Nel corso della XVIII legislatura il D.L. n. 113 del 2018 convertito con modificazioni nella L. n. 132 del 2018 ha mutato la disciplina legislativa della protezione degli stranieri per motivi umanitari, sopprimendola quale istituto generale e mantenendone solo singole tipologie quale protezione "speciale" riconducibile a ragioni umanitarie.
Inoltre, con la riforma del 2018 sono state introdotte anche alcune significative modifiche sia alla procedura di asilo, nonché alla disciplina della cd. seconda accoglienza, che comprende i servizi territoriali di accoglienza e integrazione gestiti dagli enti locali.
ln particolare, il decreto-legge n. 113 del 2018 modificava la tipologia di beneficiari e le modalità di accesso al sistema (denominato SIPROIMI), riservando i servizi di accoglienza degli enti locali ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, escludendo invece dalla possibilità di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale. Di contro, il decreto-legge n. 130 del 2020 ha reintrodotto la possibilità di accoglienza nel sistema (ridenominato SAI) dei richiedenti la protezione internazionale ed ampliato l'accesso, nei limiti dei posti disponibili, ai titolari di specifiche categorie di permessi di soggiorno previste dal Testo unico dell'immigrazione, i quali non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati, nonché ai neo-maggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo.
Inoltre il decreto-legge n. 130 del 2020 ha previsto una diversificazione dei servizi del SAI sulla base della tipologia dei beneficiari, ridefinito le condizioni materiali della prima accoglienza nei centri governativi e dettato disposizioni a supporto dei percorsi di integrazione.
Specifiche misure relative all'accoglienza degli immigrati sono state adottate in considerazione delle esigenze correlate allo stato di emergenza da COVID-19. Nell'ambito del SAI sono state infine organizzate parte delle misure di accoglienza per le persone provenienti dall'Ucraina in conseguenza della crisi internazionale ancora in atto.
Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell'uomo ed è riconosciuto dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
La riserva di legge affermata dal citato terzo comma dell'articolo 10 per il diritto all'asilo dello straniero non è stata seguita, ad oggi, da una specifica legge attuativa.
Peraltro la giurisprudenza (v. la sentenza n. 4674 del 1997 resa dalla Corte di cassazione a Sezioni unite) ha affermato il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale, la quale con sufficiente chiarezza delinea la fattispecie che fa sorgere in capo allo straniero il diritto di asilo.
Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest'ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione. Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è regolato essenzialmente da fonti di rango UE. Il rifugiato è dunque un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Può trattarsi anche di un apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni e non può o non vuole farvi ritorno.
Per lungo tempo l'Italia ha avuto una disciplina limitata al riconoscimento dello status di rifugiato, a seguito dell'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che definisce appunto lo status di rifugiato (ratificata dalla legge n. 722 del 1954; solo con il decreto-legge n. 416 del 1989 veniva però meno la riserva geografica apposta al momento della ratifica). La Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990 è intervenuta sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea (ratificata dalla legge n. 523 del 1992).
A dare impulso ad una maggiore articolazione della disciplina normativa interna è stata l'incidenza delle disposizioni comunitarie. L'asilo, infatti, nelle sue varie articolazioni, figura tra le materie di competenza dell'Unione europea, la quale vi persegue una "politica comune", mediante un "sistema europeo comune di asilo" (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
La normativa europea ha introdotto l'istituto della protezione internazionale che comprende due distinte categorie giuridiche:
In relazione alla particolare condizione, dunque, può essere riconosciuto al cittadino straniero che ne faccia richiesta lo status di rifugiato o può essere accordata la misura di tutela di protezione sussidiaria. La differente tutela attiene ad una serie di parametri oggettivi e soggettivi, che si riferiscono alla storia personale dei richiedenti, alle ragioni delle richieste e al paese di provenienza.
Lo status di rifugiato e le forme di protezione sussidiaria sono riconosciute all'esito dell'istruttoria svolta dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale: come previsto a livello normativo dell'UE dal c.d. Regolamento Dublino II lo straniero può richiedere la protezione internazionale nello Stato di primo ingresso che, pertanto, diviene competente ad esaminare la domanda.
Una ulteriore fattispecie è la protezione temporanea che può essere concessa nei casi di afflusso massiccio o di imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea che non possono rientrare nel loro Paese d'origine al fine di garantire una tutela immediata e temporanea, in particolare qualora sussista il rischio che il sistema d'asilo non possa far fronte a tale afflusso.
Di fonte invece esclusivamente interna è la protezione per motivi umanitari (che il decreto-legge n. 113 del 2018 ha soppresso quale istituto generale, mantenendone tuttavia alcune enumerate e tipizzate forme di specifica applicazione).
