantone frontista). Per la Svizzera, invece, frontaliere è esclusivamente colui che vive in un comune posto entro i venti chilometri dal confine tra l'Italia e il Cantone specifico.
Pertanto, alla luce dell'entrata in vigore dell'Accordo del 2020, istitutivo di un nuovo e speciale regime fiscale per i cc.dd. nuovi frontalieri, tale divergenza esegetica in merito alla nozione di frontaliere ha influito sulla problematica inerente alla qualificazione di vecchio frontaliere, il quale, come detto, non rientra nel campo di applicazione del nuovo regime impositivo, ma continua a essere assoggettato a tassazione esclusivamente in Svizzera.
La diversità di vedute tra Italia e Svizzera, concretizzatasi nella mancata inclusione negli elenchi predisposti dai Cantoni svizzeri di diversi comuni italiani situati entro i venti chilometri dal confine svizzero i cui residenti lavoratori frontalieri hanno sempre assolto le imposte esclusivamente in Svizzera, avrebbe potuto fare emergere un rischio di discriminazione in punto di trattamento fiscale per coloro che, ai sensi della interpretazione italiana di frontaliere, sarebbero rientrati nel novero di vecchi frontalieri, ma che, invece, secondo l'interpretazione elvetica, sarebbero stati qualificati come nuovi frontalieri, con conseguente assoggettamento al nuovo regime fiscale di cui all'articolo 3 dell'Accordo del 2020 in luogo della tassazione esclusiva da parte dell'erario elvetico.
L'istituzione del regime fiscale opzionale per i lavoratori frontalieri esclusi dalla definizione di vecchi frontalieri in ragione dell'Accordo del 2020
In secondo luogo, con l'articolo 6 del decreto-legge n. 113 del 2024 è stato istituito, a decorrere dal periodo d'imposta 2024, un nuovo regime fiscale opzionale per lavoratori frontalieri residenti nei comuni italiani situati nella zona di venti chilometri dal confine svizzero che, in base al nuovo Accordo tra l'Italia e la Svizzera del 2020, sono considerati nuovi frontalieri.
Nello specifico, tale regime si sostanzia nell'applicazione, sui redditi da lavoro dipendente percepiti in Svizzera, di una imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali pari al 25 per cento delle imposte applicate nel Paese elvetico sui medesimi redditi, senza diritto al credito d'imposta in Italia.
Affinché tale regime sia applicabile, è necessario che ricorrano le seguenti condizioni:
Regime transitorio in materia di telelavoro per i lavoratori frontalieri
La legge di bilancio 2025 (articolo 1, comma 97) ha previsto che, nelle more della ratifica ed entrata in vigore del Protocollo di modifica (firmato a Roma e a Berna, rispettivamente, il 30 maggio e il 6 giugno 2024) dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri, fatto a Roma il 23 dicembre 2020, i lavoratori frontalieri, inclusi coloro che beneficiano del regime transitorio previsto dall'articolo 9 dell'Accordo medesimo, possono svolgere, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2024 e la data di entrata in vigore del predetto Protocollo, fino al 25 per cento della loro attività di lavoro dipendente in modalità di telelavoro presso il proprio domicilio nello Stato di residenza senza che ciò comporti la perdita dello status di lavoratore frontaliere.
Ai fini dell'applicazione dell'articolo 3 dell'Accordo, l'attività di lavoro dipendente svolta dal lavoratore frontaliere in modalità di telelavoro presso il proprio domicilio nello Stato di residenza, fino a un massimo del 25 per cento del tempo di lavoro, si considera effettuata nell'altro Stato contraente presso il datore di lavoro.
Inoltre, sempre la legge di bilancio 2025 (articolo 1, comma 98), mediante una norma di interpretazione autentica, ha chiarito che quanto disposto dall'articolo 51, comma 8-bis, del TUIR, secondo cui il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge n. 317 del 1987, si applica anche ai redditi di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro medesimo, percepiti da tali lavoratori frontalieri che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni ritornando in Italia al proprio domicilio una volta alla settimana.
L'assoggettamento all'imposta sul reddito delle società - IRES dipende tra l'altro dalla residenza del soggetto passivo dell'imposta in Italia.
Con il decreto legislativo n. 209 del 2023, emanato in attuazione della delega fiscale, (articolo 2) è stata modificata la normativa in materia di residenza delle società e degli enti prevista all'articolo 73 del Testo unico dell'imposta sui redditi. Si prevede che si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l'ente nel suo complesso. Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l'ente nel suo complesso.
