provvedimento 16 giugno 2020
Studi - Affari esteri Zona economica esclusiva italiana

È all'esame della Commissione Affari esteri della Camera, in sede referente, la proposta di legge A.C. 2313, d'iniziativa della deputata Iolanda Di Stasio ed altri, concernente l'istituzione di una zona economica esclusiva oltre il limite esterno del mare territoriale. La relazione introduttiva al provvedimento ne rinviene i presupposti giuridici nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata e resa esecutiva dal nostro Paese ai sensi della legge 2 dicembre 1994, n. 689.

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L'UNCLOS è uno dei più importanti risultati dell'attività di codificazione del diritto internazionale intrapresa nel quadro delle Nazioni Unite. Molte delle previsioni della Convenzione, peraltro, facevano già parte del diritto internazionale consuetudinario, ma non v'è dubbio che la loro puntuale codificazione, con la previsione tra l'altro di meccanismi ben definiti di risoluzione delle controversie, abbia costituito un progresso notevole sul piano giuridico-internazionale. Conclusa dopo circa un quindicennio di lavori preparatori nel quadro della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione si configura come un codice esaustivo volto a regolare i comportamenti degli Stati sui mari e sugli oceani, nonché lo sfruttamento delle risorse e la salvaguardia dell'ambiente naturale in tali ambiti.

La ratio della Convenzione deve essere rinvenuta nel superamento delle quattro Convenzioni adottate nella Conferenza di Ginevra del 29 aprile 1958, che coprivano le materie dell'alto mare, del mare territoriale e della zona ad esso contigua, della piattaforma continentale, della pesca e preservazione delle risorse biologiche marine.

L'Italia aveva proceduto a ratificare le due Convenzioni sull'alto mare e sul mare territoriale (con la legge 8 dicembre 1961, n. 1658) , mentre aveva attuato nella propria legislazione interna la Convenzione sulla piattaforma continentale.

La necessità di superare le Convenzioni del 1958 va posta in relazione a profondi mutamenti dell'assetto degli equilibri, a partire dagli anni Sessanta, quando subì una forte accelerazione il processo di decolonizzazione, con il relativo forte incremento nel numero degli Stati del mondo, molti dei quali naturalmente portati a rivendicare i propri diritti sulle risorse naturali di loro prossimità, potenzialmente esposte, tuttavia, allo sfruttamento completo solo da parte degli Stati più industrializzati, in possesso delle più avanzate tecnologie. Inoltre, il rapido progresso delle prospezioni petrolifere marine poneva nuovi problemi inerenti alla salvaguardia del patrimonio ittico e dell'ambiente marino.

La messa a punto della Convenzione di Montego Bay, che consta di 320 articoli  e 9 Allegati, adeguava il diritto del mare anzitutto al riconoscimento degli interessi degli Stati costieri, espandendone i poteri sui mari adiacenti, in particolare con la previsione dell'istituto giuridico della zona economica esclusiva.

Nella Convenzione veniva altresì riconosciuto l'interesse collettivo a preservare l'ambiente marino, consentendo nel contempo lo sfruttamento di talune risorse minerarie al di là della giurisdizione marina nazionale dei vari Stati. La Convenzione provvede a riconoscere la tradizionale libertà di movimento e di comunicazione in mare ed un articolato sistema di risoluzione delle controversie prevede la possibilità di mantenere un equilibrio tra i diversi e talora contrapposti interessi mediante un controllo giurisdizionale della corretta applicazione della Convenzione.

Le nozioni di "zona economica esclusiva" e di "piattaforma continentale"

Nella Convenzione del 1982 appaiono strettamente correlate le nozioni di "zona economica esclusiva" (ZEE) e di "piattaforma continentale" (PC). 

La zona economica esclusiva, disciplinata dalla Parte V della Convenzione, può estendersi tassativamente non oltre le 200 miglia dalle linee di base da cui è misurata l'ampiezza del mare territoriale (188 miglia dal mare territoriale). A differenza della PC, per poter divenire effettiva, deve essere oggetto di una proclamazione ufficiale da parte dello Stato costiero, notificata alla Comunità internazionale.

Il regime di delimitazione delle ZEE tra Stati con coste adiacenti od opposte, analogamente a quello previsto per la piattaforma continentale, deve farsi per accordo in modo da raggiungere un'equa soluzione.

