L'esame parlamentare del testo di riforma è durato circa 2 anni dalla data di presentazione del disegno di legge del Governo, l'8 aprile 2014. Il testo approvato, con modificazioni, in prima lettura dal Senato nella seduta dell'8 agosto 2014 è stato trasmesso alla Camera che lo ha approvato, con modificazioni, il 10 marzo 2015. Il testo, nuovamente emendato dal Senato, è stato approvato da tale ramo del Parlamento – in prima deliberazione - il 13 ottobre 2015 e dalla Camera nella seduta dell'11 gennaio 2016 e - in seconda deliberazione, trascorsi tre mesi ai sensi dell'art. 138 Cost. - dal Senato, nella seduta del 20 gennaio 2016, e dalla Camera, nella seduta del 12 aprile 2016.
Lavori parlamentari: sintesi e sedute
Il testo - approvato in via definitiva dal Parlamento nell'aprile 2016 e sul quale l'esito del referendum, svolto il 4 dicembre 2016, ai sensi dell'art. 138 Cost. non è stato favorevole - era finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto e all'introduzione di un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continuava ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica ma i due organi avevano composizione diversa e funzioni in gran parte differenti.
Il testo approvato, oltre al superamento dell'attuale sistema bicamerale, prevedeva, in particolare:
Per approfondimenti sul testo approvato e sull'iter parlamentare, è possibile consultare i Dossier del Servizio Studi, serie Progetti di legge, nn. 216/12 parte prima (schede di lettura), parte seconda (testo a fronte) e parte terza (sintesi del contenuto).
Nell'architettura costituzionale delineata dal provvedimento alla Camera dei deputati - che "rappresenta la Nazione" e di cui restava immodificata la composizione - spettava la titolarità del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo dell'operato del Governo.
Diversamente, il Senato della Repubblica: allo stesso era attribuita la funzione di rappresentanza degli enti territoriali nonché di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica; il concorso all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione; il concorso all'esercizio di funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea; la partecipazione alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea; la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni; la verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori; il concorso all'espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge; il concorso alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato.
Al Senato era inoltre espressamente attribuita la facoltà di svolgere attività conoscitive nonché di formulare osservazioni su atti o documenti all'esame dell'altro ramo del Parlamento. Ad esso competeva altresì l'espressione di un parere sul decreto del Presidente della Repubblica con cui sono disposti lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della giunta (competenza attualmente attribuita dalla Costituzione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali).
Mutava la modalità di elezione del Senato, del quale avrebbero fatto parte parte (a seguito di modifiche approvate dall'Aula) 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori di nomina presidenziale (cui si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica). I 95 senatori erano eletti in secondo grado dai consigli regionali tra i propri membri e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. Il Senato diveniva organo a rinnovo parziale, non sottoposto a scioglimento, poiché la durata dei senatori eletti coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti. Viene dunque sostituita l'elezione a suffragio universale e diretto per il Senato con un'elezione di secondo grado ad opera delle assemblee elettive regionali, da svolgere in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi.
Diversa era la partecipazione delle due Camere alla funzione legislativa, finora svolta su base paritaria. Infatti, quanto al procedimento legislativo, restavano immutate le competenze dei due rami del Parlamento solo per alcune determinate categorie di leggi, espressamente indicate dalla Costituzione – che sarebbero state quindi ad approvazione bicamerale. Tutte le altre leggi erano approvate, in base al testo di riforma, dalla sola Camera dei deputati, con un procedimento legislativo monocamerale. Al Senato – che "concorre, nei casi e secondo le modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa" - era affidata la formulazione di proposte di modifiche, che erano poi esaminate dalla Camera, la quale poteva discostarsene a maggioranza semplice; la maggioranza assoluta nel voto finale era richiesta solo ove la Camera intendesse discostarsi dalle proposte di modificazione del Senato riguardanti le leggi che davano attuazione alla clausola di supremazia.
Il Senato poteva altresì richiedere alla Camera, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, di procedere all'esame di un progetto di legge. Inoltre, i senatori mantenevano inalterato il loro potere di iniziativa legislativa, fermo restando che, ad eccezione dei disegni di legge ad approvazione bicamerale, per tutti gli altri l'esame iniziava alla Camera.