Con Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in continuità con le previsioni della normativa previgente, rimane invariato il criterio formale della sede legale in Italia, mentre i criteri della sede dell'amministrazione (sostituito dai criteri di sede di direzione effettiva e di gestione ordinaria in via principale) e dell'oggetto principale (foriero di controversie e incertezze interpretative) sono stati eliminati. Restano altresì immutate, da un lato, la regola dell'alternatività dei tre criteri, essendo sufficiente la ricorrenza di uno solo di essi per configurare la residenza in Italia; dall'altro, la necessità che la sussistenza del criterio si protragga per la maggior parte del periodo d'imposta. Nel documento si precisa che le nuove regole di individuazione della residenza fiscale sono in vigore dal 1° gennaio 2024, per le società e gli enti aventi l'esercizio sociale coincidente con l'anno solare ovvero dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 29 dicembre 2023, per le società e gli enti con esercizio sociale non coincidente con l'anno solare.
Nonostante la coerenza dei nuovi criteri con l'ordinamento internazionale, l'Agenzia delle Entrate non esclude che possano manifestarsi fenomeni di doppia residenza (con conseguente doppia imposizione). In tali casi, l'Agenzia segnala la presenza, nell'ambito delle Convenzioni concluse dall'Italia, di una regola di risoluzione dei conflitti che prevede l'attribuzione della residenza allo Stato contraente in cui è collocato il place of effective management.
Sotto un diverso profilo, al fine di individuare i redditi delle imprese non residenti in Italia che sono tuttavia tassati all'interno del Paese, rileva la nozione di stabile organizzazione, di cui all'articolo 162 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi - TUIR (di cui al D.P.R. n. 917 del 1986).
Non è invece compreso nel concetto di stabile organizzazione:
Salvo prova contraria, si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato le società ed enti che detengono partecipazioni di controllo nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 73 (vedi supra), se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato. A tal fine rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Salvo prova contraria, si considerano residenti nel territorio dello Stato le società o enti il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio immobiliari, e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo è individuato anche per partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società.
Ai fini della tassazione dei redditi d'impresa, la legge di bilancio 2023 (articolo 1, comma 255) ha introdotto nell'ordinamento italiano il cosiddetto Investment Management Exemption ossia alcune disposizioni volte a chiarire (integrando le previsioni dell'articolo 162 del TUIR) le condizioni secondo le quali non si configura una stabile organizzazione in Italia, da cui discende l'applicazione della normativa fiscale, di un veicolo d'investimento non residente che opera sul territorio nazionale tramite un soggetto indipendente che svolge, per suo conto, l'attività di gestione di investimenti (asset manager).
Il decreto legislativo n. 209 del 27 dicembre 2023 (AG. 90) di recepimento della delega fiscale in materia di fiscalità internazionale reca un complesso di disposizioni che impattano su numerosi aspetti relativi alla fiscalità internazionale.
Con riferimento alla tassazione del settore produttivo, si rileva che esso ha anzitutto recepito la direttiva n. 2022/UE/2523 sulla global minimum tax, avente lo scopo di porre in essere meccanismi volti a garantire un'imposizione minima per le grandi imprese multinazionali. L'iniziativa introduce un sistema coordinato di regole rivolte ai grandi gruppi multinazionali finalizzate ad assicurare che gli stessi scontino un livello impositivo minimo di almeno il 15%, in relazione ai redditi prodotti in ogni Paese in cui operano, attraverso l'introduzione di regole sull'imposizione integrativa.
Sotto un diverso profilo, il provvedimento modifica le norme in materia di controlled foreign companies (CFC), di cui all'articolo 167 del TUIR, in particolare intervenendo sui criteri di determinazione dell'imponibile assoggettato a tassazione in Italia, anche per coordinare la normativa nazionale alla predetta global minimum tax.
Per garantire un livello impositivo minimo dei gruppi multinazionali o nazionali di imprese si prevede un'imposizione integrativa prelevata, in Italia, attraverso:
In tal senso, la riforma interviene sulla prima condizione (i.e. livello di tassazione estero) del regime delle CFC, modificando la disciplina di riferimento nei termini che seguono.
Si considerano controllate estere CFC - con conseguente imputazione per trasparenza, in capo al soggetto residente in Italia, dei redditi nell'esercizio in cui sono prodotti - i soggetti controllati non residenti che integrano congiuntamente le seguenti condizioni:
In alternativa alla verifica del tax rate, il soggetto residente può optare per il versamento di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 15% dell'utile contabile netto dell'esercizio per ciascuna società controllata estera con passive income di oltre un terzo dei proventi e bilancio soggetto a revisione e certificazione professionale. L'opzione ha efficacia per 3 esercizi del soggetto controllante e, salvo revoca, si rinnova tacitamente. Le modalità di comunicazione dell'esercizio dell'opzione o dell'eventuale revoca sono definite con Provvedimento 30 aprile 2024 del direttore dell'Agenzia delle entrate.