In tale zona di mare lo Stato costiero:

  1. beneficia di diritti sovrani ai fini dell'esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche e minerali, che si trovano nelle acque sovrastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo: poteri che si sovrappongono a quelli sulla piattaforma continentale, assorbendoli completamente, e includendo anche altre attività dirette a fini economici, come la produzione di energia a partire dall'acqua, dalle correnti e dai venti, ma soprattutto la risorsa di maggior rilievo, ossia la pesca, oggetto principale della sovranità economica dello Stato costiero;
  2. esercita la propria giurisdizione in materia di:
     a)  installazione ed utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture;
     b)  ricerca scientifica;
     c)  preservazione e protezione dell'ambiente marino.

Nella ZEE tutti gli Stati, costieri e privi di litorale, hanno libertà di navigazione e di sorvolo, di posa in opera di cavi e condotte sottomarine. Inoltre, lo Stato interessato può consentire loro di esercitare la pesca, qualora la propria capacità di sfruttamento sia inferiore al volume massimo di risorse ittiche sfruttabili(Total Allowable Catch), fissato dallo stesso Stato costiero ed in forza di accordi bilaterali conclusi con i relativi Stati di appartenenza tenuto conto, in particolare, della necessità degli Stati che non hanno sbocchi sul mare (land-locked) o geograficamente svantaggiati

Le previsioni della Convenzione  in materia di pesca sono la manifestazione più evidente di come l'interesse alla conservazione ed allo sfruttamento delle risorse non sia soltanto dello Stato costiero, ma dell'intera Comunità internazionale.

Indubbiamente la disciplina convenzionale attribuisce allo Stato costiero nella ZEE vantaggi prima sconosciuti: basti pensare al regime del consenso previsto per le attività di ricerca scientifica poste in essere da navi straniere o al regime delle autorizzazioni per quanto riguarda le isole ed installazioni artificiali fisse o alla giurisdizione ai fini della protezione dell'ambiente marino contro l'inquinamento.

Assai articolati appaiono inoltre  i poteri di uso della forza (art. 73 dell'UNCLOS) che lo Stato costiero può esercitare a tutela dei propri diritti di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse biologiche nella propria ZEE; poteri coercitivi che comprendono l'abbordaggio, l'ispezione, il fermo e la sottoposizione a procedimento giudiziario. 

Sono, comunque, garantiti i diritti di navigazione e di sorvolo, senza distinzione tra unità militari e mezzi civili, nonché di posa in opera di condotte e cavi sottomarini.

In buona sostanza, si può affermare che nella ZEE tutte le attività concernenti l'utilizzazione delle risorse rientrano nelle competenze dello Stato costiero, mentre tutte le attività relative alle comunicazioni internazionali restano comprese fra i diritti degli Stati terzi. 

E' importante soggiungere che, a prescindere dalla proclamazione della ZEE, il suo esercizio può tuttavia essere attuato in modo parziale, relativamente all'ambiente marino, o alla pesca, o anche ad entrambe. A questo fine alcuni Stati - tra i quali l'Italia - hanno creato zone di protezione ecologica (ZPE) ovvero zone di riserva o protezione della pesca (ZRP/PP). Benché tali zone non siano espressamente previste da norme positive, la prassi internazionale ne ammet-te l'istituzione quali zone sui generis costituenti un minus, alle quali si applica in via analogica, la normativa prevista dall'UNCLOS per le ZEE relativamente ad estensione, delimitazione ed esercizio di poteri di enforcement.

La piattaforma continentale, disciplinata dalla parte VI dell'UNCLOS, costituisce l'area sottomarina che si estende al di là delle acque territoriali, attraverso il prolungamento naturale del territorio emerso, sino al limite esterno del margine continentale, o sino alla distanza di 200 miglia dalle linee di base, qualora il margine continentale non arrivi a tale distanza. Quello delle 200 miglia è, in definitiva, considerato dalla Convenzione come il limite minimo della piattaforma continentale.

L'UNCLOS - nel superare la tradizione concezione geomorfologica adottata dalla Convenzione di Ginevra del 1958 - ha adottato criteri diversi, che prescindono dalla nozione "geografica" o "morfologica" della piattaforma stessa. E' stato così stabilito che la piattaforma continentale si estenda, alternativamente:

  1. fino al bordo estremo del margine continentale, ma non oltre la distanza di 350 miglia marine dalle linee di base del mare territoriale ovvero 100 miglia dall'isobata dei 2500 metri. Con tale sistema si è posto un limite all'estensione della piattaforma continentale che per alcuni Stati, tenendo conto del solo dato geologico, poteva risultare eccessivamente estesa;
  2. fino alla distanza di 200 miglia dalla linea di base del mare territoriale, se il margine continentale si trova ad una distanza inferiore. Si è evitato, in questo modo, che alcuni Stati, la cui piattaforma continentale risultava essere di limitate dimensioni, fossero posti in condizioni svantaggiose rispetto ad altri.