Alla Camera era attribuita la competenza ad assumere la deliberazione dello stato di guerra, a maggioranza assoluta, e ad adottare la legge che concede l'amnistia e l'indulto, con deliberazione assunta con la maggioranza qualificata richiesta dalla Costituzione. La Camera era inoltre competente ad autorizzare la ratifica dei trattati internazionali, ad eccezione di quelli relativi all'appartenenza dell'Italia all'UE, che rientravano tra i casi di approvazione bicamerale. Alla Camera spettava altresì il potere di autorizzare la sottoposizione alla giurisdizione ordinaria del Presidente del Consiglio e dei Ministri per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni.
Il potere di istituire Commissioni di inchiesta veniva mantenuto sia in capo alla Camera sia al Senato, peraltro limitato, per quest'ultimo, a inchieste su materie di pubblico interesse "concernenti le autonomie territoriali".
Restava ferma la previsione che attribuisce al Parlamento in seduta comune l'elezione del Presidente della Repubblica, ma non era più prevista la partecipazione all'elezione dei delegati regionali, alla luce della nuova composizione del Senato. Inoltre, nel caso in cui il Presidente della Repubblica non possa adempiere le proprie funzioni, la supplenza sarebbe spettata al Presidente della Camera (la Costituzione la attribuisce al Presidente del Senato). Viene modificato il quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, prevedendo che dal quarto scrutinio sia necessaria la maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea, e a partire dal settimo scrutinio, è richiesta la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Al contempo, veniva modificata la previsione costituzionale che attribuisce al Parlamento in seduta comune l'elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale di nomina presidenziale stabilendo che i cinque giudici costituzionali nominati dal Parlamento venissero nominati, separatamente, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato.
Al fine di rafforzare l'incidenza del Governo nel procedimento legislativo, la riforma riconosceva all'Esecutivo il potere di chiedere che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo fosse iscritto con priorità all'ordine del giorno della Camera e sottoposta alla pronuncia in via definitiva della stessa entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione, ulteriormente prorogabili per non oltre quindici giorni (c.d. istituto del voto a data certa).
Altre disposizioni concernevano la decretazione d'urgenza ed il relativo procedimento di conversione. In particolare, la riforma introduceva in Costituzione alcuni limiti, previsti dalla normativa ordinaria, disponendo che il decreto-legge non poteva:
Inoltre, era prescritto in Costituzione che i decreti-legge dovessero recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. E che corso dell'esame di disegni di legge di conversione in legge dei decreti legge non possono essere approvate disposizioni estranee all'oggetto o alle finalità del decreto.
Il disegno di legge recava, inoltre, la riforma del titolo V della Costituzione.
In primo luogo, erano soppresse le previsioni costituzionali relative alle province, quale ente costitutivo della Repubblica.
Veniva profondamente rivisto il riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e regioni (v. infografica infra), oggetto dell'articolo 117 Cost. Era, in particolare, soppressa la competenza concorrente con una redistribuzione delle materie tra competenza legislativa statale e competenza regionale. Tra le materie attribuite alla competenza statale si richiamano, in particolare: la tutela e la promozione della concorrenza; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; le disposizioni generali per la tutela della salute; la sicurezza alimentare; la tutela e sicurezza del lavoro, nonchè le politiche attive del lavoro; l'ordinamento scolastico, l'istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica.
Inoltre, era introdotta la c.d. "clausola di supremazia", in base alla quale la legge statale - su proposta del Governo - può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva, quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica ovvero al tutela dell'interesse nazionale.
Veniva al contempo modificato l'art. 116 della Costituzione, che disciplina il c.d. regionalismo differenziato. In particolare, era ridefinito l'ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle regioni ordinarie facendo riferimento ai seguenti ambiti di competenza legislativa statale; era introdotta una nuova condizione per l'attribuzione, essendo necessario che la regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio; l'iniziativa della regione interessata non era più presupposto necessario per l'attivazione del procedimento legislativo aggravato, ma solo condizione eventuale; l'attribuzione delle forme speciali di autonomia avviene con legge "approvata da entrambe le Camere", senza però richiedere più la maggioranza assoluta dei componenti, ferma restando la necessità dell'intesa tra lo Stato e la regione interessata.
Le modifiche introdotte non si applicavano alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome fino all'adeguamento dei rispettivi statuti, salvo specifiche disposizioni disposte con riferimento all'applicazione dell'art. 116 della Costituzione, che disciplina il c.d. regionalismo differenziato.
Il testo di riforma costituzionale esaminato nella XVII legislatura: il riparto di competenze tra lo Stato e le regioni