tema 30 settembre 2020
Studi - Istituzioni Interventi sul procedimento amministrativo

Negli ultimi anni è stato approvato un pacchetto di riforme della disciplina del procedimento amministrativo, animato dall'intento di semplificare l'organizzazione della pubblica amministrazione, rendendo più agevoli e trasparenti le regole che ne disciplinano i rapporti con il privato cittadino, le imprese e i suoi dipendenti. Gli interventi di riforma hanno riguardato la disciplina della conferenza di servizi, il regime delle autorizzazioni amministrative e la segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA), i termini dei procedimenti, nonché la disciplina dell'autotutela amministrativa (revoca, sospensione, annullamento d'ufficio degli atti amministrativi). Tra le novità di rilievo, vi è anche l'introduzione del meccanismo del silenzio-assenso nei rapporti tra amministrazioni o tra amministrazioni e gestori di beni o servizi pubblici.

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La legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni (legge n. 124/2015) ha introdotto alcune disposizioni volte a semplificare i procedimenti amministrativi in favore dei cittadini e delle imprese. Con tale finalità, in particolare, la delega ha previsto (art. 5):

  1. la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;
  2. l'introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa. Per espressa previsione del legislatore delegante, tale disciplina deve includere: le modalità di presentazione e i contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica; gli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti; l'obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all'atto della presentazione di un'istanza, i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda.

In sede di attuazione, sono stati adottati due decreti legislativi.

Il primo di essi (D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 126) contiene alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione espressa (c.d. SCIA 1). Le novità principali sono tre.

In primo luogo, viene rafforzato l'obbligo per le amministrazioni di predisporre moduli unificati e standardizzati che definiscono, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni alle pubbliche amministrazioni, nonché i contenuti della documentazione da allegare. E' introdotto l'obbligo di pubblicare sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione sia i moduli, sia l'elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell'Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione.

In secondo luogo, il decreto introduce norme generali sulle modalità di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni: in particolare, è introdotto l'obbligo per le amministrazioni di rilasciare una ricevuta dell'avvenuta presentazione dell'istanza, comunicazione o segnalazione, anche in via telematica.

La terza novità è rappresentata dalla introduzione di una disciplina per le ipotesi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche,ovvero atti di assenso o pareri da parte di altre amministrazioni. Per evitare che la stessa SCIA diventi più complicata del procedimento ordinario a causa dei numerosi atti presupposti, lo schema di decreto prevede una concentrazione dei regimi amministrativi, in base alla quale: 

  1. nei casi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, l'interessato presenta un'unica SCIA e l'attività può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione (c.d. SCIA unica). Spetta all'amministrazione che riceve la SCIA di trasmetterla alle altre amministrazioni interessate, al fine di consentire il controllo sulla sussistenza dei presupposti e requisiti di loro competenza.
  2. nei casi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA sia necessaria l'acquisizione di atti di assenso, comunque denominati, o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive(c.d. SCIA condizionata), è prevista, dopo la presentazione della SCIA, la convocazione della conferenza di servizi.

L'attuazione della delega è proseguita con il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), che provvede alla mappatura e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento. Inoltre il decreto detta alcune disposizioni volte alla semplificazione dei regimi amministrativi in materia edilizia e di pubblica sicurezza.

In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi. Le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive competenze, possono ricondurre le attività non espressamente elencate nella tabella, anche in ragione delle loro specificità territoriali, a quelle corrispondenti, pubblicandole sul proprio sito istituzionale (art. 2, co. 6, D.Lgs. 222/2016). 

La ricognizione può essere integrata e completata con decreti successivi, previsti dalla legge delega. Inoltre, si prevede che la tabella sia aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro delegato per la pubblica amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata, al fine di tener conto delle disposizioni di legge intervenute successivamente (art. 2, co. 7, D.Lgs. 222/2016). Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, devono adeguarsi ai livelli di semplificazione e alle garanzie assicurate ai privati dal decreto, nonché possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione.

ultimo aggiornamento: 1 settembre 2018

La conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione attivabile dalle pubbliche amministrazioni quando siano coinvolti vari interessi pubblici in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti i medesimi risultati e attività amministrativa, suscettibile di produrre un'accelerazione dei tempi procedurali. La disciplina dell'istituto è fissata, in via generale, dagli articoli 14 e seguenti della L. n. 241/1990. Tale normativa è stata oggetto di ripetuti interventi correttivi tesi ad assicurare gli effetti di semplificazione e tempestività dell'azione amministrativa ai quali l'istituto è ispirato.