Sulla PC lo Stato costiero esercita diritti sovrani con riferimento all'esplorazione e sfruttamento delle risorse naturali della stessa, ossia le risorse minerarie (ad esempio, gli idrocarburi) e le risorse biologiche sedentarie (organismi viventi che rimangono immobili sulla piattaforma o che si spostano rimanendo sempre in contatto con il fondo marino.

Agli Stati terzi, invece, spettano le "tradizionali libertà" dell'alto mare alle condizioni stabilite dallo Stato costiero: a) navigazione; b) sorvolo; c) pesca (salvo che non vi sia l'esistenza di zone riservate o zone economiche esclusive nella zona d'acqua sovrastante); d) posa di cavi e condotte sottomarine.

I diritti dello Stato costiero sulla propria piattaforma continentale gli appartengono ab origine  e perciò non hanno bisogno di proclamazione. Inoltre, a differenza del diritto di sovranità sul mare territoriale, tali diritti:

  1. hanno natura funzionale: lo Stato costiero può esercitare il proprio potere di governo solo nella misura strettamente necessaria per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma;
  2. sono esclusivi, nel senso che nessuno Stato può effettuare attività di esplorazione o sfruttamento sulla piattaforma continentale senza la preventiva autorizzazione dello Stato costiero.

Un problema molto delicato, data la vastità delle aree marine impegnate dai poteri degli Stati costieri sulla piattaforma continentale, è quello della delimitazione della piattaforma tra Stati costieriche si fronteggiano o che sono adiacenti. A tal proposito, la Convenzione di Montego Bay (art. 83) impone agli Stati di concordare una delimitazione tra loro, sulla base del diritto internazionale, in modo da raggiungere una "soluzione equa", abbandonando il criterio della "linea mediana" che era stabilito nella Convenzione di Ginevra, nel caso in cui non si raggiunga l'accordo tra Stati frontisti o limitrofi. 

Vale poi senz'altro la pena di accennare alla  parte XV dell'UNCLOS, collegata agli Allegati V-VIII, dedicata alla  risoluzione delle controversie: le Parti della Convenzione di Montego Bay si impegnano a sottoporre a giudizio o ad arbitrato un ampio gruppo di potenziali conflitti nell'applicazione e nell'interpretazione della Convenzione stessa. Ciascuna delle Parti, con specifica dichiarazione, potrà optare per la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia o per quella dell'istituendo Tribunale internazionale del diritto del mare, ovvero ancora per una soluzione arbitrale - alla quale si ricorrerà comunque qualora due o più Parti in conflitto abbiano optato per giurisdizioni diverse. Il Tribunale internazionale del diritto del mare costituisce la seconda istituzione creata dalla Convenzione di Montego Bay, accanto alla già citata Autorità dei fondi marini. Basato ad Amburgo e composto da 21 giudici, il Tribunale sarà competente anche in materia di sfruttamento minerario dei fondi marini mediante una sua apposita sezione. Il Tribunale sarà inoltre investito della procedura sommaria di rapido rilascio di navi oggetto di fermo o sequestro.
Va infine ricordata, nella  XVII e ultima parte della Convenzione, la previsione per la quale le organizzazioni internazionali oggetto di trasferimento di poteri nelle materie della Convenzione possano divenire parte della medesima Convenzione, una previsione ritagliata quasi  ad hoc per l'allora Comunità europea, cui erano state delegate competenze esclusive in materia di pesca e competenze concorrenti in materia di protezione ambientale. In consonanza a tutto ciò si prevedeva la possibilità per la Comunità europea di ratificare in proprio la Convenzione dopo la ratifica della maggioranza degli Stati membri.
ultimo aggiornamento: 16 giugno 2020

Nel Bacino mediterraneo - dove la distanza tra le coste opposte è sempre inferiore a 400 miglia -  a fronte dell'esigenza di tutelare le proprie risorse ittiche dal continuo depauperamento messo in atto da flotte pescherecce provenienti dall'Estremo Oriente o con la finalità proteggere le loro coste dai rischi di inquinamento, molti Stati hanno già istituito da tempo delle ZEE o delle zone in cui esercitare parte dei diritti funzionali relativi alle ZEE (v. sopra). 

