Con la sentenza n. 5 del 2021 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge regionale del Veneto n. 25 del 2019, che dettava specifiche disposizioni in tema di sanzioni amministrative in materie di competenza esclusiva regionale.
La legge regionale censurata vietava l'irrogazione di sanzioni amministrative in tali materie, laddove non fosse consentita la previa «regolarizzazione degli adempimenti o la rimozione degli effetti della violazione da parte del soggetto interessato», e demandava poi alla Giunta regionale la definizione della «tipologia della violazione» e degli «adempimenti che la regolarizzazione o la rimozione degli effetti della violazione comportano», nonché l'individuazione delle fattispecie per le quali non è possibile ricorrere alla regolarizzazione degli adempimenti o rimozione degli effetti.
Quanto al primo profilo, ovvero alla possibilità di accedere sempre a una regolarizzazione dell'illecito evitando la sanzione, con conseguente irragionevolezza della previsione di una disciplina sanzionatoria e connesso pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione, la Corte ha respinto le censure affermando che «il sindacato della Corte – al metro degli evocati artt. 3 e 97 Cost. – non può che cedere il passo alla discrezionalità del legislatore, in questo caso regionale, nell'individuazione dei meccanismi sanzionatori che meglio garantiscano, secondo le (non irragionevoli) valutazioni del legislatore medesimo, la tutela degli interessi sottostanti alle norme amministrativamente sanzionate [...]. Scelte legislative siffatte corrispondono a legittime opzioni di politica criminale o di politica sanzionatoria, che questa Corte ha il dovere di rispettare, nella misura in cui non trasmodino nella manifesta irragionevolezza o non si traducano – nella materia delle sanzioni amministrative – in un evidente pregiudizio al principio del buon andamento dell'amministrazione; ciò che appare da escludere rispetto a una disciplina come quella in questa sede all'esame».
Quanto invece al secondo profilo, ovvero al rinvio da parte della legge regionale a successivi provvedimenti della Giunta per la determinazione degli adempimenti che consentono la regolarizzazione, nonché per gli illeciti che non si prestano a tale regolarizzazione, la Corte ha ritenuto la legge regionale del Veneto incostituzionale, per violazione della riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost. La Corte costituzionale ha infatti affermato che, «anche rispetto al diritto sanzionatorio amministrativo – di fonte statale o regionale che sia – si pone, in effetti, un'esigenza di predeterminazione legislativa dei presupposti dell'esercizio del potere sanzionatorio, con riferimento sia alla configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, sia alla tipologia e al quantum della sanzione stessa, sia – ancora – alla struttura di eventuali cause esimenti. E ciò per ragioni analoghe a quelle sottese al principio di legalità che vige per il diritto penale in senso stretto, trattandosi, pure in questo caso, di assicurare al consociato tutela contro possibili abusi da parte della pubblica autorità (sentenza n. 32 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto): abusi che possono radicarsi tanto nell'arbitrario esercizio del potere sanzionatorio, quanto nel suo arbitrario non esercizio [...] Tutto ciò impone che a predeterminare i presupposti dell'esercizio del potere sanzionatorio sia l'organo legislativo (statale o regionale), il quale rappresenta l'intero corpo sociale, consentendo anche alle minoranze, nell'ambito di un procedimento pubblico e trasparente, la più ampia partecipazione al processo di formazione della legge (sentenza n. 230 del 2012); mentre tale esigenza non può ritenersi soddisfatta laddove questi presupposti siano nella loro sostanza fissati da un atto amministrativo, sia pure ancora di carattere generale. [...] Tale principio implica dunque che – laddove la legge rinvii a un successivo provvedimento amministrativo generale o ad un regolamento – sia comunque la legge stessa a definire i criteri direttivi destinati a orientare la discrezionalità dell'amministrazione (sentenza n. 174 del 2017; in senso analogo, sentenze n. 83 del 2015 e n. 435 del 2001)».