Nell'ambito della riforma, inoltre, si introduce una norma di carattere generale che consente di applicare gli incentivi fiscali, compresi quelli già vigenti, in favore dei titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo aventi la sede o la stabile organizzazione in Italia solo se compatibili con la normativa europea in materia di aiuti di Stato e se debitamente autorizzati dalla Commissione.
Si introduce, altresì, un'agevolazione fiscale per incentivare il trasferimento delle attività economiche in Italia (c.d. "reshoring").
Più precisamente, si riconosce un'esenzione, ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP, pari al 50% del reddito derivante da attività di impresa e dall'esercizio di arti e professioni in forma associata, svolte in un Paese estero non appartenente all'Unione europea o allo Spazio economico europeo, trasferite nel territorio dello Stato nel periodo di imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento e nei 5 periodi di imposta successivi. A tal fine, è necessario mantenere seperate evidenze contabili.
Sono previsti dei limiti all'applicazione di tale agevolazione fiscale: (i) decadenza e conseguente meccanismo di recupero delle imposte non pagate - e relativi interessi - nel caso in cui l'attività economica trasferita venga successivamente trasferita fuori dal territorio dello Stato nei 5 periodi d'imposta (10, in caso di grandi imprese); (ii) esclusione dell'agevolazione delle attività economiche esercitate nel territorio dello Stato nei 24 mesi antecedenti il loro trasferimento e (iii) efficacia della misura subordinata, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'autorizzazione della Commissione europea.
Per maggiori approfondimenti sulla riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, si rinvia al dossier di documentazione.
Le norme applicabili ai contribuenti che operano o risiedono in Paesi non cooperativi a fini fiscali ovvero in Paesi a fiscalità privilegiata, ossia quei Paesi che non consentono un adeguato scambio di informazioni e/o presentano un livello di tassazione basso, è molto articolata, presentando alcune differenze in relazione alle diverse fattispecie disciplinate. In particolare rilevano:
a) le disposizioni relative alla residenza delle persone fisiche
Si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 4 maggio 1999 (articolo 1, comma 2-bis, del TUIR).
b) le disposizioni concernenti l'indeducibilità componenti negativi di reddito per i soggetti passivi IRES
A decorrere dal 1° gennaio 2023, le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese localizzate in tali Paesi o territori non cooperativi ai fini fiscali di cui alla lista UE sono deducibili nei limiti del loro valore normale (nuovo comma 9-bis, dell'articolo 110 del TUIR, inserito dall'articolo 1, comma 84, della legge 29 dicembre 2022, n. 197).
L'8 ottobre 2024 il Consiglio ha adottato la lista UE delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali, nel cui elenco figurano 11 Paesi.
c) le disposizioni in materia di regimi fiscali privilegiati con riferimento ai redditi da capitali
Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del TUIR, si considerano regimi fiscali privilegiati di Stati o territori diversi da quelli appartenenti all'Unione europea e da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l'Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni qualora:
Tale disposizione viene richiamata in diverse norme del TUIR al fine di determinare il regime applicabile alle fattispecie rientranti nell'ambito applicativo di questa disposizione.
d) le disposizioni in materia di imprese estere controllate (cosiddette CFC) applicabili sia ai soggetti passivi IRPEF sia ai soggetti passivi IRES
Nell'ambito di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, il regime delle "CFC" (Controlled Foreign Companies ossia le imprese estere controllate), di cui all'articolo 167 del TUIR, è stato nuovamente modificato dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 209 del 2023.
Tale regime prevede l'imputazione del reddito realizzato dal soggetto controllato non residente al soggetto controllante residente o localizzato in Italia, in proporzione alla quota di partecipazione da questi (direttamente o indirettamente) detenuta, laddove – in assenza di esimenti – il soggetto controllato non residente integri congiuntamente le seguenti condizioni:
In alternativa, i soggetti controllanti possono optare per l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 15 per cento sull'utile contabile netto dell'esercizio della controllata non residente, a condizione che il bilancio di esercizio di quest'ultima sia oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione. L'opzione è irrevocabile ed ha durata di tre esercizi.
e) la disciplina riguardante il regime fiscale degli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati
Il regime di esenzione dall'imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari è applicabile ai soggetti percettori residenti in Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (articolo 6 del decreto legislativo n. 239 del 1996).
A tal fine, l'elenco degli Stati e territori che assicurano, sulla base di convenzioni, uno scambio di informazioni (cd. "white list") è stato approvato con il decreto del decreto del ministero delle Finanze del 4 settembre 1996.
Per un approfondimento sulle singole di disposizioni normative di cui sopra, si rinvia al relativo focus.
La legge di bilancio 2023 ripristinati alcuni limiti alla deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti residenti, ovvero localizzati in Stati non cooperativi ai fini fiscali (commi 84-86);