Pubblica amministrazione

La sentenza della Corte costituzionale 251/2016

Con la sentenza n. 251 del 2016   la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni di delega al Governo contenute nella L. n. 124/2015, con riguardo alla disciplina del pubblico impiego, delle società partecipate, dei servizi pubblici locali e della dirigenza, nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non è quella dell'intesa, bensì quella del semplice parere.

La sentenza ha riguardato le norme per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nonché di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale che, ad avviso della Corte, incidono su una pluralità di materie e di interessi, inscindibilmente connessi, riconducibili a competenze statali (ordinamento civile, tutela della concorrenza, principi di coordinamento della finanza pubblica) e regionali (organizzazione amministrativa regionale, servizi pubblici locali e trasporto pubblico locale).

La Corte costituzionale ne ha, pertanto, dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui, pur incidendo su materie di competenza sia statale sia regionale, prevedono che i decreti attuativi siano adottati sulla base di una forma di raccordo con le Regioni, che non è quella dell'intesa, ma quella del semplice parere, non idonea a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali.

La previa intesa deve essere raggiunta - ad avviso della Corte - in sede di Conferenza Stato-Regioni per l'adozione delle norme attuative della delega in tema di riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Anche in tal caso - ha evidenziato la Corte - sono in gioco interessi che coinvolgono lo Stato e le Regioni, mentre in sede di Conferenza unificata sono coinvolti anche gli interessi degli enti locali.

La Corte ha precisato di aver circoscritto il proprio scrutinio solo alle disposizioni di delega specificamente impugnate, lasciando fuori le norme attuative. Pertanto le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa. Le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell'esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione.

I contenuti della sentenza della Corte sono stati richiamati nel parere reso dal Consiglio di Stato   nell'adunanza del 9 gennaio 2017, che ha fornito alcuni chiarimenti sulle questioni interpretative poste dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione sull'attuazione di tre decreti legislativi, emanati sulla base della legge 124/2015 su cui è intervenuta la sentenza n. 251 del 2016, ossia: il D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, in materia di licenziamento disciplinare; il D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 171, in materia di dirigenza sanitaria; il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, recante Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.

Riguardo alla necessità o meno di un intervento sulla legge delega n. 124 del 2015 a seguito della richiamata sentenza n. 251, il Consiglio di Stato ha evidenziato come tale pronuncia debba essere intesa come sentenza manipolativa del tipo sostitutivo di procedura, che fornisce già una lettura adeguatrice della legge che, dopo l'intervento della Corte, prevede l'intesa e non il parere ed è, così, riscritta in conformità al dettato costituzionale.

Il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto che, alla luce di quanto precisato nella sentenza medesima, i tre decreti legislativi già in vigore restano validi ed efficaci fino a una eventuale pronuncia della Corte che li riguardi direttamente, e salvi i possibili interventi correttivi che nelle more dovessero essere effettuati.

Riguardo agli interventi che il Governo può porre in essere, infatti, il Consiglio di Stato ha ricordato come dalla sentenza della Corte emerge una sorta di "riserva di giudizio" per cui, in caso di impugnazione dei decreti, andrà accertato che il vizio procedimentale rilevato si concreti in una effettiva invasione delle competenze regionali, fatta salva, ovviamente, l'esistenza di eventuali profili di illegittimità costituzionale diversi da quello relativo al rispetto della leale collaborazione. Dalla sentenza emerge inoltre una sorta di "invito" (non al legislatore in senso generale, ma) al «Governo» ad adottare «soluzioni correttive», che non vengono specificate ma che potrebbero essere di vario tipo. Ad avviso del Consiglio di Stato Il percorso più ragionevole, compatibile con l'impianto della sentenza sembra essere quello che il Governo adotti decreti correttivi che intervengano direttamente sui decreti legislativi e che si risolvano nell'applicazione della disciplina della delega – come modificata dalla Corte costituzionale – al processo di riforma in corso. Viene, così, sostanzialmente postulata dalla stessa Corte la possibilità di utilizzare i decreti correttivi per sanare, nei decreti delegati, il vizio procedimentale di illegittimità costituzionale che era stato, dalla sentenza, riscontrato nella delega. In assenza di un tempestivo intervento correttivo, la Corte potrebbe dichiarare l'illegittimità del decreto legislativo, perché adottato in assenza della previa intesa e pertanto in difformità dalla legge delega così come "corretta" dalla stessa sentenza costituzionale.Tutto ciò induce, altresì, a considerare – rileva il Consiglio di Stato - gli interventi correttivi sui decreti legislativi come rilevanti e da adottare tempestivamente.

