Le condizioni dell'accoglienza per i richiedenti protezione internazionale sono disciplinate dalla direttiva 2013/33/UE, la cosiddetta direttiva accoglienza che sostituisce la precedente direttiva 2003/9/UE.
La direttiva del 2003 era stata recepita nell'ordinamento interno dal decreto legislativo n. 140/2005, poi abrogato dal decreto legislativo n. 142/2015 che ne ha sostituito il contenuto, aggiornandolo con le disposizioni della nuova direttiva accoglienza del 2013.
Il c.d. decreto accoglienza (D.Lgs. 142/2015) è stato modificato ed integrato più volte, dapprima, ad opera del decreto-legge n. 13/2017 che ha previsto alcuni interventi urgenti in materia di immigrazione e, successivamente, con la L. n. 47/2017 sui minori stranieri non accompagnati e con il correttivo D.Lgs. n. 220/2017. Nell'attuale legislatura, il D.L. 113/2018 (c.d. decreto immigrazione e accoglienza) ha introdotto ulteriori modifiche, che riformano in parte l'impianto complessivo del sistema.
I destinatari del sistema di accoglienza disciplinato dal D.Lgs. n. 142/2015 sono gli stranieri non comunitari e gli apolidi, richiedenti protezione internazionale (ossia il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria) nel territorio nazionale (comprese le frontiere e le zone di transito), nonché i familiari inclusi nella domanda di protezione. Le misure di accoglienza si applicano dal momento di manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale (non già dal momento della presentazione della domanda, come era previsto dall'articolo 5 del D.Lgs. n. 140 del 2005) e si applicano anche nei confronti di coloro per i quali è necessario stabilire lo Stato membro competente all'esame della domanda ai sensi del c.d. regolamento Dublino III (art. 1).
Le misure di accoglienza dei richiedenti asilo sono assicurate per tutto il periodo in cui si svolge il procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale competente, fino al momento della decisione. Se la Commissione territoriale rigetta la domanda, la durata dell'accoglienza è commisurata a quella del ricorso giurisdizionale. Le misure di accoglienza pertanto continuano ad essere assicurate fino alla scadenza del termine per l'impugnazione della decisione.
Il sistema di accoglienza, alla luce del D.L. 113/2018
In materia di accoglienza, il decreto legislativo n. 142/2015 ha fissato il principio della leale collaborazione tra i livelli di governo interessati, secondo apposite forme di coordinamento nazionale e regionale (art. 8) basate sul Tavolo di coordinamento nazionale, insediato presso il Ministero dell'interno, con compiti di indirizzo, pianificazione e programmazione in materia di accoglienza, compresi quelli di individuare i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare alle finalità di accoglienza (art. 16).
Il Tavolo predispone annualmente, salva la necessità di un termine più breve, un Piano nazionale per l'accoglienza che, sulla base delle previsioni di arrivo per il periodo considerato, individua il fabbisogno dei posti da destinare alle finalità di accoglienza. Le linee di indirizzo e la programmazione sono poi attuati a livello territoriale attraverso Tavoli di coordinamento regionale.
Le misure di accoglienza dei richiedenti asilo si articolano in diverse fasi, che sono state ridefinite con il D.L. 113/2018.
La primissima fase, antecedente alla accoglienza vera e propria, consiste nel soccorso e prima assistenza, nonché nelle attività volte all'identificazione dei migranti, soprattutto nei luoghi di sbarco (art. 8, co. 2). In base agli impegni assunti dallo Stato italiano nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione, adottata nel 2015, tali funzioni sono svolte nelle aree c.d. hotspot (punti di crisi) allestite nei luoghi dello sbarco.
Successivamente, i richiedenti protezione internazionale possono accedere ai centri governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di consentire l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni negli hotspot), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza.
Tali funzioni sono assicurate dai centri governativi di nuova istituzione, previsti dal decreto legislativo n. 142/2015 sulla base della programmazione dei tavoli di coordinamento nazionale e interregionali (art. 9) e, in prima applicazione, dai centri di accoglienza già esistenti, come i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e i Centri di accoglienza (CDA). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
Nel caso di esaurimento dei posti all'interno delle strutture di prima accoglienza, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti cui l'ordinario sistema di accoglienza non sia in grado di far fronte, i richiedenti possono essere ospitati in strutture temporanee di emergenza (art. 11, D.Lgs. 142/2015). Tali strutture (denominate centri di accoglienza straordinaria - CAS) sono individuate dalle prefetture - uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura (secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici) e la permanenza in tali strutture è stabilita per un tempo limitato, in attesa del trasferimento nelle strutture di prima accoglienza.