Da ultimo, la legge delega per la riforma delle amministrazioni pubbliche ha affidato al Governo il compito di riordinare l'intera disciplina della conferenza di servizi in modo da:

  • ridurre i casi di convocazione obbligatoria;
  • semplificare e rendere più celeri i tempi della conferenza, anche attraverso l'utilizzo di strumenti informatici, nonchè assicurare che qualsiasi tipo di conferenza abbia una durata certa;
  • rivedere i meccanismi decisionali, con la previsione del principio della prevalenza delle posizioni espresse, di meccanismi di silenzio assenso e di superamento del dissenso;
  • introdurre modelli di istruttoria pubblica, per garantire la partecipazione degli interessati al procedimento;
  • introdurre strumenti di composizione degli interessi pubblici in caso di partecipazione di amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, che assicurino comunque la conclusione del procedimento entro i termini previsti (v. art. 2, L. 124/2015).

In attuazione della delega, il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127, ha interamente riscritto la disciplina gli articoli da 14 a 14-quinquies della L. n. 241/1990. La nuova disciplina distingue due modelli di conferenza decisoria, caratterizzati da diverse modalità di svolgimento:

  • la conferenza semplificata, in modalità "asincrona", rappresenta la modalità ordinaria di conferenza, che si svolge senza riunione, bensì mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni, e delle determinazioni, secondo il procedimento delineato dall'art. 14-bis della L. n. 241/1990;
  • la conferenza simultanea ed in modalità sincrona (con riunione), secondo il procedimento delineato dall'art. 14-ter della L. n. 241/1990. Tale modalità si svolge nei soli casi indicati dalla legge. In particolare, l'amministrazione procedente può convocare direttamente la conferenza simultanea ove necessario, nei casi di particolare complessità della decisione da assumere, ovvero può procedere su richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato interessato (art. 14-bis, co. 7). Fuori da tali ipotesi, la conferenza si svolge in modalità simultanea qualora, in sede di conferenza semplificata, l'amministrazione procedente ha acquisito atti di assenso o dissenso che indicano condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali alla decisione finale (art. 14-bis, co. 6).

Altra novità è rappresentata dalla riduzione dei termini procedimentali e delle modalità di svolgimento della conferenza. Innanzitutto, le istanze, la relativa documentazione e le comunicazioni avvengono in modalità telematica.

Per quanto riguarda i termini, in caso di conferenza semplificata, è stabilito un termine perentorio, comunque non superiore a 45 giorni (90 per le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute), entro il quale le amministrazioni coinvolte sono tenute a rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della Conferenza. Inoltre, la mancata comunicazione delle determinazioni da parte delle amministrazioni coinvolte entro il termine perentorio, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti indicati, equivalgono ad assenso senza condizioni, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'UE richiedono l'adozione dei provvedimenti espressi.

In caso di conferenza simultanea, la nuova disciplina prevede che, ove alla conferenza siano coinvolte amministrazioni dello Stato e di altri enti territoriali, a ciascun livello le amministrazioni convocate alla riunione sono rappresentate da un unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione delle amministrazioni stesse (cd. rappresentante unico). Il rappresentante unico delle amministrazioni statali è nominato dal Presidente del Consiglio o, in caso di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Ciascuna regione e ciascun ente locale definisce autonomamente le modalità di designazione del rappresentante unico delle amministrazioni riconducibili a quella regione o a quell'ente (art. 14-ter, co. 4-5). I lavori della conferenza simultanea si concludono non oltre 45 giorni decorrenti dalla data della prima riunione (90 giorni nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute). Anche in questo caso, sono introdotti meccanismi di silenzio assenso: infatti, si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresenatante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso la propria posizione ovvero abbia espresso un dissesnso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza.

Inoltre, la nuova disciplina conferma la possibilità per le amministrazioni che curano interessi sensibili (preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute), in caso di dissenso, di rimettere la decisione alla Presidenza del Consiglio dei ministri per trovare un'intesa, ma riscrive interamente il procedimento, abbreviando anche in tal caso i termini.

