Nell'ambito dell'Osservatorio di politica internazionale, è stato pubblicato il Focus n. 12 "Mediterraneo allargato" curato dall'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale - ISPI
EXECUTIVE SUMMARY
L'area del Mediterraneo allargato continua a essere teatro di forte instabilità politica, spesso strettamente correlata a quella economica.
A partire dalla fine del 2019 la crisi siriana ha subito una escalation del livello di conflittualità. L'allargamento delle aree del nord siriano sotto il controllo turco e delle milizie ribelli fedeli ad Ankara dopo l'operazione "Peace Spring" dell'ottobre 2019, e il concomitante parziale ritiro delle truppe statunitensi dalla stessa area, hanno spinto il regime di Bashar al-Assad a intraprendere una nuova offensiva nella zona di Idlib, al fine di eliminare l'ultimo bastione territoriale dell'opposizione armata e di evitare che esso possa consolidarsi come un'ulteriore area di influenza turca nel paese.
La Turchia, preoccupata per una nuova ondata di profughi verso i propri confini, ha reagito con fermezza alle avanzate del regime. A questo già complesso scenario, si aggiunge una crisi economica senza precedenti dall'inizio del conflitto che ha colpito le aree della Siria sotto il controllo del regime.
Più a sud, le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) sembrano orientarsi verso un nuovo equilibrio regionale. Mentre si registra qualche passo in avanti nella crisi tra Arabia Saudita-Eau-Bahrein e Qatar, in Oman si è insediato il nuovo sultano dopo la morte di Qaboos bin Said al-Said, al potere dal 1970.
Lo scenario che stenta però a fare passi in avanti risulta essere quello dello Yemen. Il 5 novembre il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen e i secessionisti meridionali del Consiglio di transizione del sud hanno siglato a Riyadh un accordo di condivisione del potere, con l'Arabia Saudita nelle vesti di garante dell'intesa. Tuttavia, nonostante una significativa riduzione delle ostilità in autunno, la crescita della violenza e l'inasprirsi della guerriglia nel mese di gennaio 2020 hanno reso evidenti i limiti della diplomazia "a segmenti", cioè focalizzata su specifiche aree territoriali e quindi slegata da una cornice nazionale, che non è altro che il sintomo dellosfaldamento istituzionale e politico del paese.
Sull'altra sponda del Golfo, in Iran, si assiste al peggioramento delle già problematiche relazioni con gli Stati Uniti. L'uccisione del generale iraniano Qas sem Soleimani da parte americana a inizio gennaio ha infatti prodotto una serie di conseguenze, e rischia di dare origine a una nuova ondata di instabilità regionale nel lungo termine, oltre che di avere effetti sulla tenuta dell'accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action-JCPOA). In seguito all'abbattimento di un aereo passeggeri decollato da Teheran nella notte dell'attacco alle basi Usa, effettuato in rappresaglia all'uccisione di Soleimani, l'Iran ha assistito a nuove proteste di piazza, dopo che le precedenti proteste di novembre erano state duramenterepresse. È questo il contesto, altamente instabile e con un'economia stremata dalle sanzioni imposte da Washington, che fa da cornice alle elezioni parlamentari del 21 febbraio.
Le rinnovate tensioni tra Iran e Usa, principali partner internazionali dell'Iraq, hanno toccato anche quest'ultimo, già politicamente instabile al suo interno. Dallo scorso ottobre il paese è attraversato da una grande ondata di proteste contro la corruzione della classe dirigente, la disoccupazione giovanile, l'aumento del carovita e le continue ingerenze straniere negli affari interni del paese, che hanno portato alle dimissioni del primo ministro Abdul Mahdi, sostituito a inizio febbraio da Mohammad Tawfiq Allawi, il quale avrà il compito di formare un esecutivo in grado di portare il paese verso nuove elezioni anticipate. Permangono comunque diverse incognite, legate anche alla diffidenza delle piazze verso Allawi.