Nell'impianto originario, il decreto n. 142 del 2015 prevedeva per i richiedenti asilo privi di mezzi, una volta esaurita la prima fase di accoglienza, la possibilità di accedere ai servizi di accoglienza integrata nell'ambito dello SPRAR (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati), cioè quei servizi predisposti su base volontaria dalla rete degli enti locali mediante progetti finanziati prevalentemente a carico del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. Il D.L. 113/2018, al fine di operare una razionalizzazione dei servizi di c.d. seconda accoglienza, ha stabilito che possono accedere allo SPRAR solo i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) e i minori non accompagnati.
Nella nuova cornice normativa, pertanto, i richiedenti asilo non possono più accedere ai servizi dello SPRAR, ma potranno essere accolti solo nei CAS o nei centri governativi di prima accoglienza. Una disposizione transitoria consente che i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria già presenti nel Sistema di protezione alla data di entrata in vigore del decreto-legge (5 ottobre 2018) possono rimanere in accoglienza nel Sistema fino alla scadenza del progetto di accoglienza in corso, già finanziato. I minori non accompagnati richiedenti asilo, al compimento della maggiore età, potranno rimanere nel Sistema fino alla definizione della domanda di protezione internazionale.
Informazione e soggiorno
La prima fase dell'accoglienza si realizza con l'obbligo di informazione a favore del richiedente protezione internazionale, attraverso la consegna di un opuscolo informativo, redatto possibilmente nella lingua del richiedente, circa le condizioni dell'accoglienza e le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale (art. 3).
Inoltre, al momento della richiesta di protezione viene lasciata una ricevuta attestante la presentazione della domanda di protezione internazionale che costituisce permesso di soggiorno provvisorio. Successivamente, il richiedente ottiene un permesso di soggiorno per richiesta asilo della durata di sei mesi (pari al termine entro cui la procedura per il riconoscimento o il diniego della protezione internazionale, da parte della Commissione territoriale, dovrebbe concludersi), ferma restando la rinnovabilità del permesso di soggiorno per richiesta asilo, fino alla decisione sulla domanda di protezione o sull'impugnazione del suo diniego (art. 4).
Il D.L. 113/2018 (art. 13) aveva disposto che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, fermo restando che esso costituisce documento di riconoscimento, come invece prima garantito. La disposizione è stata censurata dalla Corte costituzionale, che ne ha dichiarato l'incostituzionalità per violazione dell'articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l'accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti (sentenza del 9 luglio 2020).
Da parte sua, il richiedente ha l'obbligo di comunicare alla questura il proprio domicilio o residenza, così come ogni successivo mutamento. L'indirizzo del centro o della struttura di accoglienza, per il richiedente che vi si trovi, costituisce il domicilio agli effetti del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale e del trattenimento. L'accesso ai servizi previsti dal decreto e a quelli comunque erogati sul territorio è assicurato nel luogo di domicilio (art. 5).
Con il decreto-legge n. 13 del 2017 (art. 6) sono state introdotte modalità più celeri in materia di notificazione degli atti al richiedente protezione internazionale e di verbalizzazione dei colloqui presso la Commissione nazionale e le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Per quanto riguarda la notificazione delle decisioni e degli atti relativi al procedimento di riconoscimento, si prevede l'utilizzo della posta elettronica certificata qualora l'interessato sia ospitato in un centro, ovvero del mezzo postale ordinario, in caso di diverso domicilio. Inoltre, si prevede la videoregistrazione del colloquio personale con il richiedente e la successiva trascrizione con l'ausilio di mezzi automatici di riconoscimento vocale, in luogo della tradizionale verbalizzazione.
Misure di prima accoglienza
I migranti che manifestano l'intenzione di chiedere la protezione internazionale, a meno che non ricorrano le condizioni che necessitino il trattenimento (si v., infra), sono accompagnati nei centri governativi di prima accoglienza, che hanno la funzione di consentire l'identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni nei centri di primo soccorso dislocati nei luoghi di sbarco), la verbalizzazione e l'avvio della procedura di esame della domanda di asilo, l'accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza.
I centri sono istituiti a livello regionale o interregionale con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata, anche mediante la riconversione dei preesistenti Centri di assistenza richiedenti asilo (CARA) e Centri di accoglienza (CDA). La gestione dei centri di prima accoglienza può essere affidata ad enti locali, ad enti pubblici e privati che operano nel settori dell'immigrazione o dell'assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici (art. 9).