Nell'ambito delle semplificazioni procedimentali, volte a fronteggiare gli effetti negativi derivanti dall'emergenza sanitaria correlata al Covid-19, il D.L. 76 del 2020 (articolo 13) ha stabilito la possibilità per le amministrazioni di seguire una procedura di conferenza di servizi straordinaria, utilizzabile fino al 31 dicembre 2021, termine successivamente prorogato al 30 giugno 2023. In questo tempo determinato, le pubbliche amministrazioni hanno facoltà, in tutti i casi in cui debba essere indetta una conferenza di servizi decisoria, di procedere mediante una conferenza semplificata in modalità asincrona, che prevede una tempistica più rapida per la conclusione del procedimento.

correttivi al modello definito dalla L. 241 del 1990 sono essenzialmente tre:

  1. in via temporanea, è possibile ricorrere alla conferenza semplificata in tutti i casi di conferenza dei servizi decisoria, ossia anche laddove la L. 241/1990 prevede la conferenza simultanea (commi 6 e 7 art. 14-bis);
  2. tutte le amministrazioni coinvolte rilasciano le determinazioni di competenza entro il termine perentorio di sessanta giorni. Rispetto alla disciplina ordinaria, tale prescrizione comporta un termine unico per tutte le amministrazioni, ivi incluse le amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, tutela della salute e della pubblica incolumità), per le cui determinazioni è previsto in via ordinaria un termine più lungo, pari a novanta giorni (art. 14-bis, co. 2, lett. c));
  3. in caso di passaggio alla forma simultanea, ossia allorchè l'amministrazione procedente ha acquisito atti di dissenso che indicano condizioni o prescrizioni che richiedono modifiche sostanziali alla decisione finale che la stessa ritiene possibile superare mediante esame contestuale degli interessi coinvolti, ne è prevista una forma accelerata: infatti, l'amministrazione procedente potrà svolgere, entro trenta giorni decorrenti dalla scadenza del termine per il rilascio delle determinazioni di competenza delle singole amministrazioni, una sola riunione telematica di tutte le amministrazioni coinvolte nella quale prende atto delle rispettive posizioni e procede senza ritardo alla stesura della determinazione motivata conclusiva della conferenza di servizi. Restano ferme, in caso di mancata espressione del parere o mancata partecipazione alla riunione, le disposizioni in materia di silenzio assenso, nonché quelle relative alla procedura di opposizione alla determina conclusiva.

ultimo aggiornamento: 30 settembre 2021

Ai sensi della legge sui principi generali del procedimento amministrativo, (art. 10-bis, L. n. 241/1990) nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda.

Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. La legge esclude che l'amministrazione possa addurre tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.

Le disposizioni sul preavviso non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. 

L'istituto del c.d. "preavviso di rigetto", introdotto nell'ordinamento con la legge n. 15 del 2005, ha segnato l'ingresso di una modalità di partecipazione, con la quale si è voluta "anticipare" l'esplicitazione delle ragioni del provvedimento sfavorevole alla fase endoprocedimentale, allo scopo di consentire una difesa ancora migliore all'interessato, mirata a rendere possibile il confronto con l'amministrazione sulle ragioni da essa ritenute ostative all'accoglimento della sua istanza, ancor prima della decisione finale. Al contempo, il preavviso ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte in base agli esiti dell'istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, dell'interessato, che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo, determinando così una possibile riduzione del contenzioso fra le parti.

Il D.L. n. 76 del 2020 (art. 12) ha introdotto alcune modifiche alla disciplina posta dall'art. 10-bis dealla L. 241 del 1990. In primo luogo, è stato modificato il regime degli effetti del preavviso di rigetto sui termini del procedimento, stabilendo che la comunicazione sospende, invece che interrompere (come fino ad allora previsto), i termini di conclusione del procedimento, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine per presentare le osservazioni. Con un'ulteriore specificazione, si prevede che la motivazione dell'eventuale provvedimento finale di diniego indica "i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni".

In terzo luogo, è aggiunta una disposizione in base alla quale, in caso di annullamento in giudizio del provvedimento di rigetto dell'istanza, l'amministrazione, nell'esercitare nuovamente il suo potere, "non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato". In base a quanto emersa nel corso dell'istruttoria parlamentare, la finalità della disposizione è di evitare che l'annullamento conseguente al mancato accoglimento delle osservazioni del privato a seguito del preavviso di diniego determini "plurime reiterazioni dello stesso esito sfavorevole con motivazioni ogni volta diverse, tutte ostative". L'intento è dunque di ricondurre l'intera vicenda ad un'unica impugnazione giurisdizionale, "evitando che il privato sia costretto a proporre tanti ricorsi quante sono le ragioni del diniego", non comunicate nel medesimo provvedimento.

