Nell'ambito dell'Osservatorio di politica internazionale è stato pubblicato l'Approfondimento n. 182, Le sfide fel Forum Cina Africa, a cura del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI), settembre 2021.
Executive summary
Sono trascorsi 21 anni dal primo vertice del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC) e l'ottava edizione del FOCAC, in programma a settembre 2021 a Dakar (Senegal), ha un'importanza particolare nell'attuale contesto internazionale e non solo per le parti coinvolte. Banalmente, è importante perché il totale della popolazione che risiede in Cina e in Africa, pari a circa 2,8 miliardi di persone (quasi 1,4 miliardi di persone in Africa e appena sopra 1,4 miliardi in Cina) rappresenta più di un terzo della popolazione mondiale. Nello specifico, poi, è particolarmente importante perché tutti gli eventi accaduti recentemente, dallo scoppio della pandemia in poi, obbligano a ripensare approcci, strategie e priorità per i prossimi anni, nel caso del partenariato tra Cina e Africa, un continente di interesse geopolitico ed economico di grande rilevanza anche per l'Europa.
Al momento le informazioni che trapelano sul vertice FOCAC di Dakar sono limitate, ma dal governo cinese arrivano alcuni orientamenti che vale la pena segnalare in modo schematico.
Anzitutto, sono stati identificati cinque fattori di successo che hanno portato la cooperazione tra Cina e Africa a livelli senza precedenti e ad essi le parti dovranno far riferimento per rafforzare il partenariato:
Facendo leva su questi cinque punti di forza, l'obiettivo del governo cinese è riprendere gli otto pilastri del partenariato definiti nel procedente Forum del 2018, ancorandoli alle sfide attuali, ovvero:
Il Ministro degli esteri cinese Wang Yi ha anche proposto quattro passi urgenti da compiere perché il futuro del partenariato sino-africano sia all'altezza delle ambizioni, cioè in grado di far leva sui cinque punti di forza per focalizzarsi con successo sugli otto pilastri tematici:
Anzitutto, le relazioni sino-africane rimangono asimmetriche, con Pechino in condizioni di dettare l'agenda (come emerso in queste settimane preparatorie in cui, pur in assenza di documenti ufficiali resi pubblici, le dichiarazioni del governo cinese – in particolare del ministro degli esteri – sono le uniche che permettono di definire i contorni strategici dell'evento). Tale asimmetria, che è del resto riscontrabile anche nei vertici tra UE e Africa (oppure tra Stati Uniti e Africa), si aggiunge ad un altro elemento critico per l'Africa, ovvero il fatto che le relazioni economico-commerciali siano fortemente concentrate, al punto che una manciata di Paesi africani spiega il grosso delle transazioni finanziarie e commerciali.
Questo problema si lega poi ad un altro nodo strutturale che ne è corollario: se il governo cinese intende rafforzare e rinnovare in modo sempre più ambizioso il partenariato sino-africano, le controparti africane paiono incapaci di definire e imporre un'agenda africana, dettare le priorità e centrare il partenariato su temi e sfide centrali per il continente. La frammentazione e il peso prevalente di interessi nazionali (in particolare di quei Paesi africani con più potere negoziale) limitano fortemente la costruzione di una effettiva centralità dell'Unione africana e delle otto comunità economiche regionali a livello subcontinentale. In questo senso, la strategia africana di sviluppo di lungo periodo, Africa 2063, non trova un puntuale riscontro nei negoziati con la Cina. Temi come la cooperazione transfrontaliera, oppure ambiti politici come la riforma del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su cui l'Unione Africana ha espressamente preso posizione, rimangono ai margini dell'impianto del partenariato sino-africano. Al riguardo, quel che molti studiosi africani rimproverano ai propri governi è che la responsabilità di questo limite va ricercato nell'incapacità e scarsa volontà dei negoziatori africani più che nell'indisponibilità cinese. Ciò è la ragione per cui oggi, in Africa, diversi studiosi chiedono alle élite al potere di gestire le relazioni con la Cina (e non solo) tutelando meglio gli interessi del continente, immaginando anche una possibile revisione dell'architettura istituzionale del FOCAC che dia più spazio a UA e comunità economiche regionali.
Non c'è dubbio che questa edizione del FOCAC si svolga in un contesto di preoccupazione crescente in Occidente per l'accresciuta presenza e la politica a tutto campo della Cina in Africa. La Cina si è affermata in modo netto come il primo partner commerciale dell'Africa, ma anche come fonte principale di investimenti diretti esteri e di finanziamenti a credito per la costruzione di infrastrutture critiche; in Occidente non mancano le occasioni per criticare la strategia cinese in campo: perché la Cina mantiene un surplus commerciale annuale strutturale con l'Africa di oltre 20 miliardi di dollari, esportando prodotti finiti mentre importa materie prime; perché alimenta la spirale del debito estero africano chiedendo come garanzie asset strategici dei Paesi (petrolio, infrastrutture critiche,…); perché le aziende di stato o parastatali cinesi dominano il mercato delle gare di appalti in Africa; perché manca trasparenza negli accordi che accompagnano il piano d'azione del FOCAC; perché la politica cinese ritarda o rallenta il processo di democratizzazione in nome del pragmatismo con cui separa politica da business e offre una sponda a regimi non democratici e alle élite africane per rafforzare le reti clientelari, le posizioni politiche e massimizzare l'arricchimento personale soprassedendo su principi e condizionalità come la tutela delle libertà e il rispetto dei diritti umani.
Non mancano evidentemente le zone d'ombra e i rischi per l'Africa, a partire da alcuni nodi strutturali che le critiche menzionate richiamano e dalle incertezze che la pandemia ha evidenziato in termini di effettiva volontà/possibilità cinese di continuare ad investire molto in Africa. Tuttavia, non sono da sottovalutare alcuni aspetti peculiari del partenariato sino-africano, come la natura speciale di un partenariato tra Paesi comunque in via di sviluppo, la straordinaria crescita delle relazioni economico-finanziarie dell'Africa con la Cina e la capacità che ha solamente la Cina di mettere a disposizione ingenti risorse finanziarie e umane come nessun altro global player (60 miliardi di dollari nell'ultimo triennio a sostegno del FOCAC). Soprattutto, come sottolineano molti studiosi africani, se a seguito della pandemia da Covid-19 sono venuti più chiaramente alla luce dei nodi strutturali del partenariato, a cominciare dall'aggravamento della condizione di insostenibilità del debito estero, si tratta spesso di realtà che non interessano solo e soprattutto la Cina ma anche l'Occidente, corresponsabile di relazioni asimmetriche e incapaci di generare sostenibilità e sviluppo.
Oggi diventano, se possibile, anche più importanti che nel passato gli standard ambientali e lavorativi e l'effettivo trasferimento di conoscenze per superare l'asimmetria delle relazioni tra le parti e il perdurare di una posizione strutturalmente più debole dell'Africa rispetto alla Cina, ma anche all'UE.
Questo studio approfondisce le principali sfide in campo, dando conto e indicazioni quantitative dell'ascesa della presenza cinese in termini commerciali, di investimenti diretti esteri, di predomino nelle gare di appalti e analizzando in maggiore dettaglio il profilo e la composizione del debito estero africano verso la Cina. Tutto ciò permette, infine, di riassumere le tappe salienti del cammino del FOCAC nei venti anni alle spalle, di presentare alcuni punti di vista di studiosi africani sulle scelte da compiere e di schematizzare i punti chiave del Forum 2021, a partire dalla strategia cinese e da considerazioni sui punti nodali cui non solo gli africani e i cinesi dovranno prestare maggiore attenzione.