La Tercas (già Cassa di risparmio della provincia di Teramo) era stata messa in amministrazione straordinaria, ai sensi dell'articolo 70 del Testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993, d'ora in poi TUB). Il commissario straordinario - durante la sua gestione - aveva conseguito l'interessamento della Banca popolare di Bari per la sua acquisizione.
La Banca popolare di Bari, tuttavia, aveva subordinato l'operazione all'intervento del Fondo interbancario a tutela dei depositi (d'ora in poi FITD).
Il FITD è un'istituzione privata, di natura consortile, che rientra nei sistemi di garanzia a tutela dei depositanti disciplinati dall'articolo 96-bis del TUB. Il FITD aveva accettato di intervenire con tre misure:
a) un contributo di 265 milioni a copertura del deficit patrimoniale della Tercas;
b) la prestazione di una garanzia per 35 milioni di euro, a copertura del rischio di credito associato ad alcune posizioni creditorie;
c) la prestazione di una garanzia per 30 milioni di euro, a copertura dei costi derivanti dal trattamento fiscale della misura sub a).
Queste misure erano state autorizzate dalla Banca d'Italia il 7 luglio 2014.
Con decisione del 23 dicembre 2015, la Commissione ha ritenuto che tale intervento dell'FITD a favore della Tercas costituisse un aiuto di Stato illegittimo concesso dall'Italia alla Tercas e ne ha ordinato il recupero.
Secondo la Commissione europea tale intervento costituiva un aiuto di Stato, vietato ai sensi dell'articolo 107, comma 1, TFUE.
Tale disposizione vieta aiuti concessi dagli Stati o con risorse statali sotto qualsiasi forma che, nel favorire talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
Secondo la Commissione europea, le misure adottate dal FITD dovevano considerarsi aiuti a fondo perduto imputabili allo Stato italiano.
La Repubblica italiana, la Banca popolare di Bari e il FITD, con l'intervento ad adiuvandum della Banca d'Italia, hanno impugnato la decisione, ritenendo che le misure adottate e oggetto della decisione della Commissione, non rientrassero nel divieto di cui all'articolo 107 TFUE.
Il Tribunale di primo grado dell'Unione europea (con la sentenza del 19 marzo 2019, cause riunite T-9816, T-19616, T-19816 Repubblica italiana c/ Commissione ) ha accolto il ricorso della Repubblica italiana, poiché ha escluso che l'intervento di sostegno da parte del FITD potesse essere imputato allo Stato italiano.
Il Tribunale ha - sì - riconosciuto (conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia) che nella nozione di aiuto di Stato rientrano eventuali forme di sostegno anche solo indirettamente attuate con risorse pubbliche o che possano attribuirsi all'influenza determinante di poteri pubblici (nn. 62-67 della sentenza). Tuttavia, qualora l'ente che concede il sostegno sia privato, occorre che la prova del coinvolgimento dello Stato nella decisione sia offerta in modo giuridicamente adeguato (nn. 69 e 87). Una simile prova deve avere a oggetto la possibilità generale d'influenza dell'istituzione pubblica sull'attività dell'ente privato e il fatto che tale influenza sia stata effettivamente esercitata nella circostanza concreta (n. 69).
Non è - viceversa - sufficiente che la Commissione si basi su presunzioni e dimostri la mera improbabilità dell'assenza di un'influenza o di un controllo delle autorità statali sull'ente privato che ha concesso l'aiuto (n. 89). Né è sufficiente che la Commissione adduca che, in definitiva, l'ente privato sia incaricato di una funzione di interesse pubblico.
In questo caso, il Tribunale ha constatato che il FITD è un'istituzione privata consortile, cui partecipano diversi enti creditizi, dotato di propri organi decisionali che agiscono in modo indipendente, salve le autorizzazioni della Banca d'Italia previste dalla legge.