Per quanto riguarda il recepimento nell'ordinamento interno normativa UE, i presupposti e i contenuti delle due forme di protezione internazionale – status di rifugiato e protezione sussidiaria – sono stati disciplinati originariamente dalla direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004 (c.d. direttiva qualifiche), che è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 251 del 2007 (c.d. decreto qualifiche). La direttiva è stata successivamente modificata dalla direttiva 2011/95/UE, a cui è stata data attuazione con il decreto-legislativo n. 18 del 2014.
Quanto alle procedure ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, la disciplina normativa è posta dal decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, di recepimento della direttiva "procedure" n. 32 del 2013.
Il medesimo D.Lgs. n. 142/2015, con le successive modificazioni ed integrazioni, ha provveduto ad attuare anche la nuova direttiva accoglienza (2013/33), recante le modalità di accoglienza, immediata e di più lungo periodo, dei richiedenti.
Il recepimento della direttiva 2011/51/UE, che interviene su un aspetto specifico, ossia l'estensione del diritto all'ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di protezione internazionale, attraverso la modifica della direttiva 2003/109/CE, è stato effettuato con l'emanazione del D.Lgs. n. 12/2014.
Nel corso della legislatura il D.L. n. 113 del 2018 convertito con modificazioni nella L. n. 132 del 2018 ha mutato la disciplina legislativa della protezione degli stranieri per motivi umanitari, prevista dal testo unico in materia di immigrazione (articolo 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998), sopprimendola quale istituto generale e mantenendone solo singole tipologie quale protezione "speciale" riconducibile a movente umanitario.
La protezione per motivi umanitari non trova la sua fonte diretta in atti dell'Unione europea ma è un istituto riconducibile a previsioni dell'ordinamento interno italiano. Il diritto dell'UE, infatti, prevede la possibilità - non l'obbligo - per gli Stati membri di ampliare l'ambito delle forme di protezione tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) sino ad estenderlo ai motivi "umanitari", "caritatevoli" o "di altra natura", rilasciando un permesso di soggiorno autonomo o altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno sia irregolare (articolo 6, par. 4, della direttiva 115/2008/UE). Pertanto, mentre lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono accordati, in osservanza di obblighi europei ed internazionali, il primo per proteggere la persona da atti di persecuzione, la seconda per evitare che questa possa subire un grave danno; la protezione umanitaria è rimessa, invece, in larga misura, alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere ad esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
Per effetto del D.L. n. 113 del 2018, il permesso di soggiorno per motivi umanitari è scomparso come istituto generale. Al contempo sono state mantenute fattispecie eccezionali di temporanea tutela dello straniero per esigenze di carattere umanitario, introducendo la categoria dei permessi di soggiorno "per casi speciali".
In tale ambito sono ricondotte alcune fattispecie già previste nel TU immigrazione, come il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale (già disciplinato al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18) nonchè quello preesistente per le vittime di violenza domestica (art. 18 bis) e quello per particolare sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12 quater). Si tratta di titoli di soggiorno variamente modulati quanto alla durata ma tutti convertibili in permessi di lavoro.
Altre fattispecie non erano puntualmente disciplinate dal Testo unico (trovando semmai applicazione nelle prassi delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale) e sono state tipizzate e disciplinate con il DL 113 del 2018. Sono:
a) permesso per cure mediche (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. d-bis)) per cittadini stranieri che versano in condizioni di particolare gravità, della durata massima di un anno, rinnovabile solo se persiste la condizione di partenza;
b) permesso di soggiorno per contingente ed eccezionale calamità naturale (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 20 bis) che non consenta il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza della durata di sei mesi, rinnovabile di altri sei se permane la condizione di partenza, che consente lo svolgimento di attività lavorativa ma non è convertibile in permesso di lavoro;
c) permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 42 bis) di durata biennale, con accesso allo studio e allo svolgimento di attività lavorativa, rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per lavoro subordinato ed autonomo.
Da ultimo è stato inoltre introdotto un nuovo permesso di soggiorno per «protezione speciale» per i casi in cui non sia stata accolta la domanda di protezione internazionale dello straniero e al contempo ne sia vietata l'espulsione o il respingimento, nell'eventualità che questi «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione», oppure esistano fondati motivi di ritenere che rischi di essere sottoposto a tortura. Con le correzioni introdotte dal successivo decreto-legge n. 130 del 2020 (art. 1, co. 1, lett. a)) si esplicita nel testo unico che in ogni caso la possibilità di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno incontra un limite nel "rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano". Inoltre, il medesimo decreto ha disposto per alcune tipologie di permessi di soggiorno (tra cui quello per protezione speciale e per calamità) la convertibilità in permessi di lavoro (art. 1, co. 1, lett. b)).
Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano è disciplinato dal decreto legislativo n. 142/2015, adottato in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE. Successivamente, alcune integrazioni e modifiche sono state apportate dapprima dal D.L. 13/2017, che ha previsto alcuni interventi urgenti in materia di immigrazione, poi dalla L. n. 47/2017 sui minori stranieri non accompagnati e dal D.Lgs. n. 220/2017. Nell'attuale legislatura, dapprima il D.L. 113/2018 e successivamente il D.L. 130/2020 hanno introdotto ulteriori significative modifiche.
Il sistema di accoglienza dei migranti si fonda, in primo luogo, sul principio della leale collaborazione, secondo forme apposite di coordinamento nazionale e regionale, basate sul Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno con compiti di indirizzo, pianificazione e programmazione in materia di accoglienza, compresi quelli di individuare i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare alle finalità di accoglienza.
Le misure di accoglienza dei richiedenti asilo si articolano in diverse fasi. La primissima fase consiste nel soccorso e prima assistenza, nonché nelle operazioni di identificazione dei migranti, soprattutto nei luoghi di sbarco. In base alle modifiche introdotte dal D.L. 130 del 2020 le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei centri governativi e nelle strutture temporanee previste dagli articoli 9 e 11 del decreto accoglienza (si v. infra), mentre le procedure di soccorso e identificazione dei cittadini irregolarmente giunti nel territorio nazionale si svolgono presso i c.d. punti di crisi (hotspot) di cui all'art. 10-ter del TU in materia di immigrazione, allestite nei luoghi dello sbarco in base agli impegni assunti dallo Stato italiano nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione, adottata nel 2015, per consentire le operazioni di prima assistenza, screening sanitario, identificazione e somministrazione di informative in merito alle modalità di richiesta della protezione internazionale o di partecipazione al programma di relocation.
L'accoglienza vera e propria si articola a sua volta in due fasi:
Le attività di c.d. prima accoglienza, che comprendono l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità, sono assicurate dai centri governativi di nuova istituzione, previsti dal decreto legislativo n. 142/2015 sulla base della programmazione dei tavoli di coordinamento nazionale e interregionali (art. 9) e, in prima applicazione, dai centri di accoglienza già esistenti, come i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e i Centri di accoglienza (CDA). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
In caso di esaurimento dei posti nei centri governativi, a causa di massicci afflussi di richiedenti, questi possono essere ospitati in strutture diverse dai centri governativi. La natura di queste strutture, denominate CAS (centri di accoglienza straordinaria), è temporanea e l'individuazione viene effettuata dalle Prefetture, sentito l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura. I dati degli ultimi anni relativi alle presenze dei migranti nelle strutture di accoglienza evidenzia come la maggior parte dei rifugiati sia ospitata in strutture provvisorie (ossia i CAS), poiché i servizi convenzionali a livello centrale e locale hanno capienza limitata.
Nel corso della XVIII legislatura, il D.L. 130 del 2020 (art. 4, co. 1) ha ridefinito le condizioni materiali di accoglienza nelle strutture governative di prima accoglienza, stabilendo:
Si è inoltre stabilito che i servizi possono essere erogati, anche con modalità di organizzazione su base territoriale, ossia, a titolo esemplificativo, anche a livello comunale, sovracomunale o provinciale oltre che nei singoli centri di accoglienza.
La seconda accoglienza è garantita dai progetti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), istituito nel 2002, ridenominato Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI) a partire dalla fine del 2018, a seguito delle modifiche previste dall'art. 12 del D.L. 113/2018 e, da ultimo, riformato con il D.L. 130 del 2020 (art. 4, co. 3-4) che ha definito il nuovo "Sistema di accoglienza e integrazione" (SAI).
Gli enti locali aderiscono al sistema su base volontaria e attuano i progetti con il supporto delle realtà del terzo settore. A coordinare il Sistema è il Servizio centrale, attivato dal Ministero dell'interno e affidato con convenzione all'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci). Il finanziamento dei progetti è a carico del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, istituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, nel quale confluiscono sia risorse nazionali, provenienti dallo stato di previsione del Ministero dell'interno (cap. 2352), sia assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati. I progetti della c.d. seconda accoglienza non si limitano ad interventi materiali di base (vitto e alloggio), ma assicurano una serie di attività funzionali alla riconquista dell'autonomia individuale, come l'insegnamento della lingua italiana, la formazione e la qualificazione professionale, l'orientamento legale, l'accesso ai servizi del territorio, l'orientamento e l'inserimento lavorativo, abitativo e sociale, oltre che la tutela psico-socio-sanitaria.
