Nelle elezioni europee del maggio 2019 hanno trovato applicazione per la prima volta le previsioni a regime introdotte dalla legge 22 aprile 2014, n. 65 per rafforzare la rappresentanza di genere. In particolare, è prevista:
Il sistema elettorale del Parlamento, definito dalla L. n. 165 del 2017, che prevede sia collegi uninominali da assegnare con formula con formula maggioritaria, sia collegi plurinominali da assegnare con metodo proporzionale (sistema ‘misto'), detta alcune specifiche disposizioni in favore della rappresentanza di genere per le elezioni della Camera e del Senato.
In primo luogo, a pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, sia della Camera sia del Senato, i candidati devono essere collocati secondo un ordine alternato di genere (quindi 1-1). Al contempo, è previsto che nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali nessuno dei due generi - alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale - possa essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Inoltre, nel complesso delle liste nei collegi plurinominali nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità più prossima. Anche tale prescrizione si applica alla Camera a livello nazionale e al Senato a livello regionale. Il calcolo delle suddette quote è effettuato, secondo quanto specificato nelle Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature a cura del Ministero dell'interno, riferendosi al numero delle candidature e non a quello delle persone fisiche.
Alla Camera l'Ufficio centrale nazionale assicura il rispetto di tali prescrizioni in sede di verifica dei requisiti delle liste (art. 22 TU Camera) comunicando eventuali irregolarità agli Uffici circoscrizionali al fine di apportare eventuali modifiche nella composizione delle liste, assumendo a tal fine rilevanza, anche l'elenco dei candidati supplenti. Al Senato, essendo tali prescrizioni stabilite a livello regionale, spetta all'Ufficio elettorale regionale assicurare il rispetto delle medesime.
Per quanto riguarda la legislazione di contorno, il decreto-legge sull'abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti (D.L. n. 149/2013, conv. dalla L. n. 13/2014) prescrive, ai fini dell'iscrizione del registro dei partiti, una serie di requisiti per lo statuto dei partiti, tra i quali rientra l'indicazione delle modalità per promuovere, attraverso azioni positive, l'obiettivo della parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive. L'articolo 9 del medesimo decreto disciplina inoltre espressamente la parità di accesso alle cariche elettive, sancendo innanzitutto il principio in base al quale i partiti politici promuovono tale parità.
La legge 15 febbraio 2016, n. 20, introduce, tra i principi fondamentali in base ai quali le Regioni a statuto ordinario sono tenute a disciplinare con legge il sistema elettorale regionale, l'adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive. In tal modo, tale iniziativa legislativa si pone in linea di continuità con i provvedimenti approvati dal Parlamento nelle ultime due legislature per promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive locali, europee e nazionali.
A tal fine, modifica la legge n. 165/2004, che - in attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione - stabilisce i principi fondamentali cui le regioni devono attenersi nella disciplina del proprio sistema elettorale.
Con le modifiche introdotte, la legge nazionale non si limita a prevedere tra i principi, come è attualmente, la "promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive", ma indica anche le specifiche misure adottabili, declinandole sulla base dei diversi sistemi elettorali per la scelta della rappresentanza dei consigli regionali.
Al riguardo, la legge prevede tre ipotesi:
La legge 7 aprile 2014, n. 56, che ha provveduto a disciplinare l'istituzione delle Città metropolitane ed il riordino delle province, ha eliminato l'elezione diretta dei consigli provinciali.
I consigli metropolitani (organi delle nuove città metropolitane) ed i consigli provinciali sono divenuti organi elettivi di secondo grado; l'elettorato attivo e passivo spetta ai sindaci ed ai consiglieri comunali dei rispetti territori.
L'elezione di questi due organi avviene con modalità parzialmente differenti, che comunque prevedono l'espressione di un voto di preferenza e la ponderazione del voto (in base ad un indice rapportato alla popolazione complessiva della fascia demografica di appartenenza del comune).
Al fine di promuovere la rappresentanza di genere, la legge stabilisce che nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all'unità superiore per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità.
Tale disposizione si applica decorsi 5 anni dall'entrata in vigore della legge n. 215/2012, sulla rappresentanza di genere negli organi elettivi degli enti locali e quindi, di fatto, a partire dal 2018 (art. 1, commi 27-28 e commi 71-72).
Non è prevista la possibilità della doppia preferenza di genere, in quanto ritenuta incompatibile con il sistema del voto ponderato.
Non è inoltre più prevista la giunta, ma un altro organo assembleare (consiglio metropolitano nelle città metropolitane e assemblea dei sindaci nelle province), composto da tutti i sindaci del territorio.
La legge 23 novembre 2012, n. 215, approvata sul finire della XVI legislatura, reca alcune disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali.
Per l'elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge contempla una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:
In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, peraltro, è previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
Per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi.
Tale disposizione, che risulta peraltro sprovvista di sanzione, ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, nei quali non si applica la quota di lista. Sul punto è intervenuta di recente la sentenza n. 62 del 2022, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale le norme sulle elezioni degli organi delle amministrazioni comunali, proprio nella parte in cui non prevede l'esclusione delle liste elettorali, per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, che non assicurino la presenza di candidati di entrambi i sessi.
Infatti, diversamente da quanto previsto per i comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non è prevista né la quota di lista, né la doppia preferenza di genere, ma è disposto unicamente che "nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi". La violazione di tale vincolo non è assistita da sanzioni specifiche. Secondo la Consulta tali disposizioni si pongono in contrasto con gli articoli 3, secondo comma e 51, primo comma della Costituzione, in quanto inadeguate a promuovere le pari opportunità tra donne e uomini per l'accesso alle cariche elettive. Al contempo, la Corte ha ritenuto che l'esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi costituisca una soluzione costituzionalmente adeguata a porvi rimedio. Si ricorda infine al legislatore che resta ferma la possibilità di individuare, nell'ambito della propria discrezionalità, altra soluzione congrua purché rispettosa dei principi costituzionali.
Per gli esecutivi locali , la legge n. 215/2012 prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nell'ordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina.
Anche la legge n. 56/2014 è intervenuta su questo punto introducendo una disposizione più incisiva: nelle giunte comunali, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico; sono esclusi dall'ambito di applicazione della norma i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti.
La legge n. 215/2012 ha inoltre modificato la norma che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità. In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per "garantire" - e non più semplicemente "promuovere" - la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.