segnalazione 24 febbraio 2021
Studi - Affari esteri OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE, La Repubblica islamica d’Iran: assetto istituzionale, quadro politico interno e scelte di politica estera, Approfondimento n. 167, a cura dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), febbraio 2021

La Repubblica islamica d'Iran: assetto istituzionale, quadro politico interno e scelte di politica estera

 

Executive Summary

La Repubblica Islamica dell'Iran attraversa oggi una fase complessa. Dal punto di vista della politica interna, sta per chiudersi l'esperienza di governo del presidente Hassan Rouhani e della sua squadra. Le elezioni presidenziali, in programma per il 18 giugno di quest'anno, si terranno in un contesto politico interno e internazionale profondamente mutato rispetto a quello in cui si tenne l'elezione che nel 2013 portò alla vittoria dei "moderati" di Rouhani. Il clima politico, economico e sociale che vive oggi l'Iran è piuttosto simile a quello che nel 2005 portò all'elezione di Mahmoud Ahmadinejad, espressione delle formazioni politiche più radicali e delle ali militariste della Repubblica Islamica.

A segnare il destino dei moderati di Rouhani e a determinare il profondo cambiamento di clima è stata principalmente la decisione da parte dell'amministrazione Usa di Donald Trump di ritirarsi dall'accordo sul nucleare (JCPOA) siglato nel 2015 e di avviare una campagna di "massima  pressione" volta a piegare Teheran attraverso un complesso e pervasivo apparato sanzionatorio.

Ritirandosi dall'accordo e introducendo pesanti sanzioni, Washington ha contribuito a erodere il capitale politico accumulato da Rouhani, e ad alimentare il malcontento e la diffidenza nei confronti del dialogo con l'Occidente delle ali più estreme del panorama politico iraniano. Le pesanti conseguenze economiche delle sanzioni, alle quali nel 2020 si è aggiunto l'effetto della pandemia da coronavirus, hanno poi aumentato la pressione sul presidente, bloccandone l'agenda di riforme economiche in senso neoliberale e contribuendo ad aumentare la rabbia sociale, esplosa sotto forma di proteste nel periodo tra il novembre 2019 e il luglio 2020. In parallelo, al graduale restringimento dello spazio di manovra politico di Rouhani è corrisposto un aumento di quello delle fazioni politiche più radicali e delle frange militari. A partire dal 2019, e in misura ancora più crescente nel corso del 2020, il governo Rouhani è stato di fatto preso in ostaggio da queste ultime, che hanno imposto una risposta decisa alla "massima pressione" statunitense.

Decisioni come la ripresa di alcune attività nucleari proibite dal JCPOA o l'adozione di una postura militarista e aggressiva nella regione sono da attribuirsi esattamente a queste dinamiche.

Se il JCPOA in questi anni è sopravvissuto, pur in una forma limitata, ai numerosi attacchi sferrati da più parti, non sarà facile tornare alla sua forma originaria, nonostante le grandi speranze riposte dalla comunità internazionale nell'amministrazione Biden. Lo spazio per la diplomazia si è infatti ridotto di molto, e, soprattutto in Iran, l'esperienza di governo dei moderati sta per cedere il passo a quella degli ultra-radicali.