A tali modifiche se ne aggiunge un'altra in materia di annullabilità del provvedimento amministrativo, in virtù della quale al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis sul preavviso di diniego non si applica la norma di cui all'art. 21-octies, co. 2, secondo periodo, della L. 241 del 1990, che esclude l'annullabilità in caso in mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 

Ai sensi dell'articolo 21-octies, comma 1, della legge 241/1990, il provvedimento amministrativo è annullabile nei casi ‘classici' di illegittimità per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza. Ai sensi del successivo comma 2, non sono annullabili quei provvedimenti che presentino vizi cd. formali (violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti) o quelli relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, qualora dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
ultimo aggiornamento: 24 settembre 2020

Nell'ambito delle misure di semplificazione disposte dalla legge di riforma delle amministrazioni pubbliche n. 124 del 2015, è stato introdotto il meccanismo di silenzio assenso (già regolato nei rapporti tra privati e amministrazione dall'art. 20, L. 241/1990) anche nei rapporti tra amministrazioni pubbliche. Da ultimo, sono state apportate alcune modifiche ad opera del D.L. 76/2020

In virtù dell'articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, nei casi in cui per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi da parte di una pubblica amministrazione sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati, di competenza di altre amministrazioni pubbliche ovvero di gestori di beni o servizi pubblici, le amministrazioni o i gestori competenti sono tenuti a comunicare le rispettive decisioni entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, decorso il quale senza che sia stato comunicato l'atto di assenso, concerto o nulla osta, lo stesso si intende acquisito. 

Il termine di trenta giorni è suscettibile di una sola interruzione qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso faccia presenti esigenze istruttorie o presenti richieste di modifica, che devono essere motivate e formulate in modo puntuale entro il termine stesso. In seguito all'interruzione del termine, l'assenso, il concerto  o il nulla-osta sono resi nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento. In caso di conflitto tra amministrazioni statali coinvolte, spetta al Presidente del Consiglio decidere sulle modifiche da apportare al provvedimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Si applica il silenzio assenso decorsi novanta giorni anche per i pareri e i nulla osta di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini. L'unica eccezione prevista all'applicazione del silenzio assenso è rappresentata dai casi in cui l'adozione di un provvedimento espresso sia richiesta da disposizioni del diritto dell'Unione europea.

Con le modifiche introdotte dal D.L. 76 del 2020 si disciplina in modo analogo l'ipotesi in cui per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi sia prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l'atto. In tal caso, la proposta deve essere trasmessa entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta (ad eccezione dei casi in cui la proposta riguardi amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili). 

Qualora l'amministrazione proponente rappresenti esigenze istruttorie, motivate e formulate in modo puntuale, la proposta è resa nei 30 giorni successivi dalla ricezione degli elementi istruttori. 

Qualora, invece, la proposta non sia trasmessa nei terminil'amministrazione competente ha facoltà di procedere. In tal caso, l'inerzia dell'amministrazione proponente comporta che lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, sia trasmesso alla stessa al fine di acquisirne l'assenso (espresso o tacito), al quale si applica la disciplina di cui al medesimo art. 17-bis.

ultimo aggiornamento: 24 settembre 2020

Disposizioni relative alla digitalizzazione del procedimento amministrativo sono contenute in via generale sia nell'articolo 3-bis della legge n. 241 del 1990, sia nell'articolo 41 del D.Lgs. n. 82 del 2005, recante il Codice dell'amministrazione digitale (CAD).

L'articolo 3-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto con la riforma del 2005, nella sua versione originaria richiede alle amministrazioni di incentivare l'uso della telematica nei rapporti tra amministrazioni e tra queste e i privati per conseguire maggiore efficienza nell'attività amministrativa. In linea con il processo di trasformazione tecnologica dell'amministrazione, a seguito di una modifica introdotta dal D.L. 76 del 2020, l'utilizzo di strumenti telematici e informatici non è più indicato quale obiettivo, ma quale modalità ordinaria di lavoro e di comunicazione delle Amministrazioni, al loro interno così come nei rapporti con altre Amministrazioni e con i privati.

