La Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, ha l'obiettivo di contrastare il traffico illecito di beni culturali che coinvolge in prima linea Stati come l'Italia e la Grecia, e ha un notevole impatto sia dal punto di vista del danno che tali beni subiscono, sia dal punto di vista economico.
La Convenzione sostituirà la precedente Convenzione di Delfi sullo stesso tema, aperta alla firma nel giugno 1985, ma mai entrata in vigore per il mancato raggiungimento del numero di ratifiche necessarie (la Convenzione venne infatti firmata soltanto da 6 stati, tra cui l'Italia, cui non seguirono però le tre ratifiche necessarie per la sua entrata in vigore).
La nuova Convenzione, viceversa, frutto di un lavoro preparatorio svolto in seno al Consiglio d'Europa ma con la collaborazione di numerose organizzazioni internazionali quali l'Unione europea, l'Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato (UNIDROIT), l'UNESCO e l'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNOD), è volta a prevenire e combattere il traffico illecito e la distruzione di beni culturali, nel quadro dell'azione dell'organizzazione per la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.
Aperta alla firma di tutti gli Stati del mondo, sottoscritta ad oggi da 13 Stati e ratificata da 4 – Cipro, Grecia, Lettonia e Messico - la Convenzione è altresì finalizzata a promuovere la cooperazione nazionale e internazionale nella lotta contro i reati riguardanti i beni culturali, stabilendo diverse infrazioni penali, tra cui il furto, gli scavi illegali, l'importazione e l'esportazione illegali, nonché l'acquisizione e la commercializzazione dei beni così ottenuti. Il testo convenzionale riconosce, inoltre, come reati la falsificazione di documenti e la distruzione o il danneggiamento intenzionale dei beni culturali.