Nei centri di prima accoglienza devono essere assicurati il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all'età, la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti, l'unità dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l'apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze. Sono adottate misure idonee a prevenire ogni forma di violenza e a garantire la sicurezza e la protezione dei richiedenti e del personale che opera presso i centri. La legge richiede che tale personale sia adeguatamente formato e rispetti l'obbligo di riservatezza sui dati e sulle informazioni riguardanti i richiedenti presenti nel centro (art. 10).
Nel caso di esaurimento dei posti all'interno delle strutture di prima accoglienza, i richiedenti possono essere ospitati nei centri di accoglienza straordinaria - CAS, ossia strutture individuate dalle prefetture - uffici territoriali del Governo, previo parere dell'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. La legge consente, nei casi di estrema urgenza, il ricorso alle procedure di affidamento diretto (art. 11, D.Lgs. 142/2015). La permanenza in tali strutture è stabilita per un tempo limitato, ossia in attesa del trasferimento nelle strutture di prima accoglienza. Nella prassi, tuttavia, a fronte dei consistenti arrivi di migranti, si è registrato un inevitabile ricorso alle strutture temporanee di prima accoglienza (per il 2017 ammontavano a 9.132 unità, sparse sul territorio), che ospitano la maggior parte dei richiedenti asilo.
Per approfondimenti, si rinvia alla Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza di stranieri nel territorio nazionale, riferita all'anno 2017 trasmessa a fine agosto 2018 dal Ministero dell'interno al Parlamento (Doc. LI, n. 1).
Il decreto legge n. 113 del 2018 (art. 12-bis) ha stabilito in proposito che il Ministero dell'interno effettua, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, un monitoraggio dell'andamento dei flussi migratori finalizzato a consentire la progressiva chiusura delle strutture di accoglienza straordinaria.
Trattenimento
L'art. 6 del decreto legislativo n. 142 del 2015 vieta di poter trattenere il richiedente protezione internazionale al solo fine di esaminare la sua domanda. Enumera poi alcuni casi in cui, in presenza di determinate circostanze, i richiedenti protezione internazionale possono essere trattenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri (ex CIE) di cui all'art. 14 del D.Lgs. n. 286/1998, dove, se possibile, sono allestiti appositi spazi a loro destinati.
Il trattenimento è disposto dal questore nelle seguenti ipotesi:
Al di fuori di tali ipotesi, il richiedente che si trova in un centro in attesa dell'esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento, vi rimane quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda sia stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione dell'espulsione (azione dilatoria dell'espulsione).
A seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 113/2018 (art. 3), sono previste due nuove ipotesi di trattenimento motivate dalla necessità di determinare o verificare l'identità o la cittadinanza dello straniero richiedente protezione internazionale in luoghi determinati e per tempi definiti (art. 6, co. 3-bis, D.Lgs. 142/2015).
In particolare, il trattenimento è autorizzato per determinare o verificare l'identità o la cittadinanza dello straniero richiedente protezione internazionale, per il tempo strettamente necessario, e comunque non superiore a 30 giorni, in appositi locali all'interno delle aree hotspot (punti di crisi).
Qualora non sia stato possibile pervenire alla determinazione ovvero alla verifica dell'identità o della cittadinanza dello straniero richiedente protezione internazionale, questo può essere trattenuto, per un periodo massimo di 180 giorni, nei Centri di permanenza per i rimpatri, in conformità alle disposizioni relative alla proroga del trattenimento nei medesimi Centri (art. 14, co. 5, D.Lgs. 286/1998)
Nel caso di trattenimento deve essere assicurata ai richiedenti asilo la piena assistenza e rispetto della dignità e deve essere garantito l'accesso ai centri dei rappresentanti dell'Alto commissariato ONU per i rifugiati, agli avvocati e ai rappresentanti degli enti di tutela dei rifugiati (art. 7, D.Lgs. n. 142/2015).
Il trattenimento del richiedente asilo nei Centri di permanenza per i rimpatri non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all'esame della domanda, salvo che sussistano ulteriori motivi di trattenimento ai sensi dell'art. 14 del TU immigrazione (si v., infra).