Quanto agli strumenti specifici cui il Governo può ricorrere per porre in essere i suddetti interventi correttivi, viene condivisa l'ipotesi avanzata nel quesito evidenziato come tali strumenti siano due, strettamente connessi fra loro: l'intesa di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997 – così come prefigurata, alla luce dei principi generali di leale cooperazione, dalla Corte costituzionale – da raggiungere, a seconda dei casi indicati nel dispositivo della sentenza, in sede di Conferenza Stato-regioni, ovvero di Conferenza unificata ex art. 9, comma 1, del decreto medesimo; i decreti legislativi integrativi e correttivi che, per ciascuna disposizione di delega, la stessa legge n. 124 del 2015 autorizza a emanare nel termine di dodici mesi dall'adozione dei singoli decreti legislativi da essa previsti. Tale strumento è normalmente utilizzato per integrare, mediante il completamento di precetti normativi, ovvero correggere, mediante aggiustamenti o rimozione di imperfezioni, il decreto legislativo già adottato (Cons. Stato, Ad. Gen., n. 1750 del 2007). Esso può rappresentare anche una modalità attraverso la quale eliminare o modificare norme ritenute in contrasto con la Costituzione, svolgendo così una funzione di sanatoria di un asserito vizio dell'atto legislativo già adottato. Il vizio può essere sostanziale, formale o, anche, procedimentale. Nella fattispecie in esame, la Corte costituzionale ha individuato un vizio della legge delega che ha determinato, anche se il giudizio di costituzionalità non lo ha riguardato direttamente, un vizio procedimentale del decreto autorizzato costituito dalla mancata intesa con la Conferenza. In questa prospettiva, il decreto correttivo può svolgere una funzione di sanatoria di tale vizio procedimentale, facendo confluire nel decreto originario la portata dell'intesa di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 281 del 1997: a tal fine, il Consiglio di Stato evidenzia come il decreto debba riportare integralmente l'intesa raggiunta. Il Consiglio di Stato definisce quindi, nel parere, alcuni profili attuativi del meccanismo correttivo con particolare riferimento all'oggetto dell'intesa, ai suoi possibili effetti temporali ed alle modalità di svolgimento della procedura di concertazione, nonché alla struttura ipotizzabile per i decreti correttivi.

Viene precisato, in particolare, che l'intesa "deve riferirsi al decreto nel suo complesso", e non solo a sue singole parti e che rientra nella disponibilità delle parti dell'intesa disciplinare anche degli effetti già dispiegati nel "periodo intercorso tra l'entrata in vigore del decreto legislativo originario e quella del decreto correttivo".

Il parere, infine, segnala l'importanza di intervenire anche per i settori per i quali la delega è scaduta (dirigenza e servizi pubblici). Un percorso possibile è quello di una nuova delega, ma non è l'unico (ad esempio, è ipotizzabile anche un disegno di legge governativo avente, almeno in parte, il contenuto del decreto delegato che andrebbe a sostituire).

Nel parere si rileva infine come la Corte costituzionale non si sia tuttavia pronunciata su come assicurare il principio di leale collaborazione con le Regioni per procedimenti legislativi diversi da quello della legge delega. E d'altra parte – conclude il parere – "apparirebbe problematico individuare per il Parlamento vincoli procedimentali diversi e ulteriori rispetto a quelli tipizzati dalla Carta costituzionale".