All'esito delle modifiche introdotte con il decreto-legge n. 130/2020, l'inserimento nelle strutture di tale circuito è stato ampliato, nei limiti dei posti disponibili, oltre che ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, ai richiedenti la protezione internazionale, che erano stati esclusi dal precedente D.L. 113 del 2018, nonché ai titolari di diverse categorie di permessi di soggiorno previsti dal TU immigrazione (qualora non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati) e ai neomaggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo. Tali soggetti sono trasferiti nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione nei limiti dei posti disponibili: il D.L. 130 del 2020 ha tuttavia aggiunto un criterio di priorità nel trasferimento presso le strutture comunali per i richiedenti che rientrino in una delle categorie di vulnerabilità previste dall'art. 17 del decreto accoglienza.
Il D.L. 130/2020 ha previsto una diversificazione dei servizi del SAI, che ora si articola in due livelli di prestazioni in relazione alle diverse categorie di utenza:
Infine, il medesimo decreto (art. 5) prevede che per i beneficiari di misure di accoglienza accolti nel Sistema di accoglienza e integrazione sono avviati ulteriori progetti di integrazione a cura delle amministrazioni competenti e nei limiti delle risorse disponibili, nonché ha individuato alcune linee prioritarie d'intervento per l'aggiornamento del Piano nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionale per il biennio 2020-2021.
Al fine di assicurare soccorso ed assistenza alla popolazione ucraina, giunta sul territorio italiano in conseguenza del conflitto bellico, il Parlamento ha approvato una serie di misure volte ad organizzare le modalità di accoglienza dei profughi sul territorio italiano e a stanziare le necessarie risorse.
Dopo una prima risposta costituita dalla deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale (fino al 31 dicembre 2022) per soccorrere la popolazione ucraina, assunta dal Consiglio dei ministri il 28 febbraio 2022, è intervenuto il decreto-legge n. 16 del 2022 (articolo 3, poi confluito nel decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, art. 5-quater), il quale ha stabilito che i cittadini ucraini, a decorrere dall'inizio del conflitto, possono essere accolti, sia nell'ambito delle strutture territoriali del Sistema di accoglienza e integrazione (SAI), che nei centri governativi di prima accoglienza e nei centri di accoglienza temporanea (CAS), di cui agli articoli 9 e 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015 (c.d. decreto accoglienza) anche se non in possesso della qualità di richiedente protezione internazionale o degli altri titoli di accesso previsti dalla normativa vigente.
A tal fine il decreto ha disposto un potenziamento del sistema di prima accoglienza e del sistema di accoglienza integrata (SAI) attraverso:
In seguito dell'attivazione del meccanismo europeo di protezione temporanea, al fine di potenziare gli interventi di assistenza ed accoglienza a fronte del continuo incremento del numero delle persone provenienti dall'Ucraina, il decreto-legge n. 21 del 2022 (articolo 31) ha previsto misure ulteriori, che sono state successivamente rafforzate e rimodulate mediante i decreti-legge n. 50 (articolo 44) e n. 115 del 2022 (articolo 26).
Per effetto di questa sequenza di disposizioni, in favore dei profughi provenienti dall'Ucraina è stata prevista:
Le attività così autorizzate possono svolgersi entro il termine del 31 dicembre 2022 e nel limite complessivo delle risorse finanziate a valere sul Fondo per le emergenze nazionali, di cui è stato contestualmente disposto un corrispondente incremento per l'anno 2022.
Il decreto-legge n. 115 del 2022 (art. 26, co. 1, lett. c-bis)) ha altresì previsto l'attivazione fino a un massimo di ulteriori 8.000 posti nel Sistema di accoglienza e integrazione, a partire da quelli già resi disponibili dai Comuni e non ancora finanziati, ad integrazione di quanto già disposto con il citato decreto-legge n. 16 del 2022.
Inoltre, per effetto dei citati decreti è stato disposto un incremento di ulteriori 113 milioni di euro per l'anno 2022 delle risorse iscritte nel bilancio statale al fine di incrementare la capacità i centri governativi di accoglienza ordinari e straordinari, da destinare in via prioritaria all'accoglienza delle persone vulnerabili provenienti dall'Ucraina (art. 44, co. 3, D.L. 50 del 2022).
Infine, si è previsto che per l'anno 2022 sono autorizzate variazioni compensative tra gli stanziamenti dei capitoli di bilancio iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'interno, nell'ambito del pertinente Programma relativo alle spese per la gestione dei flussi migratori di cui all'unità di voto 5.1, ove ciò risulti necessario al fine di provvedere al soddisfacimento di eventuali ulteriori esigenze di accoglienza dei cittadini ucraini in conseguenza della grave situazione internazionale (art. 5-quater, co. 8, D.L. 14/2022).