La disposizione assume in tal modo lo stesso tono perentorio dell'articolo 41 del CAD, allorchè stabilisce che i procedimenti amministrativi sono gestiti dalle pubbliche amministrazioni "utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione". A tale fine gli atti, i documenti e i dati del procedimento sono raccolti nel fascicolo informatico. All'atto della comunicazione dell'avvio del procedimento, l'amministrazione comunica agli interessati le modalità per esercitare in via telematica i diritti di partecipazione al procedimento (visione degli atti e presentazione di memorie e documenti). Il CAD stabilisce esplicitamente che le modalità di costituzione del fascicolo informatico garantiscano l'esercizio in via telematica dei diritti previsti dalla legge n. 241 del 1990 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e dall'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33 del 2013 (accesso civico). Le Linee guida per la costituzione, l'identificazione, l'accessibilità attraverso i suddetti servizi e l'utilizzo del fascicolo sono dettate dall'AgID.

A seguito dell'intervento del D.L. 76/2020 (art. 12, co. 1, lett. c) e d)), tra i contenuti necessari nella comunicazione di avvio del procedimento (art. 8 L. 241 del 1990) si inserisce sia il domicilio digitale dell'amministrazione nell'ottica di snellire e agevolare le modalità di partecipazione al procedimento, sia le modalità telematiche con le quali è possibile prendere visione degli atti, accedere al fascicolo informatico di cui al citato articolo 41 del CAD ed esercitare in via telematica i diritti previsti dalla legge. Tra le modalità con cui si potrà accedere agli atti la disposizione richiama il punto di accesso telematico di cui all'articolo 64-bis del CAD (nuova lettera d) dell'art. 8, co. 2, della L. 241 del 1990). Resta obbligatorio continuare a comunicare anche l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti, ma solo in via subordinata, ossia ove gli atti non siano disponibili o accessibili mediante modalità telematiche (nuova lettera d-bis) dell'art. 8, co. 2, della L. 241 del 1990).

 

Il  punto telematico di accesso ai servizi pubblici, introdotto con il correttivo del Codice dell'amministrazione digitale di cui al D.Lgs. 179/2016, rappresenta l'interfaccia universale attraverso la quale cittadini e imprese interagiscono con le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi pubblici per i profili di pubblico interesse e talune società a controllo pubblico (cioè i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, del CAD).
Questi ultimi devono rendere fruibili tutti i propri servizi in rete attraverso tale punto unico di accesso telematico, in conformità alle modalità tecnico-operative individuate dall'AgID.
A tal fine le p.a., i fornitori di identità digitali e i prestatori dei servizi fiduciari qualificati, devono progettare e sviluppare i propri sistemi e servizi in modo da garantirne l'integrazione e l'interoperabilità, nonché a esporre per ogni servizio le relative interfacce applicative. Inoltre, al fine di garantire la verifica degli standard e livelli qualitativi definiti dal CAD, i soggetti summenzionati adottano gli strumenti di analisi individuati dalle linee guida AgID.

Si prevede inoltre l'obbligo di comunicare il domicilio digitale del responsabile del procedimento, oltre che l'unità organizzativa responsabile e il nominativo del responsabile (come attualmente stabilito dalla norma) ai soggetti interessati e controinteressati al provvedimento finale, ai quali è inviata la comunicazione di avvio del procedimento, nonché, su richiesta, a chiunque vi abbia interesse. 

ultimo aggiornamento: 30 settembre 2020

Alcune disposizioni del D.L. 133/2014 (c.d. decreto sblocca-Italia) e, successivamente, della c.d.  legge Madia e dei suoi decreti attuativi hanno introdotto modifiche ai poteri di autotutela decisoria delle pubbliche amministrazioni, come disciplinati dalla legge sul procedimento amministrativo, ossia alla possibilità per le amministrazioni di riesaminare i provvedimenti già adottati, senza l'intervento del giudice, al fine di annullarli, modificarli o revocarli.

