segnalazione 26 febbraio 2019
Studi - Affari esteri OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Focus Mediterraneo allargato n. 9, febbraio 2019, a cura dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI)

Nell'ambito dell'Osservatorio di politica internazionale, è stato pubblicato il Focus n. 9 " Mediterraneo allargato " curato dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI)

EXECUTIVE SUMMARY

L'arco di instabilità che si estende dall'Iran al Marocco non sembra mostrare segnali di affievolimento, presentando, piuttosto, innumerevoli focolai di crisi in cui attori interni ed esterni appaiono sempre più coinvolti. Queste aree di conflitto sono spesso inserite in un più ampio contesto dove la ricerca di nuovi equilibri e l'avvio di processi di transizione non di rado ostacolano la stabilizzazione e il ripristino di condizioni favorevoli al ritorno della pace.

Nel complesso, il teatro siriano rimane la principale crisi del Vicino Oriente, con profonde influenze non solo sulle dinamiche socio-politiche e securitarie dei paesi confinanti, ma anche sugli equilibri e le relazioni in un quadro macro-regionale. Nelle ultime settimane il regime di Assad ha fatto registrare un incremento dei raid e delle azioni militari nella provincia di Idlib, ultima roccaforte in mano alle forze ribelli, lasciando presagire un'imminente offensiva per riportare sotto il suo controllo la quasi totalità dei territori ad ovest del fiume Eufrate. Fino ad ora l'avanzata delle forze governative in quest'area è stata scongiurata dall'accordo raggiunto nel settembre scorso a Sochi tra Russia e Turchia per la creazione di una zona di de-escalation e l'impegno da parte di Ankara a marginalizzare le milizie jihadiste ancora presenti nell'area. Alla luce del fallimento più o meno esplicito nel raggiungere entrambi questi obiettivi, vista anche la recente espansione militare compiuta dagli estremisti di Hayat Tahrir al-Sham in tutta la provincia, è possibile che Assad dia a breve il via a nuove operazioni militari. Sempre in Siria, ma nei territori situati ad est dell'Eufrate e controllati dalle forze curde, sembra aprirsi una finestra di nuovi negoziati tra il regime e le Unità curde di protezione popolare (Ypg), finite sotto pressione dopo l'inaspettato annuncio del ritiro americano dalla Siria dato dal presidente Trump lo scorso dicembre.

Spostando l'attenzione sulla penisola arabica, la crisi apertasi in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc) tra Qatar, da un lato, e Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, dall'altro, non lascia intravedere segnali di concreta distensione. Questa situazione produce conseguenze rilevanti non solo sulla politica regionale saudita, attualmente impegnata su più fronti, ma anche su quella qatariota, sempre più attenta sia a mantenere una linea di neutralità nel quadro della rivalità saudita-iraniana, sia a non inimicarsi ulteriormente gli altri paesi arabi del Golfo. Tra i fronti di maggior importanza per Riyadh c'è sicuramente lo Yemen che, al pari della Siria, vede l'alternanza di violenti scontri armati e momenti di tregua tra la coalizione guidata da sauditi ed emiratini e le formazioni ribelle huthi. Sebbene vadano segnalati alcuni sviluppi positivi nell'instaurazione di una tregua e l'apertura di corridoi umanitari sotto egida Onu, soprattutto nella cittadina portuale di Houdeida, l'incertezza e la fluidità continuano a caratterizzare le dinamiche sul campo, con lo Yemen ormai frammentato in decine di feudi politico-militari in costante conflitto tra loro.