Sempre a ottobre, anche in Libano è iniziata un'intensa stagione di proteste in piazza contro il deterioramento delle condizioni di vita. La grave delegittimazione del sistema politico a seguito dell'inizio del movimento di protesta, non arrestatosi neanche con l'elezione del nuovo governo a gennaio, ha reso evidenti le fragilità del sistema economico libanese, strettamente legato al potere politico, esacerbando la crisi economica a un livello senza precedenti dalla fine della guerra civile.
In Israele, lo scenario politico rimane fortemente instabile sia a causa del ritorno alle urne per la terza volta in un anno (previsto per il 2 marzo) sia per il problema di legittimità creatosi intorno alla figura del premier uscente Benjamin Netanyahu, accusato di corruzione, frode e violazione della fiducia, e le cui sorti rimangono incerte. Sul piano regionale e internazionale, il Piano dell'amministrazione Trump per il Medio Oriente, annunciato a fine gennaio, ha monopolizzato l'attenzione politica e l'opinione pubblica nazionale, offrendo al premier un elemento favorevole da poter utilizzare in campagna elettorale.
Sul versante nordafricano, dopo una lunga fase di stallo politico, in Algeria si è formato un nuovo governo. Sebbene il neopresidente Abdelmadjid Tebboune, eletto a dicembre, abbia avviato una serie di iniziative per riconquistare la fiducia dei cittadini e si sia mostrato aperto a un dialogo con il movimento di protesta, che ha attraversato il paese nell'ultimo anno, vi sono tuttavia forti segnali di continuità con la precedente amministrazione. Nel quadro di un contesto politico del tutto incerto e una classe dirigente delegittimata agli occhi della popolazione, l'Algeria si ritrova a dover affrontare una serie di sfide anche sul piano economico e fiscale.
In Egitto, l'approvazione degli emendamenti costituzionali ha ratificato in maniera formale il controllo dell'esecutivo sugli organi giudiziari e l'accentramento dei poteri nelle mani del presidente, e ha affidato l'intero processo di securitizzazione dello stato alla compagine militare. Le prossime sfide della presidenza di Abdel Fattah al-Sisi saranno le elezioni amministrative e parlamentari che
si dovrebbero tenere rispettivamente all'inizio e al termine del 2020, oltre alle sfide sul piano economico e al tentativo di assumere un ruolo di hub energetico regionale.
Dallo scorso settembre la Tunisia è entrata in una delle fasi più delicate del suo percorso politico e istituzionale. Le elezioni presidenziali che si sono svolte tra settembre e ottobre 2019 hanno portato alla vittoria di Kais Saied, personaggio politico di stampo conservatore e difficilmente categorizzabile in schemi tradizionali. Sebbene sul fronte della sicurezza interna vi sia un netto miglioramento, la questione libica rimane una fonte maggiore di preoccupazione per il paese.
Il caso libico dimostra la profonda polarizzazione della comunità internazionale. La situazione già complessa a causa del conflitto in corso è ulteriormente esacerbata dalle posizioni prese dagli attori internazionali coinvolti, con una crescente esposizione della Turchia (coadiuvata dal Qatar), a favore del Governo di accordo nazionale di Serraj, e di Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti a favore dell'Esercito nazionale libico di Haftar. Le Nazioni Unite non possono contare su una comunità compatta nella propria azione di mediazione; tuttavia, sono stati intrapresi alcuni passi diplomatici verso questa direzione, come la Conferenza di Berlino del 19 gennaio e i Libya's 5+5 talks iniziati a Ginevra a inizio febbraio.
L'Osservatorio di politica internazionale è un progetto di collaborazione tra Senato della Repubblica, Camera dei deputati e Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, che si avvale del contributo di Istituti di studi internazionalistici per la realizzazione di studi e documentazioni a supporto dell'attività parlamentare. Tutti i prodotti dell'Osservatorio sono disponibili in formato PDF sul sito del Parlamento .