Una prima novità riguarda la soppressione della possibilità per le amministrazioni di esercitare i poteri di revoca e annullamento d'ufficio, di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241/1990, nei casi di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Al contempo, sono stati ridefiniti i limiti entro i quali l'amministrazione può intervenire, con poteri inibitori, repressivi e conformativi, sulle attività avviate in base a SCIA (art. 25, D.L. n. 133/2014, conv. L. 164/2013; art. 6, L. n. 124/2015). Le modifiche introdotte dal legislatore cercano, in particolare, di contemperare l'esigenza di tutelare l'affidamento del privato sul titolo abilitativo formato sulla base della propria segnalazione con la tutela del terzo controinteressato eventualmente pregiudicato da un'attività intrapresa illegittimamente. 

La seconda novità riguarda la disciplina della revoca del provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, da parte dell'amministrazione che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge, di cui sono definite più precisamente le condizioni di esercizio (art. 21-quinquies, L. n. 241/1990). La ratio delle novità introdotte è di offrire maggiore tutela ai privati, mettendoli al riparo dall'esercizio disinvolto del potere di autotutela da parte della Pubblica amministrazione (art. 25, D.L. n. 133/2014, conv. L. 164/2013).

In particolare, è previsto che la revoca per mutamento della situazione di fatto è possibile solo ove tale mutamento fosse "non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento" e, per quanto riguarda le ipotesi di revoca per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, questa viene esclusa per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. Resta, invece, immutato, il terzo presupposto che può legittimare la revoca del provvedimento, ossia i sopravvenuti motivi di pubblico interesse.

Un terzo gruppo di modifiche introdotte con le riforme del 2014 e  2015 riguarda l'istituto dell'annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi illegittimi (art. 21-octies, L. n. 241/1990). La novità consiste, innanzitutto, nell'avere escluso la possibilità di annullare i provvedimenti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, nonché nei casi di mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies, comma 2). Viene precisato che rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

In secondo luogo, la legge ha introdotto un termine ultimo di diciotto mesi dal momento dell'adozione del provvedimento di primo grado solo per i casi di annullamento d'ufficio dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici e, contestualmente, previsto un'eccezione a tale vincolo temporale, ove si tratti di annullare provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato.

ultimo aggiornamento: 3 novembre 2016

L'indennizzo da ritardo è stato introdotto nel 2013 (art. 28 del D.L. n. 69/2013) per tutelare i privati in conseguenza della violazione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi attivati ad istanza di parte, modificando a tal fine la legge sul procedimento amministrativo (art. 2-bis, co. 1-bis, L. n. 241/1990).

La misura si affianca all'istituto del risarcimento del danno da ritardo, previsto dalla legge sul procedimento amministrativo (art. 2-bis, co. 1, della L. n. 241/1990) per i casi di ritardo doloso o colposo, e, al pari di questo, è finalizzata al rispetto dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi.

L'ipotesi attiene al ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo, come, ad esempio, la p.a. che debba rendere un parere), ma anche dai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative. A differenza del risarcimento del danno da ritardo, l'indennizzo è ammesso solo nelle ipotesi di mero ritardo nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte, non può essere richiesto nei procedimenti avviati d'ufficio e presuppone il decorso del tempo quale mero nesso causale.

Il procedimento finalizzato alla corresponsione dell'indennizzo deve essere preceduto dall'attivazione del potere sostitutivo. Infatti, per ottenere l'indennizzo, l'istante deve rivolgersi all'autorità titolare del potere sostitutivo di cui all'art. 2, co. 9-bis, della L. n. 241/1990 entro il termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine procedimentale, richiedendo l'emanazione del provvedimento non adottato.

La misura dell'indennizzo è stabilita in una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo rispetto alla data di scadenza del termine procedimentale. È stabilito anche un tetto massimo, in base al quale l'indennizzo non può essere superiore in ogni caso alla somma di 2.000 euro. In caso di indennizzo, le somme corrisposte o da corrispondere a tale titolo sono detratte da quelle eventualmente corrisposte a titolo di risarcimento.

Il nuovo istituto è espressamente escluso, anche in caso di procedimenti avviati su iniziativa di parte:

  • nei procedimenti concernenti lo svolgimento di pubblici concorsi;
  • nelle ipotesi di silenzio qualificato (silenzio assenso e silenzio rigetto).