Per quanto riguarda l'Iran, la controversa decisione statunitense di uscire dall'accordo sul nucleare (Jcpoa, Joint Comprehensive Plan of Action) ha senza dubbio aumentato l'insofferenza della popolazione, fomentata anche dal rinnovo di sanzioni ancora più ampie e invasive rispetto al passato, provocando però importanti ripercussioni anche sulle relazioni esterne, in particolare quelle con i paesi europei, firmatari dell'accordo. L'incertezza su cosa ne sarà dell'accordo ha infatti riacceso quel clima di sospetto verso l'Occidente che, a più riprese, ha contraddistinto l'atteggiamento avuto da Teheran in politica estera. In ottica regionale, l'Iran rimane fedele all'agenda che sta perseguendo da anni, incentrata sul sostegno al regime di Bashar al-Assad e orientata verso il consolidamento della propria sfera d'influenza in Libano, tramite Hezbollah, e Iraq. Proprio nella terra dei due fiumi, il processo di formazione del governo iniziato dopo le elezioni parlamentari del maggio scorso non è ancora giunto al termine, ostacolato anche dalle continue ingerenze di attori esterni, mentre molti problemi interni, dalla governance alla sicurezza, dalla corruzione al dialogo con la minoranza curda, rimangono irrisolti.

Nel contesto nordafricano, un paese apparentemente stabile, l'Algeria, sta attraversando una delicata fase di avvicinamento alle elezioni presidenziali previste a metà del prossimo aprile. L'ormai annunciata ricandidatura dell'attuale presidente Bouteflika, in precarie condizioni di salute dal 2013, viene vista da molti analisti come la garanzia della continuazione dell'attuale ordine politico, anche alla luce dei suoi principali sfidanti, troppo deboli per poter sperare nella vittoria. A livello sociale, poi, il malcontento per il carovita continua a suscitare proteste, seppur in maniera più sporadica rispetto all'anno precedente, e il progressivo rialzo dei prezzi dell'energia sta offrendo un'importante boccata d'ossigeno al paese. In Egitto, il potere e l'autorità del presidente al-Sisi non sembrano essere in discussione, consolidati dal nuovo mandato ottenuto in maniera scontata fino al 2022. Nel complesso, sia sul piano interno sia su quello estero non si registrano sviluppi rilevanti. L'implementazione di un ambizioso progetto di espansione economica va di pari passo con l'inasprimento delle misure di sicurezza, non solo in un'ottica di contrasto al terrorismo jihadista, ma anche nei confronti degli oppositori interni e di tutte le forme di dissenso verso il regime.

In vista delle elezioni parlamentari e presidenziali del prossimo autunno, la Tunisia attraversa una fase molto delicata. I fragili equilibri tra le forze politiche di governo sono messi in discussione dalla spaccatura all'interno di Nidaa Tounes e sulla delicata situazione politica continuano a pesare le criticità economiche strutturali, mentre permane l'annosa questione delle disparità regionali che non appare tra le priorità d'azione del governo, provocando un generale clima di frustrazione e proteste nei confronti dello stato.

L'instabilità continua a farla a da padrona in Libia, dove i principali appuntamenti del percorso di riconciliazione nazionale supportato dalle Nazioni Unite sono stati nuovamente posticipati. La presenza di innumerevoli milizie nei punti strategici del paese, soprattutto a Tripoli, complica ulteriormente la situazione sul tavolo delle trattative tra il precario Governo di accordo Nazionale, sostenuto dall'Onu e guidato da Fayez Serraj, e il generale Khalifa Haftar, a capo dell'esercito nazionale libico e stabilmente in controllo della Libia orientale.

Non da ultimo la Turchia, dove la riforma costituzionale approvata nell'estate scorsa ha trasformato il paese in una repubblica presidenziale, rafforzando il ruolo del presidente Erdoğan. Mentre sul piano interno la crisi della valuta turca sta ancora minacciando l'economia nazionale, sul piano esterno Ankara fatica a promuovere la propria agenda securitaria sul confine siriano, anche in virtù di interessi di fondo divergenti con i principali attori regionali.

L'Osservatorio di politica internazionale è un progetto di collaborazione tra Senato della Repubblica, Camera dei deputati e Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, che si avvale del contributo di Istituti di studi internazionalistici per la realizzazione di studi e documentazioni a supporto dell'attività parlamentare. Tutti i prodotti dell'Osservatorio sono disponibili in formato PDF sul sito del Parlamento.