segnalazione 2 febbraio 2021
Studi - Giustizia Corte di Giustizia UE: abusi di mercato e diritto al silenzio dell'incolpato

La Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione), con la sentenza del 2 febbraio 2021, causa C-481/19 (DB contro CONSOB) si è pronunciata su una questione pregiudiziale proposta dalla Corte costituzionale e concernente la sanzionabilità di una persona fisica incolpata di abusi di mercato per non aver collaborato con le autorità competenti (cfr. Doc XIX, n. 118).

La questione era stata posta dalla Consulta, chiamata a giudicare della legittimità costituzionale dell'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 fino a 5 milioni di euro per la persona fisica che "non ottempera nei termini alle richieste della Banca d'Italia e della Consob, ovvero non coopera con le medesime autorità al fine dell'espletamento delle relative funzioni di vigilanza, ovvero ritarda l'esercizio delle stesse". Era accaduto, infatti, che una persona, incolpata di abusi di mercato, si fosse vista infliggere dalla Consob una sanzione pecuniaria di 50.000 euro per essersi rifiutata di rispondere alle domande dell'autorità di vigilanza nell'ambito di una audizione alla quale era stato convocata nella sua qualità di persona informata dei fatti.

Essendo stato l'art. 187-quinquies del TU introdotto nell'ordinamento giuridico italiano in esecuzione di un obbligo specifico imposto dalla disciplina dell'Unione europea (Direttiva 2003/6/CE e Regolamento UE n. 596/2014), la Corte costituzionale ha chiesto alla CGUE di verificare la compatibilità di tali disposizioni con gli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che invece riconoscono il diritto al silenzio, al pari di quanto fatto dall'art. 6 della CEDU e dalla Costituzione italiana.

In particolare, la Corte costituzionale ricorda che secondo la giurisprudenza della CEDU, il diritto al silenzio, scaturente dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, risulta violato quando dei soggetti vengono sanzionati dal diritto nazionale per non aver risposto alle domande delle autorità amministrative nell'ambito di procedimenti di accertamento di violazioni amministrative punibili con sanzioni a carattere penale (Corte EDU, 3 maggio 2001, J.B. c. Svizzera; 4 ottobre 2005, Shannon c. Regno Unito; 5 aprile 2012, Chambaz c. Svizzera).

La Corte di giustizia UE, dopo aver ricordato che iI diritto al silenzio non può ragionevolmente essere limitato alle confessioni di illeciti o alle osservazioni che chiamino direttamente in causa la persona interrogata, bensì comprende anche le informazioni su questioni di fatto che possano essere successivamente utilizzate a sostegno dell'accusa ed avere così un impatto sulla condanna o sulla sanzione inflitta a tale persona, ha affermato che tra le garanzie che discendono dall'articolo 47, secondo comma, e dall'articolo 48 della Carta dei diritti dell'Unione europea, e al cui rispetto sono tenuti sia le istituzioni dell'Unione sia gli Stati membri allorché attuano il diritto dell'Unione, figura, segnatamente, il diritto al silenzio di una persona fisica «imputata» ai sensi dell'art. 48. Tale diritto osta, in particolare, a che tale persona venga sanzionata per il suo rifiuto di fornire all'autorità competente a titolo della direttiva 2003/6 o del regolamento n. 596/2014 risposte che potrebbero far emergere la sua responsabilità.

La Corte ha dunque concluso che la direttiva 2003/6/CE, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e il regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare la persona fisica che, nell'ambito di un'indagine svolta nei suoi confronti dall'autorità competente in attuazione della suddetta disciplina europea, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.