In prima applicazione, l'indennizzo da ritardo è stato applicato in via sperimentale solo per i procedimenti relativi all'attività di impresa. Nelle Linee guida, adottate dal Dipartimento della funzione pubblica, con dir. Stato 9 gennaio 2014, si precisa che l'indennizzo da ritardo non è applicabile nelle ipotesi di segnalazione certificata di inizio attività (o di denuncia di inizio attività), anche se relative all'esercizio dell'attività di impresa, poichè in tali casi manca un obbligo di emanare un provvedimento, che invece rappresenta un presupposto per l'applicabilità dell'indennizzo da ritardo.

ultimo aggiornamento: 12 novembre 2014

Il DPR 12 settembre 2016, n. 194, adottato in attuazione della legge delega di riforma delle amministrazioni pubbliche (art. 4, L. n. 124/2015), ha introdotto norme per la semplificazione e l'accelerazione di procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l'avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull'economia o sull'occupazione.

La semplificazione ed accelerazione sono attuate attraverso due strumenti: la riduzione dei termini dei procedimenti e l'esercizio di un potere sostitutivo da parte del Presidente del Consiglio in caso di mancato rispetto dei termini.

I procedimenti interessati sono quelli che hanno ad oggetto autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l'esercizio delle attività compresi quelli di competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità.

Per l'individuazione dei progetti cui applicare le disposizioni di accelerazione, si procede in una prima fase alla segnalazione alla Presidenza del Consiglio di una serie di progetti, che spetta agli enti territoriali entro il 31 gennaio di ciascun anno. La Presidenza del consiglio può comunque, entro il 28 febbraio, segnalare ulteriori progetti.

In una seconda fase, entro il 31 marzo, si procede, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, all'individuazione "in concreto" dei singoli progetti cui si applicano le disposizioni di semplificazione ed accelerazione.

Con i medesimi decreti del Presidente del consiglio possono essere ridotti i termini di conclusione dei procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell'opera, lo stabilimento dell'impianto produttivo e l'esercizio dell'attività, in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini ordinari.

In caso di inutile decorso del termine, eventualmente ridotto, il Presidente del Consiglio può sostituirsi direttamente all'amministrazione inadempiente, adottando i relativi atti, oppure, previa delibera del Consiglio dei ministri, può delegare il potere sostitutivo ad un diverso soggetto, fissando un nuovo termine per la conclusione del procedimento.

Viene poi disciplinato l'esercizio del potere sostitutivo nei casi in cui l'intervento coinvolga le competenze delle regioni e degli enti locali.

Il coinvolgimento degli enti territoriali è comunque escluso nel caso in cui "sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell'opera".

Quando non sussiste un preminente interesse nazionale e l'intervento coinvolge esclusivamente o in misura prevalente il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, il Presidente del Consiglio di regola delega all'esercizio del potere sostitutivo il Presidente della regione o il sindaco.

Negli altri casi, quando l'intervento coinvolge le competenze delle regioni e degli enti locali la determinazione delle modalità di esercizio del potere sostitutivo è rimessa a una previa intesa in sede di Conferenza unificata (ferma restando l'esclusione nei casi di sussistenza di un preminente interesse nazionale).

ultimo aggiornamento: 21 aprile 2017

Il c.d. decreto del fare (articolo 29, D.L. n. 69/2013) ha posto l'obbligo, a decorrere dal 2 luglio 2013, per gli atti normativi del Governo e gli atti amministrativi a carattere generale delle amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici nazionali e delle agenzie ex D.lgs. 300/1999, di fissare la data di decorrenza dell'efficacia degli obblighi amministrativi introdotti a carico di cittadini ed imprese al 1° luglio o al 1° gennaio successivi alla loro entrata in vigore. Sono previste due deroghe in presenza di particolari esigenze di celerità dell'azione amministrativa o derivanti dalla necessità di dare tempestiva attuazione ad atti dell'Unione europea.

Inoltre, viene posto a carico del responsabile della trasparenza delle amministrazioni competenti l'obbligo sia di pubblicare sul sito istituzionale le date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti, sia di comunicarle al Dipartimento della funzione pubblica, che a sua volta le pubblica in apposite pagine web del sito istituzionale (art. 12, co. 1-bis, D.Lgs. n. 33/2013).

Le modalità di pubblicazione dello scadenziario sono state adottate con DPCM 8 novembre 2013.

Il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel settore fiscale, approvato dalla Commissione parlamentare per la semplificazione il 27 settembre 2017, ha lamentato che la disposizione sulla data unica degli obblighi amministrativi sia rimasta inattuata.

ultimo aggiornamento: 12 novembre 2014
 
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