Il D.L. n. 13/2017 (art. 8) ha previsto infine:
l'impossibilità di trattenere nei centri di permanenza per i rimpatri i richiedenti asilo le cui condizioni di vulnerabilità (e non solo di salute) siano incompatibili con il trattenimento;
Accoglienza di persone portatrici di esigenze particolari
Ai richiedenti asilo che rientrano in alcune categorie vulnerabili sono assicurate forme di assistenza particolari nella prestazione delle misure di accoglienza.
Si tratta delle seguenti categorie di persone: minori, minori non accompagnati; disabili; anziani; donne in stato di gravidanza; genitori singoli con figli minori; vittime di tratta di esseri umani; persone affette da gravi malattie e o disturbi mentali; persone per le quali sia stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale; vittime di mutilazioni genitali. I servizi speciali di accoglienza per le persone vulnerabili garantiscono misure assistenziali particolari ed un adeguato supporto psicologico e sono assicurati anche in collaborazione con la ASL competente per territorio. Tali servizi, individuati con decreto ministeriale, sono assicurati all'interno dei centri governativi di prima accoglienza.
Inoltre, le persone che hanno subito danni per effetto di torture, stupri o altri gravi atti di violenza, abbiano il diritto di accedere ad assistenza o cure mediche e psicologiche appropriate, secondo quanto previsto dalle linee guida del Ministero della salute per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei beneficiari di protezione internazionale che hanno subito violenze (art. 17).
Specifiche disposizioni sono dedicate all'accoglienza dei minori (art. 18) nel rispetto del principio del carattere di priorità del superiore interesse del minore che costituisce criterio guida nell'applicazione delle misure di accoglienza. Con tale finalità si procede all'ascolto del minore, tenendo conto della sua età, del suo grado di maturità e di sviluppo personale, anche al fine di conoscere le esperienze pregresse e valutare il rischio che il minore sia vittima di tratta di esseri umani e alla verifica della possibilità di ricongiungimento familiare.
I minori non accompagnati sono destinatari di ulteriori forme di assistenza in quanto è prevista l'istituzione di centri di prima accoglienza esclusivamente destinati a loro per le esigenze di soccorso e di protezione immediata. Inoltre, i minori non accompagnati hanno accesso ai servizi di accoglienza dello SPRAR anche in assenza della domanda di protezione internazionale (art. 19). Sul tema si rinvia al paragrafo sull'accoglienza dei minori non accompagnati, nell'ambito del tema ad essi dedicato.
Assistenza sanitaria, istruzione e lavoro
E' garantito l'accesso dei richiedenti all'assistenza sanitaria, richiamando le disposizioni previste dall'articolo 34 del Testo unico immigrazione, che prevede l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e la parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all'obbligo contributivo, all'assistenza erogata in Italia dal servizio sanitario nazionale e alla sua validità temporale (art. 21). Nelle more dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale, si applica l'articolo 35 del medesimo Testo unico: pertanto, in tale periodo sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. In particolare, sono garantiti:
a) la tutela sociale della gravidanza e della maternità, a parità di trattamento con le cittadine italiane;
b) la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989;
c) le vaccinazioni secondo la normativa e nell'ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni;
d) gli interventi di profilassi internazionale;
e) la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai.
I minori richiedenti protezione internazionale o i minori figli di richiedenti protezione internazionale sono soggetti all'obbligo scolastico, si prevede inoltre che i minori accedano ai corsi e alle iniziative per l'apprendimento della lingua italiana che possono essere attivati da Stato, regioni ed enti locali per garantire l'effettività del diritto allo studio (art. 21).
Il permesso di soggiorno per richiesta asilo consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, qualora il procedimento di esame della domanda non è concluso ed il ritardo non può essere attribuito al richiedente. Al contempo, tale permesso non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (art. 22).
Revoca delle condizioni di accoglienza
Le misure di accoglienza possono essere revocate (art. 23) con decreto del prefetto, qualora il richiedente asilo:
In ogni caso, in vista dell'adozione della revoca delle misure si deve prendere in considerazione la complessiva situazione del richiedente, specie in riferimento ad eventuali condizioni di vulnerabilità.
Avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza il richiedente può proporre ricorso giurisdizionale avanti al Tribunale amministrativo regionale competente.
Una ulteriore causa di revoca si verifica ove, successivamente all'invio in una struttura di accoglienza, emergano i presupposti per la valutazione di pericolosità del richiedente che giustifica il trattenimento nei CPR. In tal caso, il prefetto dispone la revoca delle misure e ne dà comunicazione al questore ai fini dell'adozione del provvedimento di trattenimento.