In questo senso si sono orientati alcuni Stati contigui o frontisti dell'Italia e segnatamente la Croazia (con decisione del Parlamento del 3 ottobre 2003),  la Francia, che ha trasformato in ZEE la preesistente Zona di protezione ecologica (decreto del 12 ottobre 2012), la Spagna (con decreto reale del 5 aprile 2013 che ha trasformato la preesistente Zona di protezione della pesca), la Tunisia (con provvedimento del 27 giugno 2005), la Libia (con decisione della Commissione generale del Popolo del 31 maggio 2009 che ha trasformato in ZEE la precedente Zona di protezione della pesca; con un ulteriore, recentissimo accordo, in data 27 novembre 2019, ha delimitato i confini marittimi con la Turchia).

Tra gli altri Stati mediterranei che hanno proceduto ad istituire proprie ZEE si ricordano Cipro, Egitto, Israele, Libano, Marocco, Monaco, Siria e Turchia.

L'istituzione di una zona economica esclusiva da parte dell'Algeria
L'Algeria ha proceduto ad istituire una propria ZEE con  decreto presidenziale del 20 marzo 2018, senza un preliminare accordo con gli Stati frontisti e confinanti, creando un'area sovrapposta,  ad ovest della Sardegna, alla zona di protezione ecologica (ZPE) istituita dal nostro Paese nel 2011 e con l'analoga ZEE istituita dalla Spagna nel 2013: in particolare, la ZEE algerina lambisce per  70 miglia le acque territoriali italiane a sud-ovest della Sardegna.

Secondo quanto dichiarato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, D'Incà, in esito all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea,  n. 3-01287, del 5 febbraio scorso, presentata dal deputato Claudio Borghi, Algeri ha disatteso l'articolo 74 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che richiede agli Stati, nelle more di un accordo di delimitazioni, di cooperare in buona fede con gli Stati vicini e di non compromettere o ostacolare il raggiungimento dell'accordo finale con comportamenti lesivi degli interessi degli altri Stati.

L'Italia ha contestato la decisione algerina con una nota a verbale del 26 novembre 2018, con cui si propone l'avvio di negoziati per raggiungere un accordo di reciproca soddisfazione in materia, in linea con il richiamato articolo 74 della predetta Convenzione, peraltro richiamata anche dal citato decreto presidenziale algerino. La contestazione è stata successivamente ribadita con un'analoga nota della Rappresentanza d'Italia presso le Nazioni Unite al Segretario generale dell'ONU, inviata il 28 novembre 2018. 
A seguito della contestazione italiana, l'Algeria si è detta disponibile, con nota verbale del 20 giugno 2019, ad agire in comune attraverso il dialogo allo scopo di giungere ad una soluzione equa mutualmente accettabile sui limiti esterni della zona economica esclusiva dell'Algeria e dello spazio marittimo dell'Italia, conformemente all'articolo 74 e alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. In risposta l'Italia ha proposto la costituzione di una Commissione congiunta che porti in tempi ragionevolmente brevi alla definizione di un accordo di delimitazione. Tale posizione è stata ribadita a margine della conferenza  Med-Dialogues, svoltasi a Roma ad inizio dello scorso dicembre, con il Ministro degli Esteri algerino ottenendo la rassicurazione che non c'è da parte di Algeri alcuna volontà di ledere gli interessi del nostro Paese. Gli orientamenti italiani sono state condivisi con la Spagna che non ha ancora avviato contatti con l'Algeria.
La massima apertura al negoziato è stata ribadita da Algeri in occasione delle recenti visite in Algeria del ministro degli affari esteri Di Maio e del presidente del Consiglio Conte. In tale prospettiva sta entrando in funzione, secondo quanto emerso nel corso della missione del sottosegretario agli Affari esteri, Di Stefano, l'1 e 2 marzo scorsi, un  comitato bilaterale italo-algerino che possa definire le rispettive aree marittime di interesse esclusivo. Interrogazioni di analogo contenuto, tuttora in attesa di svolgimento, sono state presentate dal deputato  Delmastro Delle Vedove (5-03470, in data 31 gennaio 2020) e dal senatore  Iwobi (4-02860, in data 6 febbraio 2020).
ultimo aggiornamento: 16 giugno 2020

L'Italia è stato il primo e il più attivo degli Stati del Mediterraneo ad avviare negoziato per la conclusione di numerosi accordi di delimitazione della piattaforma continentale: in particolare, quello stipulato con Belgrado fu il primo accordo di delimitazione negoziato nel Bacino mediterraneo, concluso a Roma l'8 gennaio 1969 e reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1969, n,. 830).