A quest'ultimo proposito, il Tribunale ha condiviso il rilievo delle parti ricorrenti, per cui la decisione del FITD era stata adottata all'unanimità nell'ambito degli organi deliberanti, in cui erano presenti esponenti delle banche consorziate, e che il dialogo e le interlocuzioni intervenute tra il FITD e la Banca d'Italia costituivano aspetti di fisiologico contatto tra un'Autorità di vigilanza e gli enti vigilati i quali, di per sé, non erano rivelatori dell'imputabilità della decisione a un pubblico potere (n. 110).
La decisione della Commissione europea è stata pertanto annullata, in quanto non sussistevano le condizioni per qualificare l'intervento dell'FITD come aiuto di Stato, non essendo imputabile allo Stato italiano né finanziato con risorse di tale Stato membro.
La Commissione europea ha proposto appello alla Corte di giustizia.
Tuttavia, quest'ultima ha rigettato l'appello con sentenza del 2 marzo 2021.
La Corte di giustizia ha condiviso la valutazione del Tribunale di primo grado che gli elementi, addotti dalla Commissione per ravvisare nel sostegno alla Banca Tercas da parte del Fondo interbancario di garanzia un aiuto imputabile allo Stato italiano, non erano concreti né sufficienti.
In particolare, respingendo il ricorso della Commissione, la Corte di giustizia ha chiarito la sua giurisprudenza sull'imputabilità allo Stato degli aiuti concessi da un'entità di diritto privato che non è né un'organizzazione dello Stato, né un'impresa pubblica.
In particolare, la Corte di giustizia ricorda che, affinché sia possibile qualificare i vantaggi come "aiuti" ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, TFUE, essi devono essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali ed essere imputabili allo Stato.
Per quanto riguarda, in particolare, l'imputabilità alle autorità italiane delle misure adottate dall'FITD a favore della Tercas, la Corte constata che il Tribunale non ha errato nel ritenere che gli elementi presentati dalla Commissione per dimostrare l'influenza dei poteri pubblici italiani sull'FITD non consentissero di imputare alle autorità italiane le misure adottate a favore della Tercas.
Al riguardo, la Corte ritiene che il Tribunale abbia applicato correttamente la giurisprudenza secondo cui spetta alla Commissione dimostrare, sulla base di un insieme di indicatori, l'imputabilità allo Stato delle misure in questione. La Corte ricorda inoltre che dalla natura privatistica dell'ente che ha erogato l'aiuto deriva che la prova adeguata per dimostrare l'imputabilità della misura allo Stato sia diversa da quella richiesta quando l'ente erogatore dell'aiuto è un'impresa pubblica. In questo quadro il Tribunale ha applicato la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, secondo la quale la prova adeguata per dimostrare l'imputabilità di una misura di aiuto deriva necessariamente dalle circostanze del caso e dal contesto in cui tale misura è stata adottata, e l'assenza di un legame di natura patrimoniale tra l'FITD e lo Stato è chiaramente rilevante a tale riguardo.
Inoltre, la Corte respinge l'argomento della Commissione relativo al rischio di elusione della normativa dell'Unione bancaria. La Commissione ha sostenuto al riguardo che il rifiuto di imputare alle autorità statali le misure adottate da un organismo come il FITD a favore di una banca privata comportava un rischio di elusione dell'articolo 32 della direttiva 2014/59, che prevede la risoluzione quando un ente creditizio necessita di un sostegno finanziario pubblico straordinario, assimilabile ad un aiuto di Stato. A tal proposito, la Corte di giustizia rileva che una misura adottata da un sistema di garanzia dei depositi potrebbe ancora essere qualificata come aiuto di Stato idoneo a far scattare la risoluzione, a seconda delle caratteristiche del sistema di garanzia dei depositi e della misura specifica.
Infine, la Corte conferma che è sulla base dell'analisi dell'insieme degli elementi di prova su cui la Commissione si è basata, considerati nel loro giusto contesto, che il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse commesso un errore di diritto nel ritenere che le autorità italiane avessero esercitato un controllo pubblico sostanziale nello stabilire le misure adottate dall'FITD a favore della Tercas.
Qui è consultabile il comunicato stampa della Corte di giustizia.