La proposta di legge in esame delega il Governo ad istituire il Tribunale superiore dei conflitti, organo giurisdizionale a composizione mista, competente per la decisione delle questioni di giurisdizione che sorgano nel corso di giudizi civili, penali, amministrativi, contabili, tributari e dei giudici speciali. Si tratta di questioni che riguardano la sussistenza, in capo al giudice adìto, della giurisdizione in relazione a una determinata controversia. Al riguardo, si ricorda che l'art. 37 c.p.c. prevede che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali possa essere rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Le questioni di giurisdizione possono essere risolte in due differenti modi: in via ordinaria, dal giudice della causa con sentenza soggetta ad impugnazione; la sentenza del giudice adito sulla questione di giurisdizione può, infatti, essere, oggetto di impugnazione prima in appello e poi con ricorso alla Corte di cassazione, cui dunque spetta la parola definitiva; con un istituto specifico, il regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 c.p.c.), strumento che il codice fornisce per ottenere in via immediata una decisione, definitiva e vincolante, sulla questione concernente i limiti della giurisdizione dell'autorità giudiziaria, mediante ricorso diretto in Cassazione, quale organo supremo in materia ai sensi dell'art. 374 c.p.c., senza che sulla questione di giurisdizione si pronunci il giudice adito. Nello specifico, l'art 41, primo comma, c.p.c. prevede infatti che ciascuna parte (l'attore, il convenuto, il terzo intervenuto) possa chiedere con ricorso alle Sezioni Unite la risoluzione delle questioni di giurisdizione di cui all'art. 37, finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado; dopo tale momento, l'eventuale difetto di giurisdizione potrà essere fatto valere con gli ordinari mezzi d'impugnazione (appello, ricorso in Cassazione). A seguito della proposizione del regolamento di giurisdizione, il giudice sospende il processo se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata (art. 367 c.p.c.); se la Cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti devono riassumere il processo entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza. Il regolamento produce i suoi effetti nel solo processo nel quale è proposto; in caso, quindi, di contemporanea pendenza di più processi tra una stessa parte e soggetti diversi, vanno proposti ricorsi separati anche se la questione di giurisdizione è unica. Il regolamento di giurisdizione è istituto nella esclusiva disponibilità delle parti, con l'eccezione introdotta dal legislatore nel 2009. L'art. 59 della legge n. 69 del 2009 ha previsto, infatti, che il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione (cd. translatio judicii). Per impedire la continua rimessione della questione tra i giudici che intendano spogliarsi della controversia adducendo, ciascuno, il proprio difetto di giurisdizione, il comma 3 dell'art. 59 ha disciplinato il cd. regolamento di giurisdizione d'ufficio. Con tale strumento - se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della cassazione - il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d'ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito; restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione. La stessa disposizione è contenuta all'art. 11 del Codice del processo amministrativo (DLgs. 104 del 2010) secondo cui «Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione». Tale potere del giudice può essere esercitato purché la causa sia stata riassunta nei modi e nei tempi previsti dal codice di rito, nel senso che il giudice non può sollevarlo se le parti non hanno manifestato l'inequivocabile volontà di proseguire il giudizio. In tal senso si è più volte espressa la Corte di Cassazione, ribadendo che il corretto funzionamento del regolamento di giurisdizione d'ufficio presuppone una sentenza declinatoria e la successiva riassunzione di parte e, dunque, il meccanismo della translatio (v. Cass., SS.UU., sentenza n. 5493 del 2014).