Si segnalano inoltre i seguenti accordi:

- con la Tunisia, in base ad un accordo concluso a Tunisi il 20 agosto 1971 (ratificato ai sensi della legge 3 giugno 1978, n. 347);

- con la Spagna, in base ad un accordo concluso a Madrid il 19 febbraio 1974 (ratificato ai sensi della legge 3 giugno 1978, n. 348);

- con la Grecia, in base ad un accordo concluso ad Atene il 24 maggio 1977 (ratificato ai sensi della legge 23 maggio 1989, n. 290);

- con l'Albania, in base ad un accordo concluso a Tirana il 18 dicembre 1992 (ratificato ai sensi della legge 12 aprile 1995, n. 147).

Per quanto riguarda Malta, a seguito di scambio di Note verbali del 29 aprile 1970 tra i rispettivi Ministri degli affari esteri, l'Italia ha instaurato un modus vivendi riguardante la delimitazione parziale ed a carattere provvisorio di una porzione della piattaforma continentale.

E' importante altresì ricordare che, a seguito della proclamazione di zone economiche di protezione della pesca da parte di Algeria, Spagna, Croazia e Libia e dopo la proclamazione di una zona di protezione ecologica da parte francese, con la legge 8 febbraio 2006, n. 61, il nostro Paese ha autorizzato l'istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale e fino ai limiti previsti dal successivo comma 3 quali risultanti da appositi accordi con gli Stati il cui territorio fronteggia quello italiano o è ad esso adiacente.

La normativa prevede in particolare che nelle zone di protezione ecologica in tal modo istituite il nostro Paese eserciti la propria giurisdizione in materia di protezione dell'ambiente marino e del patrimonio archeologico e storico. Entro tali zone di protezione ecologica trovano applicazione le norme del diritto italiano, del diritto dell'Unione europea e dei trattati internazionali di cui l'Italia è parte in materia di prevenzione e repressione di tutti i tipi di inquinamento marino, come anche in materia di protezione dei mammiferi e della biodiversità, nonché del patrimonio archeologico e storico. Per quanto concerne le attività di pesca, invece, una successiva modifica del comma 3 rinvia a quanto previsto dal Regolamento UE n. 1380 del 2013.

In esecuzione della legge n. 61/2016 è stato emanato, con il DPR 27 ottobre 2011, n. 209, il  regolamento recante istituzione di zone di protezione ecologica del Mediterraneo nord-occidentale, del Mar Ligure e del Mar Tirreno.

ultimo aggiornamento: 16 giugno 2020

L'articolo 1, al comma 1, autorizza l'istituzione di una zona economica esclusiva oltre il limite esterno del mare territoriale italiano; al comma 2, prevede che tale zona sia istituita con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da notificare agli Stati il cui territorio è adiacente al territorio dell'Italia o lo fronteggia.

Sulla scorta del comma 3, i limiti esterni della ZEE verranno determinati sulla base di accordi con gli Stati il cui territorio è adiacente a quello italiano o lo fronteggia. Nelle more della stipula di detti accordi, i limiti esterni della zona economica esclusiva sono definiti provvisoriamente in modo da non ostacolare o compromettere la conclusione dei summenzionati accordi.

 

L'articolo 2, al comma 1, prevede che all'interno della ZEE l'Italia eserciti i propri diritti sovrani in materia di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, anche ai fini di altre attività connesse con l'esplorazione e con lo sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall'acqua, dalle correnti e dai venti; giurisdizione, in conformità alla citata Convenzione, relativamente all'installazione e all'utilizzazione di isole artificiali, di impianti e di strutture, alla ricerca scientifica marina, nonché alla protezione e alla preservazione dell'ambiente marino.

Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che all'interno della ZEE si applichino, anche nei confronti delle navi battenti bandiera straniera e delle persone di nazionalità straniera, le norme del diritto italiano, del diritto dell'Unione europea e dei trattati internazionali in vigore per l'Italia. Si valuti l'eventualità di sopprimere tale formulazione, meramente ripetitiva di un principio generale in ordine al rispetto delle fonti normative.

Infine l'articolo 3, comma 1, è dedicato ai diritti degli altri Stati all'interno della ZEE proclamata dall'Italia: in particolare, sono salvaguardati, in applicazione dell'UNCLOS, l'esercizio della libertà di navigazione e di sorvolo, nonché di messa in opera di condotte e cavi sottomarini. In questo caso si valuti l'opportunità d'inserire, al posto del mero riferimento ai diritti degli Stati terzi nella ZEE previsti dall'UNCLOS, un riferimento più ampio ai diritti riconosciuti dal diritto internazionale generale o pattizio ai medesimi soggetti.

L'attuazione della proposta di legge in esame, sulla base della relazione introduttiva che la correda, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

ultimo aggiornamento: 16 giugno 2020
 
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